Reinhold Messner ce l'ha fatta Solo, sulla vetta più alta del mondo di Gigi Mattana

Reinhold Messner ce l'ha fatta Solo, sulla vetta più alta del mondo Un'impresa sensazionale che sfiora i limiti dell'impossibile Reinhold Messner ce l'ha fatta Solo, sulla vetta più alta del mondo E' salito dal versante Nord nella stagione dei monsoni e senza ossigeno - Ha impiegato due giorni dal campo base alla cima dell'Everest raggiunta sabato - Ora è l'unico uomo ad avere scalato sette «8000» himalayani r /I limite dell'umano si è spinto un po'più avanti dopo questa che probabilmente è la più grande impresa sportiva di tutti i tempi. Reinhold Messner, 36 anni, ha scalato l'Everest, che con i suoi 8848 metri è la montagna più alta della terra e l'ha fatto lungo un versante, quello Nord tibetano, pressoché sconosciuto, senza ossigeno in piena stagione dei monsoni e soprattutto da solo. L'agenzia «Nuova Cina» nelVannunciar e con un sobrio comunicato la vittoria (nei giorni scorsi pareva che lo scalatore italiano avesse rinunciato per il maltempo) aggiunge che Messner ha impiegato due giorni dal campo base alla vetta, raggiunta alle 15,20 di sabato scorso e dove si è trattenuto quaranta minuti; prima di Messner soltanto il giapponese Yasuo Kato era riuscito a raggiungere l'Everest sia dal versante nepalese che da quello tibetano, ma non in solitaria senza ossigeno e in una stagione così ostica. Walter Bonatti ebbe buon fiuto quando dedicò il suo splendido libro «7 giorni grandi» a «Reinhold Messner, giovane e ultima speranza del grande alpinismo tradizionale»; se il curriculum di Reinhold era già impressionante (dal 1960 al 1964, quindi ancora ragazzo, realizzò sulle Alpi 500 vie di estrema difficoltà e negli anni successivi percorse tutte le vie più impegnative come le Droites, la Civetta e l'Eiger in prima solitaria e a tempo di record), nell'ultimo decennio il « fenomeno Messner» esplose. Ora è l'unico uomo sulla Terra ad avere scalato sette 8000» himalayani: nel 1970 il Nanga Parbat (e il fratello Gunther perì lungo la discesa), nel 1972 il Manaslu, nel 1975 l'Hidden Peak non in spedizione, ma accompagnato soltanto da Peter Habeler, nel 1978 l'Everest senza ossigeno e il Nanga Parbat in solitaria, l'anno scorso UK2e ora l'Everest in solitaria. La più alta montagna del mondo non è mai stata un osso facile per gli alpinisti: dal 1921 al 1938, gli inglesi organizzarono sette spedizioni dal versante tibetano, e tutte furono sfortunate o con esito tragico, anche se si raggiunse la quota record per l'epoca di 8300 metri; nel dopoguerra la situazione politica cambiò (il Tibet fu chiuso agli stranieri e il Nepal invece aprì i suoi confini) e al terzo tentativo da Sud (dopo due svìzzeri falliti) la spedizione inglese del colonnello Hunt portò l'apicoltore neozelandese Hillary e lo sherpa Tenzing sulla vetta il 29 maggio 1953. Da allora gli assalti al Chomolungma (Dea madre della Terra, cosi suona il nome tibetano) sì sono susseguiti con alpinisti di ogni nazionalità t risultati di ogni tipo fino alla splendida vittoria di Doug Scott e Dougal Haston sull'immensa parete sud-ovest. Ma l'Everest da Nord, l'Everest dei primi tentativi, la montagna che sorge in un Paese misterioso, quello era rimasto un frutto proibito. Appena la Cina ha aperto le porte del Tibet e ha concesso agli stranieri di effettuare scalate sul proprio territorio, Messner si è precipitato a Pechino. La sua fama era giunta anche là e non gli è stato difficile ottenere il permesso: unico ostacolo il prezzo feirca 35 milioni il costo totale) che per un alpinista che si autofinanzia è veramente pesante. Partito dall'Europa i primi giorni di giugno, Messner è andato in volo da Pechino a Lhasa, la capitale del Tibet e di qui, accompagnato da un ufficiale di collegamento e da un interprete, con quattro giorni di -jeep» è arrivato a piazzare il campo base a quota 5000, vicino al monastero di Rongbuk di cui tanto parlarono le prime spedizioni. n contatto con la «civiltà» è finito li: Reinhold è rimasto solo con due yak che gli portavano il bagaglio fino a seimila metri, alla base vera e propria della montagna; poi ha cominciato a salire, a provare, a ridiscendere per verificare l'acclimatamento. E' stato respinto una volta dal maltempo, ha riprovato, ha vinto. Ùn successo smagliante, ma che alla base ha una preparazione durissima: a parte la determinazione, il coraggio e la sicurezza in se stessi che si devono possedere anche soltanto per concepire la solitudine oltre gli ottomila metri, il fisico deve essere perfetto (Messner ormai si allena quasi esclusivamente correndo in salita) e l'organizzazione meticolosa. •Come già sul Nanga Parbat — mi aveva detto Reinhold l'ultima volta che lo vidi nella sua casa di Santa Maddalena di Funes, poco prima della partenza per la Cina — anche sull'Everest il mio zaino, pesante una ventina di chili, sarà la mia casa; soltanto la tenda sarà nuova, più pesante di almeno mezzo chilo, perché è indispensabile che resista nei bivacchi anche' alle peggiori bufere, n calcolo più difficile è stato la quantità di bombolette di gas necessaria. A quelle quote si man¬ gia ben poco mentre è necessàrio bere parecchi litri di acqua al giorno, the o minestra per ottenerli bisogna fare sciogliere la neve per ore su un fornello. E' evidente che quante più bombole mi porto tanto più ho autonomia, ma non posso superare un certo limite di peso perché altrimenti la mia marcia sarebbe troppo lenta. Ho calcolato di avere 12 giorni a disposizione per salire e scendere: se non riesco in questo tempo, muoio». Fra alcuni storni Messner dovrebbe essere di ritorno a Pechino e allora sarà possibile sapere dalla sua voce la storia della scalata: il tempo però gli va stretto perché ha già ottenuto dal governo nepalese il permesso per scalare il Lhctse entro la fine dell'anno, e naturalmente senza compagni. E a chi gli chiede perché persevera in questa audacia, che per molti è follia, di rischiare da solo, ricorda che non lo fa né per conquistare una montagna, né per tornare indietro come un eroe, ma per conoscere il mondo attraverso i timori. Gigi Mattana i gsqsuqtnlmtar Reinhold Messner con i suoi cani tibetani davanti alla sua casa di Santa Maddalena di Funes