È morta la piccola Milly grande donna di spettacolo di Ugo Buzzolan

È morta la piccola Milly grande donna di spettacolo Lettrice-cantante stroncata da infarto a 75 anni È morta la piccola Milly grande donna di spettacolo ROMA — Milly, una delle esponenti più straordinarie di te atro cabaret ma anche una delle voci più affascinanti, è morta la notte scorse a Nepi, il suo «rifugio» sul lago, a pochi chilometri da Roma. Aveva 75 anni. L'ha tradita 11 cuore. Si era recata nella casa sul lago per essere assistita dalla sorella Mitti alcuni giorni fa, rientrata da Palermo dove aveva tenuto spettacolo con la direzione di Filippo Crivelli, divenuto negli ultimi tempi, dopo la sua «rentrée», il suo regista abituale. «Vorrei morire cantando» aveva detto alla nipote Marina, figlia di Mitti, proprio l'altro ieri. Il suo desiderio non è stato esaudito. Insoddisfatto anche l'altro di far conoscere la notizia della sua scomparsa — trapelata invece nella mattinata di ieri — a tumulazione avvenuta. Rispettato quello riguardante i funerali, che Milly voleva si svolgessero in forma strettamente privata. Milly era il nome d'arte di Emilia Mignone. Era una ragazzina di Alessandria, e giovanissima cominciò a salire sul palcoscenico assieme al fratello e alla sorella. I Mignone formavano un trio. Le due sorelle si facevano chimare Milly e Mitty, e il fratello Totò. Mitty si stancò presto, e sposò alcuni anni più tardi un avvocato di Macerata che aveva abbandonato la professione per darsi al mondo dello spettacolo a Milano e che si chiamava Mario Mattoli, destinato a diventare uno dei più prolifici registi cinematografici italiani. Anche il fratello Totò scomparve quasi subito e restò lei sola sul palcoscenico, lei, Milly che era per altro la più dotata. «Cosa sai fare?» le chiedevano e lei, che era ancora una bambina, sorridendo, con un sorriso che le sarebbe rimasto splendido e intatto per tutta la vita, rispondeva «Un po' di tutto». In effetti sapeva ballare, cantare, recitare, si dichiarava disposta a esibirsi nel comico e nel tragico, e sciorinava pezzi da «Le purghe di Maria Teresa» e dall'«Amleto». Ed era ancora una bambina quando all'inizio degli Anni Venti arrivò nei teatri di avanspettacolo, e fu salutata come un prodigio. In qualche città intervenne la polizia a ritirarla bruscamente fra le quinte per «troppo acerba età», e ad ammonire chi la tutelava e la scortava, e gli impresari. Ma due sere dopo Milly, cambiata città, era di nuovo in palcoscenico. Il suo repertorio variava dal brulesco al sentimentale, sempre con un abbondante pizzico di mali¬ zia, mai con volgarità. Quando teneramente sorrideva, il pubblico andava in visibilio. Avanti negli anni non parlava volentieri della sua adolescenza, del suo passato, della sua precoce carriera. Ma una volta raccontò che a Milane un impresario le aveva domandato «Cosa pensi di fare in futuro?», e lei aveva esclamato: «La vedette!», e l'altro allora aveva ribattuto: «Ma set troppo piccola di statura... una vedette non può essere cosi piccola» ; «E io ti faccio vedere che divento una vedette!» aveva gridato Milly e come in una commedia era uscita sbattendo la porta e lasciando l'altro esterrefatto, con il sigaro di traverso e il cappello sulla nuca. E in realtà era diventata una prima donna anche se era piccola di statura. Piccola ma stupendamente propor- zionata, e con un viso da non dimenticare, un viso non da bambola, non da bellezza classica, anzi sempre un po' segnato e ombrato, ma straordinariamente mobile ed espressivo, con occhi vivacissimi e un sorriso che — lo disse e lo scrisse più di uno — riconciliava con la vita e dava la carica. La carica formidabile era dentro di lei ed era inesauribile. L'aveva nell'esistenza quotidiana e si traduceva in un grande coraggio e in una grande tenacia, e si trasformava in palcoscenico in una partecipazione vibrante a qualsiasi spettacolo, ad ogni canzone, ad ogni battuta. Chi la guardava