Mahran, città fantasma di Mimmo Candito
Mahran, città fantasma Mahran, città fantasma (Segue dalla 1* pagina) ■Sud, dove nasce lo Sitati El Arab. La guerra ha ancora le paure e i morti straziati dalle granate. Il cannone spara quasi di continuo, i razzi si infiammano in cielo e piovono lontani con lunghe traiettorie luminose. Il canale è largo un centinaio di metri, la corrente è tranquilla, ma il calore investe all'improvviso, come una fiammata. Arriva a onde, accompagnato dal vento, e si porta dietro l'odore del petrolio che sta bruciando nelle raffinerie. Il paesaggio risveglia lontane memorie di grandi e colorati kolossal hollywoodiani, tutto è gigantesco e sconvolgente. Il puzzo di petrolio toglie il respiro. Il cielo è nero, come se fosse notte. E arriva da ogni parte il rombo del greggio che brucia. La strada è percorsa senza sosta dai lunghi convogli militari: quelli che tornano dal fronte sono vuoti, i camion sfilano coperti di polvere e i grandi rimorchi con i tank hanno le tele mimetiche all'aria. Quelli che scendono a Sud mostrano le facce tutte uguali e silenziose dei soldati seduti l sui cassoni, con le mani ap' poggiate al fucile. Il trasporto dei cannoni e delle rampe lanciamissili dura tutto il giorno e la notte. L'allarme aereo arriva ogni due ore. Quando suona la sirena, Basra diventa più silenziosa delle sue strade vuote. Una volta era la Venezia d'Oriente, con le sue case morbide poggiate sulle palafitte. Ora è una orrenda città in guerra; tutti i negozi sono chiusi, nel vecchio albergo della periferia grandi scarafaggi passeggiano sui letti. Il porto è fermo. Ci sono alcune navi sovietiche, un lucido barcone cubano, qualche trasporto jugoslavo. Non si vede anima viva. Le fiamme nere di Abadan si riflettono nell'acqua, la corrente porta via grandi macchie di petrolio bruciato. Il vento qualche volta unisce l'incendio di Abadan con quello di Basra, il fumo che oscura il cielo sembra portare presagi drammatici. Qui la guerra fa davvero paura. Non è solo paura fisica, della cannonato che sbaglia gittata o del missile che arriva, cieco, da un aereo invisibile. E' paura più profonda, ha dentro le risonanze cupe d'una apocalisse. La nostra civiltà si specchia in questi strumenti raffinatissimi che continuano a bruciare, i tubi d'acciaio ormai annerito, i grandi serbatoi sventrati; ma anche in queste armi sofisticatissime e straordinarie che pare facciano tutto da sole. Questo scontro è ormai all'ultimo atto, gli uomini che lo re¬ citano hanno facce scure di contadini e grandi baffi neri. E' come un paradosso beffardo della storia, che mette assieme la sofisticatela più spinta delle tecnologie (industriali e militari) con la semplicità rugosa e antica di una civiltà di campagne brulle, legata ancora come mille anni fa alle abitudini della terra e della fame. Si spara e si muore quasi guardandosi negli occhi. Da una parte all'altra dello Shatt El Arab le postazioni possono seguire ogni movimento senza binocoli. Lungo la riva orientale, il palmeto si stende come una foresta che sembra non finire mai. E' il più grande del mondo, milioni di lunghi fusti grigi e di foglie larghe e ricche di frutti, n calore del petrolio che brucia le sta cuocendo. I datteri sono già maturi; restano appesi inutilmente ai rami o cadono a terra. I soldati lì calpestano con i loro stivaletti; erano la seconda risorsa dell'Iran. Tra Basra e Mahran ci sono soltanto 450 chilometri. A Basra si muore anche oggi. A Mahran non più. Ma Bani Sadr dice: «Non ci sarà pace fin che un solo soldato Iracheno sarà sulla nostra terra». Quel filo spinato divelto a dieci chilometri da qui segna una storia che non è ancora chiusa. Mimmo Candito
Persone citate: Arab, Bani Sadr
Luoghi citati: Basra, Iran, Mahran, Sitati El Arab, Venezia D'oriente
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