E Lama andò a Canossa di Vittorio Gorresio

E Lama andò a Canossa Berlinguer, il sindacato, lo 0,5 per cento E Lama andò a Canossa La settimana scorsa Lama e Berlinguer hanno duellato da bravi come in una giostra del Saracino, e la tenzone si è conclusa — a quanto appare — con la vittoria di Berlinguer. Ci vuole prima un po' di cronaca dello scontro, e sarà poi possibile tentare una succinta interpretazione dei fatti. Proviamoci, con pacata e obbiettiva serenità. Innanzitutto il tema, la materia del contendere: il decreto governativo sul Fondo di solidarietà nazionale da costituire mercè il, prelievo dello 0,50 per cento dei salari dei lavoratori al fine di interventi più o meno straordinari nel Mezzogiorno. Si trattava di un compromesso raggiunto fra Cossiga e i sindacati: questi si erano irrigiditi sulla intangibilità della scala mobile ma in compenso avevano finito per accettare l'espediente del Fondo. Di qui le ire di Berlinguer, venuto a trovarsi in una condizione imbarazzante e sgradevole: nel momento in cui il suo partito sta conducendo un'opposizione dura, il sindacato entra di soppiatto nella stanza dei bottoni e tratta col nemico. Non erano queste le intese. Ancora poche settimane fa. i sindacati avevano concordato con il pei di attendere l'elaborazione di un progetto di legge comunista da sottoporre alle Camere, e invece di sorpresa «la Federazione unitaria ha fatto un accordo con il governo scavalcando le forze politiche da un lato e 1 lavoratori dall'altro». Questa sarebbe stata l'accusa che il capogruppo parlamentare comunista di Montecitorio, onorevole Ferdinando Di Giulio, ha pronunciato la sera di martedì scorso 15 luglio nell'incontro che ha visto riuniti i sindacalisti ed i maggiori responsabili del pei nella sede della Federazione unitaria in via Sicilia 66, a Roma. Da parte sindacale erano intervenuti Lama. Camiti, Benvenuto, Garavini. Scheda e Trentin, uno statò maggiore di tutto rispetto. Non era comunque da meno la rappresentanza del partito: insieme a Berlinguer la componevano i due capigruppo della. Camera e del Senato. Di Giulio e Perna, e Cniaromonte responsabile della politica economica del pel. Incontro, quindi, a livello altissimo, un vero e proprio vertice di grandi 1 quali, a ciò che si racconta, si sa¬ rebbero scambiati parole fiere e intimazioni minacciose neppure troppo velatamente al limite del ricatto reciproco. Non si hanno verbali, non si dispone di una registrazione dei dibattiti, ma si narra che Enrico Berlinguer avrebbe posto il problema in termini secchi: «La questione pregiudiziale è il decreto; o siete d'accordo con noi a ritirarlo, oppure nemmeno si discute. O siete con me o siete contro di me». Lama ha alzato la voce avendo perso la calma, e anche Camiti sarebbe stato assai polemico: «Non è detto che possiamo ingoiare il rospo. In parole povere, se volete la guerra, guerra sarà». Però, in parole altrettanto povere, i dirigenti del partito «ci hanno sbattuto la porta in faccia» commentò a conclusione dell'incontro un melanconico sindacalista, della Cisl, e in questo modo si era consumata «la più profonda e drammatica riunione fra partito comunista e Cgil degli ultimi decenni, paragonabile, forse, solo a quella che contrappose nel 1956 Di Vittorio al suo partito, a proposito dell'invasione dell'Ungheria». L'apprezzamento è di Ritanna Armeni, diligente cronista per il «Manifesto» della riunione di martedì scorso. Il giorno dopo, tuttavia, mercoledì 16 luglio, i sindacalisti comunisti sono stati convocati alle Botteghe Oscure per una nuova riunione che si è protratta fino a tarda notte. Dopo che la porta gli era stata «sbattuta in faccia» la loro andata a Canossa preludeva a una probabile sottomissione, che puntualmente c'è stata. Poco si sa di questo secondo convegno, ma sono i fatti a dimostrare come in sostanza si sia svolto e concluso, e vale a dire con la ritirata di Lama di fronte a Berlinguer. I fatti sono questi, molto istruitivi. Alle sette di sera di giovedì 17 luglio, Cossiga era in riunione a Montecitorio coi segretari dei tre partiti di governo, Piccoli, Craxi e Spadolini, quando un flash di agenzia gli faceva sapere che Giorgio Benvenuto segretario dell'Uil aveva chiesto il riesame o per dir me-, gho il ritiro del decreto sul Fondo di solidarietà, e che la Cgil consentiva con la proposta dell'Uil. Per il governo era un colpo di scena: fino a poche ore prima esso era di fronte all'opposizione di un pei in contrasto col sindacato, e adesso era il sindacato ad accettare e a fare propria la linea comunista. Non è questa la sede per entrare nel merito del decreto sul Fondo (che peraltro il senatore democristiano Francesco Paolo Bonifacio ex presidente della Consulta ha definito Incostituzionale) e sarà più opportuno tentare un minimo di interpretazione della cronaca sino ad ora fornita. Il dissènso fra Lama e Berlinguer indubbiamente esiste, come del resto già esistette quello fra Di Vittorio e Togliatti, ma nell'attuale nuovo primo round del match sindacatopartito è il partito che ha vinto. Ai punti, se si vuole, ma in misura abbastanza netta. Humiliter o non humlliter, il sindacato insomma se subiecit, si è sottomesso una volta ancora alla supremazia del partito. Un giorno e l'altro le cose potranno forse cambiare, ma per il momento non è lecito presumere che questo governo possa aggirare, escamoter come si dice in francese, l'opposizione comunista tentando accordi sottobanco con i sindacati. Questi rimangono sensibili al richiamo del loro mitico partito guida e sono pronti all'obbedienza. Sempre esprimendoci In parole povere, il governo deve fare i suoi conti con il pei, l'oppositore numero uno. Non sono ammesse molte illusioni. Vittorio Gorresio

Luoghi citati: Canossa, Roma, Ungheria