A Mosca è l'ordine il vero campione

A Mosca è l'ordine il vero campione OLIMPIADI E VIGILANZA DEL REGIME A Mosca è l'ordine il vero campione MOSCA — Questa moscovita è la prima Olimpiade tutta a misura di televisione, caleidoscopica, multicolore e lontana. Sede di una gigantomachia ormai perduta, nel monumentalismo sovietico rivela una mutazione in atto da tempo e giunta qui al suo acme. «Citius, altius, fortius», proclamava De Coubertin, invitando l'atleta a correre più veloce, a saltare più alto, a diventare più forte, ad incarnare cioè l'uomo-eroe che supera sempre se stesso. Senza immaginare che anche gli zeus del «Ciò», dei dello sport nell'Olimpo della politica, si sarebbero lanciati a loro volta nella corsa alla grandiosità. I XXII «Giochi» d'estate appaiono uno spettacolo supercostruito. La sua iperdimensione tollera soltanto ruoli rigidi: i campioni-attori dentro il recinto del «villaggio» o nel perimetro delle arene; il pubblico-spettatore-ascoltatore-lettore fuori, nella cornice degli spalti o nel privato delle sue abitazioni, davanti ai teleschermi appunto. Per la stampa scritta, dai giornali ai cartelli stradali, la rappresentazione risulta esorbitante. Per tentare di contenerla e a sua volta rappresentarla deve cercarne la metafora e trovarla. Ecco la vera novità della kermesse moscovita, ecco perché è difficile raccontarla, ecco perché suscita tante polemiche. Anche senza il boicottaggio voluto da Carter e seguito da molti Paesi non sarebbe stato tanto diverso. Certo, acredine e preoccupazioni potevano essere minori. La qualità della festa era destinata a restare la medesima. L'incontro tra le genti che celebravano i greci antichi avrebbe avuto pur sempre luogo sotto gli occhi diffidenti dei poliziotti, attraverso i controlli dei «metaldetector», eccitato dall'irraggiungibile grandeggiare della scena e frustrato dall'inevitabile manchevolezza dell'organizzazione riservata alla massa visitatrice. Mentre suiicampi di gara e nei rifugi degli atleti un esercito di inservienti si prodiga a soddisfare ogni desiderio degli attori, negli alberghi e sulle mense degli spettatori c'è quello che si trova e niente più. Sposato a quello sovietico, il gigantismo olimpico accentua tali differenze fino a farne una contraddizione. Ma i padroni di casa non lo vogliono ammettere. «Dopo che il boicottaggio ha fatto fiasco, la propaganda. occidentale comincia a preoccuparsi della libertà dei contatti. I giornali insinuano che si vuole isolare la popolazione dai turisti stranieri. Le apprensioni per la sicurezza nel corso dei "Giochi", cedono il posto alla campagna sulle "misure senza precedenti" che avrebbero lo scopo di tagliare i contatti con i visitatori», scrivono le Izvestia, ovviamente per smentire simili dicerie dei giornalisti occidentali. Ma dove sono questi contatti!1 Neanche l'organo del governo dell'Urss prova a dimostrarne l'esistenza. Lo sforzo che fa è piuttosto quello di rovesciare sui servizi segreti americani, sulla politica britannica, sulla faziosità dell'informazione nella Germania Federale la responsabilità della loro assenza. La politica ha soverchiato lo sport, è la tesi della Pravda. Cosi che suona pura retorica la definizione delle Olimpiadi fatta da Sovietskaja (Cultura: «l , "Giochi" sono chiamati a favorire lo sviluppo dello sport e a contribuire, inoltre, al consolidamento della pace, all'avvicinamento dei popoli, all'elevazione del loro livello spirituale». Né convincono le decine e decine di dichiarazioni raccolte da singoli turisti e riunite in una sorta di antologia della glorificazione olimpica, un autentico abbecedario della più soddisfatta meraviglia. Anche perché non è raro il caso di intervistati che stentano a riconoscere le proprie parole una volta che queste vengono interpretate da radio Mosca o da certi quotidiani. Affidata l'informazione tecnico-sportiva allo specializzato