Turchia: militari pacificatori? di Mimmo Candito

Turchia: militari pacificatori? Turchia: militari pacificatori? (Segue dalla l'pagina) alternative di resistenza — o di appello al Paese — che qualsiasi altro governo democratico può tentare di sperimentare per salvare il sistema parlamentare. Loro due sapevano, e dovevano subire. Tra i molti elementi che furono rivelatori del golpe, due soprattutto vengono citati nelle cronache sussurrate di questa transizione: il primo è la visita annuale degli addetti militari stranieri all'interno del Paese; il secondo, il viaggio in America del comandante delle forze aeree, generale Sahinkaya. Luna e l'altro venivano a cadere intorno al giorno 11: la visita degli addetti militari era stata improvvisamente ed inesplicabilmente anticipata di tre giorni, il viaggio di Sahinkaya (che non aveva potuto essere spostato, nonostante le pressioni dello stato maggiore di Ankara) sì era chiuso con un rientro precipitoso in Turchia nel pomeriggio di giovedì. Nella capitale, i due fatti erano ampiamente noti. Le conclusioni non erano state difficili. Soprattutto quando, nel corso dell'intera giornata di giovedì 10, i tentativi di rin tracciare gli alti gradi militari erano falliti per l'assoluta irreperibilità di un qualsiasi generale delle tre armi. Evidentemente, il piano era già scattato. Demirel o Ecevit avrebbero potuto, forse, tentare di fermarlo. Ma non lo hanno fatto. Demirel e Ecevit hanno dovuto accettare il peso della loro sconfitta, e ritirarsi a preparare dalla «custodia» di Gallipoli il rientro in un sistema che sarà certamente diverso, con forti connotazioni gollfste e una legge elettorale maggioritaria. Si parla già adesso del nuovo governo, che potrebbe ruotare attorno ai tre nomi dell'economista Torgut Orzai (divenuto ieri una sorta di «premier ad interim» secondo un decreto del Consiglio nazionale di sicurezza), di Feysoglu e del generale Haydar Saltik, con qualche speranza anche per l'ambasciatore Kamuram Inan. Sono i nomi di una continuità del sistema, se si vuole, senza rivoluzioni o cambiamenti di fondo. E in effetti quello che pare il percorso tracciato finora da queste sciabole sfoderate dai vecchi generali kemalisti è che, a suo modo, e paradossalmente, non si tratta di un colpo di Stato ma di una presa di potere diciamo istituzionale. Che non ha segni politici di parte, ma piuttosto una sua neutra difesa di una concezione legalitaria e funzionale del sistema. Certo, questa «neutralità» ha poi un uso e una valenza politici, che riconoscono nei limiti — ideologici e sociali — del nazionalismo turco i confini a cui legare ogni progetto di partito e di governo. E questa che sarà, probabilmente, una fase di transizione non tarderà a mostrarlo: c'è tempo forse fino a giugno, quando molti pensano che i militari restituiranno il potere ai civili, rispettando la scadenza già prevista delle nuove elezioni politiche. I generali hanno voluto prendere 11 potere prima dell'inverno e del gelo che porterà la crisi della nuova stagione; però c'è il problema della violenza politica che nessuna legge marziale è ancora riuscita a sconfiggere. Sono cinquemila i morti in due anni, 465 nel solo agosto scorso. Basteranno otto o nove mesi? Sono cominciati gli arresti a decine, interi quartieri vengono perquisiti casa per casa, c'è stato uno scontro a fuoco con due morti (un ufficiale dell'esercito e un civile a Adana). Oggi, nella sua prima apparizione in pubblico, il generale Evren ci dirà forse quanto possa sperare la sua gente, e quanto preoccuparsi la nostra coscienza. Il generale ha preparato anche bene questo suo debutto, concedendo ad alcune migliaia di operai in sciopero un aumento dei salari del settanta per cento, vietando anche qualsiasi futura azione sindacale. Intanto, il coprifuoco è stato accorciato da mezzanotte alle sei, le sere di Ankara e Istanbul tornano alla normalità, ma la Turchia può anche cominciare a porsi le sue domande. Mimmo Candito

Persone citate: Demirel, Ecevit, Evren, Haydar Saltik, Kamuram Inan, Torgut Orzai

Luoghi citati: Ankara, Gallipoli, Istanbul, Turchia