«Breznev sbaglia, Cina e Urss sono lontane»

«Breznev sbaglia, Cina e Urss sono lontane» INTERVISTA CON U XIANNIAN, IL GRANDE MEDIATORE FRA HUA E DENG «Breznev sbaglia, Cina e Urss sono lontane» E' la prima autorevole risposta di Pechino al discorso del leader di Mosca a Alma Ata - «Per aprire, è necessario che abbandonino la politica dell'egemonismo» - L'ultimo Mao «si comportava come un patriarca, tutto il potere era concentrato nelle sue mani: abbiamo deciso di farla finita con questo sistema» - «La banda dei quattro sarà portata davanti a un tribunale» - «Se la Cina diventa una superpotenza, speriamo che tutti i popoli, anche quello cinese, la combattano» DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE PECHINO — Breznev si sbaglia in entrambe le sue premesse quando dichiara che il Cremlino segue attentamente «i sèri processi interni» della Cina e attende che ciò «si rifletta sulla politica estera cinese». Me lo dichiara Li Xiannian, vice presidente del partito comunista cinese. E' la prima risposta di Pechino a quello che molti, dopo aver letto il discorso del capo sovietico ad Alma Alta, il crocevia della strategia asiatica dell'Urss, avevano valutato come primo cauto tentativo di apertura verso la Cina. La risposta non poteva essere più qualificata, dato che viene dal personaggio che, nella nuova ripartizione dei compiti al vertice cinese, sovrintende fra l'altro anche alle relazioni con il movimento comunista e operaio internazionale. La complicata alchimia della direzione collettiva, appena varata, assegna a Li Xiannian il posto di «terzo uomo», di «ago della bilancia», di mediatore fra Hua e Deng: considerato troppo cauto il primo e troppo intemperante il secondo nel procedere sulla linea riformistica. Glorioso comandante durante la guerra e la rivoluzione, Li Xiannian aveva diretto per lunghi anni l'economia della nuova Cina. Membro del Politburo da un quarto di secolo, aveva accompagnato Mao a Mosca nel 1957, quando si registrò il primo malinteso con Kruscev. Da un suo incontro-scontro con Fam Van Dong nasce il divorzio dai vietnamiti. Tre anni fa fu designato quale accompagna tore di Tito durante il viaggio che segnò la convergenza fra le due eresie antimoscovite. Du rame la rivoluzione culturale stava con un piede dentro e un piede fuori dal Politburo. Forse nasce da qui il suo ruolo di me diatore fra Hua, che rimase completamente dentro, e Deng, che fu estromesso completamente. La mia lunga conversazione con Li Xiannian si è svolta nel grande salone dei ricevimenti del Palazzo del Popolo, proprio mentre era in corso la sessione dell'Assemblea popolare. Su queste poltrone disposte in un grande cerchio sedettero Kissinger, Bush, lo stesso Nixon durante le lunghe trattative che portarono al più grande ribaltamento di rapporti di forza sullo scacchiere mondiale. L'intervista comincia normalmente su quanto sta succedendo in Cina in questi giorni. Domanda — Ho avuto la fortuna di arrivare in Cina prò prio mentre avvengono importanti cambiamenti e riforme. Qual è il giusto significato della separazione delle massime cari che del Partito e del governo, qual è il senso del nuovo concetto della direzione collettiva? Risposta — Partiamo da al cimi motivi. Anzitutto togliere l'eccessivo cumulo delle cariche e migliorare il sistema della direzione politica. Partiamo da esperienze storiche. Il Presidente Mao ha dato molti contributi alla rivoluzione e al po polo cinese. Ha salvato il parti to e la rivoluzione nei momenti crìtici. La prima volta nel 1927 quando il nostro partito era quasi annientato. Contro la linea settaria dell'allora segreta rio Chang Tushing, Mao ha sviluppato la