Sovtetskij sport, la stampa di Mosca si dedica soprattutto alle smentite, alle precisazioni, all'elogio e ad ogni considerazione che valga a dare della manifestazione olimpica un quadro rasserenante. Si sparge la voce che la squadra irlandese è rimasta intossicata dal cibo? «J 44 sportivi dell'Irlanda membri dell'equipe olimpionica sono in buona salute», ribatte immediatamente. Sorge una critica alle riprese della TV sovietica, peraltro eccellenti? La replica non si fa attendere: «[ tedeschi dell'Ovest corrono a visitare i loro parenti che vivono nei pressi della frontiera con la RDT, per poter seguire i programmi sportivi negati loro dalla televisione federale...». £ Scontando qualche forzatura tesa all'autocompiacimento, questa esposizione de-' corativa della vicenda olimpica configura un nascosto abuso ideologico? La televisione manda in onda immagini genuine; i giornali contengono la retorica strettamente sportiva e sottolineano innanzitutto la del resto indiscussa efficienza dell'organizzazione; nel rispetto alle forme socializzate dello sport collettivizzato, quello agonistico, s'intende, evitano la forma dello sport-divismo e riservano appena una fotografia a Vladimir Salnikov, che straccia il record del mondo nuotando quindici volte di seguito i cento metri restando ogni volta al di sotto del minuto. Non fanno di meno per il nostro Giovannetti, oro del tiro al piattello, né di più per la bellissima ginnasta Kim. Eppure un manifesto delle Olimpiadi '80 c'è. Se gli atleti-attori sono appena dei patronimici offerti come segni algebrici di valori quali forza e stoicismo; se il pubblico è poco più di un festone umano disteso sulle gradinate e la città tutt'attorno una quinta riverniciata di fresco perché tutto appaia in ordine: di superlativo rimane essenzialmente il sistema che a tutto ciò presiede, un sistema che si propone quale immagine di disciplina ed efficienza. Questa semplice equivalenza cerca convalida nelle medaglie e nell'ordinato svolgimento delle gare. Perciò gli stadi sono circondati da cordoni di soldati, uno ogni venti metri. Devono dimostrare l'imperturbabilità dell'ordine sovietico, prima ancora che neutralizzare eventuali disturbatori. La verità di questa affermazione è provata per converso dal silenzio della stampa su qualsiasi episodio turbi tale programmatica quiete. Chi ha letto una riga della manifestazione compiuta sulla Piazza Rossa dall'esponente del «Fuori» torinese Vincenzo Francone una settimana addietro? Il silenzio sul suo gesto è stato assoluto, in contrasto con la veemente ruvidezza con cui gli agenti del «Kgb» si lanciarono per soffocarlo. Gli esperti della comunicazione di massa dell'Accademia delle scienze sanno bene che rischio rappresenti l'elettronica al servizio dell'informazione, quale potere di suggestione abbia l'immagine riprodotta simultaneamente da decine e decine di migliaia di teleschermi e fissata, in altrettante copie dalla fotografia. «OA sport, oh pace, oh progresso», esclamano lungo pròspektij e bulevarij le scritte dei cantori olimpici sovietici. E per proteggere la poesia dei «Giochi» gli organizzatori se ne assicurano il controllo totale, dall'alba al tramonto. Nulla, in nessun momento deve sfuggire alla programmazione che ha affidato a ciascuno il suo ruolo. Quello della stampa è di fornire un ritratto conveniente alla circostanza. Un ritratto di naturalismo e retorica opportunamente misurati, come quelli di Breznev e degli altri membri del «Politbiuro», ritoccati in tinta pastello, che mostrano i leader sovietici più che giovani fuori del tempo, in una Russia che sembra un mito. Livio Zanotti Reza Palhavi durante un viaggio in Italia dopo le nozze con Soraya

Persone citate: Breznev, De Coubertin, Giovannetti, Livio Zanotti Reza, Vincenzo Francone, Vladimir Salnikov

Luoghi citati: Germania Federale, Irlanda, Italia, Mosca, Russia, Urss