L'Iraq pronto a trattare con l'Iran (ma pone tre condizioni capestro)

L'Iraq pronto a trattare con l'Iran (ma pone tre condizioni capestro) Lo ha detto il vicepremier di Baghdad in missione a Parigi L'Iraq pronto a trattare con l'Iran (ma pone tre condizioni capestro) Chiede il riconoscimento della sovranità irachena sullo Shatt el-Arab, la restituzione delle isole sugli Stretti di Hormuz agli Emirati, la fine delle ingerenze nei Paesi vicini DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE PARIGI — II regime dì Baghdad è pronto ad avviare negoziati con Teheran in qualsiasi momento, anche subito, persino con il detestato Khomeini. Questo è venuto a dire, ieri, il vice primo ministro irocheno Tareq Asie a Giscard d'Estaing, e attraverso di lui a tutti gli occidentali. Ma l'inviato di Baghdad ha poi elencato, durante una conferenza stampa, le tre condizioni per aprire le trattative con Teheran: tre punti che ridimensionano la disponibilità irachena e lasciano immutata la situazione, Baghdad esige: 1) Che la parte avversa, ossia il regime iraniano, riconosca in partenza la sovranità irachena sullo Sciati el-Arab e su una striscia di terra di circa 15 chilometri lungo la zona di confine tra i due Paesi; 2) Che gli iraniani accettino relazioni di buon vicinato con i Paesi arabi limitrofi (e per questo devono restituire agli Emirati del Golfo le tre isole occupate nel 1971 dalla Marina iraniana, allora imperiale); 3) Che Teheran metta fine agli atti di ostilità e alle ingerenze nei confronti dei Paesi confinanti. Queste tre condizioni cape- stro imposte a Teheran prima di avviare dei negoziati sono al momento inaccettabili dal regime di Khomeini. Rappresenterebbero una capitolazione. Per questo la rapida visita a Parigi dell'uomo di fiducia del presidente Saddam Hussein è apparsa più un'offensiva diplomatica irachena in Occidente che un tentativo di imporre una svolta politica al conflitto armato. Durante il colloquio al palazzo dell'Eliseo, l'inviato di Baghdad non ha sollecitato una mediazione di Parigi, né Giscard d'Estaing ha evocato questa eventualità. Al contrario il presidente francese, in un comunicato diffuso a conclusione della visita del vice primo ministro iracheno, ha voluto precisare che spetta ai Paesi musulmani svolgere il ruolo di mediatori tra Baghdad e Teheran. Questa messa a punto rivela lo scarso entusiasmo francese verso l'idea affiorata a Washington, circa una possibile iniziativa diplomatica parigina per tentare di mettere fine al conflitto. Tutto ciò non esclude che l'Eliseo, dopo il colloquio informativo con l'inviato di Baghdad, cerchi di sondare gli iraniani, per vedere se esiste una breccia, un margine di manovra. Ieri sera, alla fine del quarto giorno di guerra, non esisteva tuttavia alcun spiraglio. Nell'esprimere la «disponibilità» irachena a dei negoziati, Tarek Aziz si è detto disposto ad accettare qualsiasi iniziativa diplomatica purché essa non venga da Israele e dagli Stati Uniti. Il primo perché nemico degli arabi, i secondi perché Baghdad non ha relazioni diplomatiche ufficiali con Washington, anche se ospita una missione americana. Il vice primo ministro iracheno non si è soffermato su questo punto, né ha suggerito questa o quella capitale. E' rimasto nel vago. Non ha saputo o voluto infine precisare come le ostilità potrebbero essere sospese sul piano concreto. Dopo la sua visita a Giscard d'Estaing, durata un'ora e mezza, l'uomo di fiducia del presidente Saddam Hussein si è intrattenuto a lungo con i giornalisti. Egli ha voluto rassicurare l'Occidente sulle intenzioni del regime di Baghdad. L'Iraq rispetterà la libertà di navigazione delle petroliere nel Golfo Arabico (e non «persico; ha precisato), non bloccherà gli stretti di Hormuz e cercherà di rifonire normalmente dì greggio i Paesi consumatori suoi clienti. «Abbiamo i mezzi per rifornire normalmente la Francia», ha detto. Questa è apparsa la principale dichiarazione di Tarek Aziz, destinata all'Europa occidentale. Poi linciato di Baghdad, reduce da Mosca e da Amman, ha perorato la causa irachena: la guerra è stata provocata dall'aggressività "isterica" dei dirigenti iraniani, il regime di Baghdad non ha mire espansionistiche e non vuole essere il gendarme del Golfo. Dopo Mosca e dopo Amman, l'uomo di fiducia del presidente Saddam Hussein ha scelto Parigi, come prima e per ora unica tappa occidentale, perché «l'Iraq rispetta il ruolo della Francia sulla scena internazionale». In effetti i rapporti tra i due Paesi hanno assunto da cinque anni un carattere privilegiato: Baghdad fornisce a Parigi il 23 per cento delle sue importazioni di petrolio, e Parigi fornisce a Baghdad armi e, soprattutto, materiale nucleare. La consegna dei primi elementi di un laboratorio di ricerca funzionante con uranio ha suscitato recentemente le proteste degli Stati Uniti. Mercoledì, a New York, il ministro degli Esteri francese, Jean Frangois-Poncet, ha affermato che il suo Paese intende continuare la collaborazione nucleare con l'Iraq anche in questa situazione, poiché essa ha scopi pacifici e non può condurre alla fabbricazione di una bomba atomica. La diplomazia giscardiana mantiene tuttavia in questi giorni una rigorosa neutralità, auspicando, come gli altri Paesi europei, una soluzione del conflitto senza interferenze, e soprattutto senza il coinvolgimento delle grandi potenze. Questa posizione consente alla Francia di mantenere intatti i suoi «corretti» rapporti con Teheran, senza venire meno alle strette relazioni con Baghdad. Bernardo Valili