dalla platea non si accorgeva che fosse piccola tanto riempiva di sé la scena con il suo impeto sapientemente controllato, con la sua immediatezza, la sua ironia sempre vigile. Tra gli Armi Venti e gli Anni Trenta raggiunse il successo completo. Entrò nelle famose compagnie Za-Bum dirette dal cognato Mattoli e fece prosa, rivista e persino operetta («Al cavallino bianco» dei fratelli Schwarz). Piaceva moltissimo. Aveva, senza mai essere sguaiata, senza mai esporsì in marnerà osée, una forte carica sensuale. Ebbe schiere di adoratori e si sa che di lei si innamorò alla follia Umberto di Savoia e che per alcuni mesi il trono scricchiolò paurosamente; si assicura che l'erede alla corona intendesse sposare morganaticamente la signorina Carla Mignone detta Milly e che Sua Maestà Vittorio Emanuele III, sbalordito, continuasse a ripetere a mo' di commento: «Una piemontese Di Alessandria!». Anni dopo la sentii dire una sera, spiritosamente: «Ragazzi, potrei es sere la vostra regina». Prova anche il cinema. Debutta nel film calcistico Cin que a zero di Bonnard, ma si rivela, tra l'entusiasmo della critica (basti leggere cosa ne scrisse l'austero Filippo Sacchi), in Amo te sola ovvero Idillio 1843 accanto a Vittorio De Sica. Era nata una nuova stella di Cinecittà? Ma in quello stesso anno 1935 Milly improvvisamente se ne va dall'Italia. Fa del cabaret a Parigi, poi nel 1936 emigra negli Stati Uniti dove sta dieci anni alternandosi a Broad way in due locali, il RainBow Room e il Blue Angel. Nel dopoguerra torna in Italia, ma nessuno si ricorda più di lei. Fatica a lavorare. Nel 1952 si imbarca in un travagliato sodalizio artistico con Melnati e affronta intre pidamente, a quarantadue anni, il ruolo della giovinetta Santarellina. Si scioglie la compagnia ed è il silenzio sino al 1956 quando Strehler la chiama a fare Jenny delle Spelonche (la parte che aveva reso celebre Lotte Lenya nel 1928) per «L'opera da tre soldi* di Brecht e Kurt Weill. E' un grosso successo, ma come le repliche terminano. Milly si ritrova a spasso. Ed è qui che si confermano il suo carattere, la sua intelligenza, la sua capacità di rinnovamento e avanzamento. Punta al recupero di canzoni di altri tempi, ma è un recupero filtrato attraverso una sensibilità eccezionale, lontano da facili caricature e da deformazioni plateali; le vecchie canzoni sono interpretate e rivissute in modo razionale e del tutto interiore e diventano, ciascuna, un emblema della loro epoca; se c'è iroI nia, è un'ironia sottilissima che sfuma nell'affetto. Anni di studio e di preparazione e nel 1963 ecco il recital al Gerolamo di Milano, e il trionfo. A più di cinquantanni, quando molte attrici hanno già finito, Milly rinasce e inizia una nuova carriera. I teatri di tutta Italia la ospitano. La applaudono spettatori con i capelli grigi e folle di giovani. Naturalmente viene «riscoperta» dalla radio e dalla televisione. Solo pochi mesi fa era comparsa sul video assieme a Tino Carraro: due settantenni incredibili, di una bravura travolgente. Ma quello che era incredibile, soprattutto, era l'aspetto di Milly. era la sua voce: piantata aggressivamente e al tempo stesso aggraziatamente in mezzo alla scena, minuta e snella sugli alti tacchi e con la banda dei capelli che le scendeva su una parte del volto, di tutto aveva l'aria meno che dell'anziana e veneranda signora; e la sua voce era sempre calda e penetrante, dal timbro inconfondibile. «Continuerò sino a che avrò fiato» aveva detto di recente. Se ne è andata in bellezza, in piena attività, e non ci sentiamo nemmeno di scrivere le consuete frasi dolenti di circostanza. E' stata dopotutto una donna felice perché ha saputo, con suo merito, realizzarsi, ed è uscita a testa alta, vincitrice, dal palcoscenico del teatro e della vita, piccola grande donna di spettacolo. Ugo Buzzolan datodiinderaci nuasqunoasstHingamcolasoalstmceqchcifudsiLsid5nbvdvloaavseeplocMdgaHcfslnmncccènldsdcvfzqsfp z