teoria secondo cui la mobilizzazione della campagna doveva essere la ba se essenziale della rivoluzione. Per la seconda volta Mao salvò il partito nel period 1931-35, quando imperversava la linea cosiddetta Huaoming, sostenuta dai dogmatici venuti dopo aver studiato a Mosca, uomini della Terza Internazionale che non conoscevano la realtà cinese. Mao aveva proseguito poi con successo la rivoluzione fino al 1949. Poi ci fu lo sviluppo della Repubblica Popolare fino al 1957. In questo periodo è stata giusta la direzione del Presidente Mao. Dopo il 1957 possiamo dire che Mao compì degli errori. Per esempio quel «grande balzo in avanti» del 1958. Tuttavia, non possiamo far cadere tutte le responsabilità su Mao. Noi, io stesso, abbiamo commesso degli errori: portati dall'entusiasmo, con cervelli troppo euforici, non vedevamo che quel balzo non si poteva fare. Nonostante Mao avesse avanzato proposte che non corrispondevano alla realtà, noi non avevamo espresso alcuna opposizione. D. — Avevate approvato poi anche il suo disegno della rivoluzione culturale? R, — All'inizio della rivoluzione culturale, infatti, eravamo d'accordo con questa idea. Pensavamo che negli anni avevamo perduto il contatto con dambtonvopasStrcpZpncecdmppdtdstdPDdlavsdsgspfmmstcvqs masse, che eravamo avvolti dal burocratismo e che dovevamo lasciare al popolo la possibilità di criticare. Ma poi, molto presto, la maggior parte di noi non concordò più con la rivoluzione culturale. In quel periodo Mao non voleva più ascoltare le opinioni degli altri. Si - comportava come un patriarca. Non volle prendere in considerazione nemmeno le parole del primo ministro Zhou Enlai. Quindi, tutto il potere era rimasto concentrato nelle mani di Mao. Naturalmente questa concentrazione del potere ha anche una base storica. Nel corso della storia Mao aveva fatto molte cose per la rivoluzione e per il Paese. Oggi, avendo imparato le lezioni storiche, noi desideriamo evitare il concentramento dei poteri nelle mani di una persona e adottiamo la separazione dei poteri fra partito e governo. Ciò non vuol dire indebolire la direzione del Partito ma, anzi, migliorarla. Desideriamo che il partito studi e tracci gli orientamenti politici e che le altre cose, quelle amministrative, le lasci al governo. D. — Questi cambiamenti sono stali ideati dagli uomini della vecchia guardia che ora stanno lasciando le cariche. I giovani proseguiranno sulla stessa linea? R. — Una persona con trop pe cariche accumulate non può far niente anche se è un uomo molto capace. Inoltre per far marciare la riforma era neces savio cambiare i dirigenti di età troppo avanzata per sostituirli con quelli di età media o giovane. Con quel cumulo degli incarichi molti dirigenti più giovani non hanno avuto la possibilità di salire e emergere. Un uomo con molte cariche, quali capacità ha di lavorare? Molto limitate. Quindi, nasce il burocratismo, un fenomeno molto serio. Devo dire che insistiamo pur sempre sul centralismo democratico però dobbiamo sviluppare di più la democrazia. D. — In questi giorni i giornali fanno varie allusioni alla «deificazione» dei massimi dirigenti e alla tradizione cinese del «figlio del cielo» governante.' Si può dedurre che la rivoluzione non sia riuscita a porre termine a questa tradizione? R. — Migliaia di anni di feudalesimo hanno lasciato un'influenza molto profonda. Non abbiamo dato troppa importanza all'eliminazione della mentalità e dell'ideologia feudali. Quindi è rimasto radicato questo modo di vedere e agire nei rapporti sociali. Per esempio, non esiste una carta scritta, nello statuto del partito o nella Costituzione, che stabilisca una carica a vita. Ma nella realtà questa esiste. Da noi in Cina esistono solo due casi: primo, che un dirigente muoia e così cessi dall'incarico; secondo, che abbia commesso errori tanto grossi da essere destituito. Abbiamo deciso di farla finita con questo sistema. Introduciamo anche la pensione. D. — Tuttavia, i grandi spostamenti al vertice hanno fatto nascere speculazioni su chi ha vinto e chi ha perduto nell'attuale avvicendamento nelle caricìte. Si sostiene pure che la direzione collettiva è stata escogita- la come forma di compromesso fra personaggi o fra tendenze nessuna delle quali è riuscita a imporsi. Ci sono delle fazioni contrastanti nel Politburo? R. — Devo risponderle che nel nostro Comitato Centrale non esistono due fazioni. Esiste soltanto quella marxista-leninista. Però, durante la rivoluzione culturale sono stati commessi molti errori, specialmente da parte di Mao, che aveva valutato male la situazione e aveva adottato una tendenza di estrema sinistra. Quindi Lin Biao e la banda dei quattro 'hanno sfruttato questi errori spingendo il partito ancora più verso la sinistra radicale. Esiste dunque una differenza fra gli errori di Mao e i crimini di Lin e della banda. si trova soltanto in un punto iniziale. Non so se avremo risultati buoni o no. Mi chiederà: se non avete questa fiducia perché lo state facendo? Abbiamo comunque già notato un miglioramento. A ogni modo, quel sistema sovietico non ci va bene. Il lavoro che ci aspetta è molto complicato e dovremo continuamente tirarne le somme. D. — Sul vostro nuovo corso sono sorti nel mondo due giudizi convergenti, anche se giungono da parti opposte: le destre sostengono che la riforma rappresenta la reintroduzione di elementi capitalistici e l'ammissione dell'insuccesso dell'economia socialista, mentre l'ultrasinistra, delusa dal crollo del mito maoista, sostiene che vi state agganciando al carro del capitalismo. Che ne pensa di questi giudizi? R. — Penso che non sia giusto né l'uno né l'altro. Non abbandoneremo mai il principio di contare sulle nostre forze e di seguire la nostra strada. Un Paese grande come la Cina non può dipendere dall'aiuto straniero né seguire le strade degli altri. Abbiamo un'enorme popolazione, il che è un difetto (perché ha bisogno di mangia re, vestirsi e muoversi in grandi dimensioni), però consideriamo ciò anche come una forza. Proprio partendo da questo, contiamo sulle nostre forze. Soltanto su questa base possiamo introdurre i capitali stranieri nel nostro sistema. Però sempre in una percentuale ridotta. Quando prendiamo un credito valutiamo sempre la nostra capacità di restituirlo. Se non ne abbiamo la possibilità, non prendiamo il credito. Citiamo l'esempio della Polonia: ha debiti per oltre venti miliardi di dollari e ogni anno deve rimborsarne 700 milioni, il che coinvolge l'ottanta per cento della sua esportazione. Non credo che si ottengano successi in questo modo. D. — Ho letto proprio ieri l'ultimo discorso di Breznev. Il capo sovietico ha detto ad Alma Ata che «in Cina si svolgono seri processi interni, sono state ripudiate le concezioni maoiste, nella teoria e nella pratica». Poi, Breznev ha aggiunto che «purtroppo tutto questo non si riflette per ora sulla politica estera cinese», ma che il suo governo seguirà con interesse questi sviluppi. Il mondo giudica queste curiose parole come il primo spiraglio di una cauta apertura verso Pechino. Lei come le giudica? R. — Non è giusta né la prima né la seconda frase di Breznev. Noi vogliamo correggere gli errori commessi da Mao, ma la politica estera che oggi sviluppiamo è proprio quella di Mao e Zhou Enlai. I sovietici come intendono aprire? Per aprire, secondo noi, è necessario che abbandonino la politica dell'egemonismo. Abbandonare tutti quei metodi di controllare gli altri. Ritirare le truppe, per esempio, dall'Afghanistan, dalla Mongolia e quelle vietnamite dalla Cambogia. Non fare più, insomma, la politica di superpotenza. Alcuni amici mi hanno chiesto anche ultimamente se stanno migliorando i rapporti fra Cina e Urss. Rispondo: lo desideriamo, lo speriamo, però devono abbandonare la politica dell'egemonia, altrimenti non esiste una base per un miglioramento dei nostri rapporti. D. — Nelle parole di Breznev trovano riscontro certe analisi di alcuni sinologi sovietici, i quali sostengono che l'attuale linea riformistica in Cina' corrisponde per certi versi alla linea che si cerca di sviluppare anche in Urss con la riforma Kossighin. Sperano che da questa somiglianza interna possa nascere poi anche una convergenza in politica estera. R. — Non credo. Per esempio, noi poniamo le cose in quest'ordine: primo, agricoltura; secondo, industria leggera, terzo industria pesante. In Urss fanno il contrario. Per più di sessantanni il loro socialismo non ha risolto i problemi essenziali delle campagne e della popolazione. Il loro riferimento al mercato ha molte mancanze e non funziona, proprio perché sviluppano troppo l'industria pesante e specialmente quella militare. Noi non pensiamo a imboccare la loro via. D. — Il mondo comunque si chiede come mai i due massimi Paesi della rivoluzione socialista si confrontino aspramente, senza dialogo, mentre ambedue cercano e trovano compromessi e accordi con i Paesi capitalisti. R. — Ma, l'Urss è un Paese socialista o no? Noi lo definiamo social-imperialista. Desidera essere sempre un padre. Ci considera come figli. E allora come si possono migliorare i rapporti? Con i Paesi capitalisti invece i rapporti si sviluppano senza danneggiare la sovranità di nessuno. Per esempio, con gli Usa: noi non permettiamo che danneggino la nostra so¬ vranità. Al signor Reagan, che ha parlato di voler creare due Cine o una Cina e mezzo, rispondiamo che non lo permetteremo. Consideriamo che le sue parole violino lo spirito del comunicato di Shanghai e dell'accordo sull'istituzione delle relazioni diplomatiche. D. — Discutendo con i quadri cinesi, ho notato che tutti tracciano una netta linea divisoria tra Stalin e Kruscev. Sostengono che le deformazioni nell'Urss e, di conseguenza, il peggioramento dei rapporti tra Pechino e Mosca incominciano soltanto con Kruscev. Condivide questo giudizio su Stalin tutto positivo e Kruscev tutto negativo? R. — Forse abbiamo diverse opinioni sulla questione Stalin. Non abbiamo detto che Stalin fosse nel giusto al cento per cento. Già al tempo di Stalin Mosca espresse lo sciovinismo di grande potenza, nel regolare i rapporti anche con il nostro partito. Guardando nell'insieme, pensiamo che abbia fatto due grandi cose: la costruzione dell'Urss e la vittoria nell'ultima guerra. Ci furono momenti infelici nei rapporti tra noi e Mosca. Dopo la seconda guerra, quando Ciang Kai Scek voleva eliminare il nostro partito e Mao dirigeva la cosiddetta guerra dei tre anni, Stalin non fu d'accordo con Mao. Però, dopo la vittoria, veramente, Stalin ci aiutò. In un documento sui meriti e demeriti di Stalin abbiamo fissato il rapporto nel 70 contro il 30 per cento. Per quanto riguarda Kruscev, è tutta un'altra cosa. Per esempio, ci aveva chiesto di creare una base navale militare in Cina. Noi non siamo stati d'accordo e lui ci ritirò tutti gli esperti. Kruscev voleva prenderci per il collo per farci ascoltare soltanto le sue parole. Pechino. Li Xiannian e il nostro inviato durante l'intervista al Palazzo dei Popolo