C'è una guerra invisibile? di Guido Ceronetti

C'è una guerra invisibile? COLLOQUIO A PARIGI CON PHILONENKO, FILOSOFO-POLEMOLOGO C'è una guerra invisibile? «Da molto tempo l'Unione Sovietica va costruendo, pezzo per pezzo, una smisurata, inafferrabile Muraglia Cinese sottomarina» - «Siamo diventati eccellenti droghieri: finché riusciamo a convincere i russi di essere il migliore degli empori commerciali a loro disposizione, l'Europa sarà al sicuro» - «Le nostre sagge nazioni non combattono più: rievocano» PARIGI — Gli statisti s'incontrano per mentirsi e per essere smentiti, gli uomini di pensiero per filosofare insieme di chi vince e di chi perde, ricavandone il piacere della verità. Tempo fa, aprendo a caso la raccolta di Essais sur la philosophie de la guerre di Alexis Philonenko (Vrin 1976) mi attirarono subito due nomi fra i più magnetici: Machiavelli, Saint-Just. Ecco un volume che, comprato, non mi è marcito nel mucchio: c'è da prenderne abbondantemente del difficile, di cui non si è mai abbastanza armati. Ci sono saggi magistrali su' Proudhon, Kant, Tolstoi e uno, specialmente, sul linguaggio della guerra. Valeva la pena cercare Philonenko. Nell'irrazionalità fondamentale dei comportamenti umani più civili, nell'impossibilità di una convivenza senza avventura di popoli e Stati, l'autore indica l'origine e l'essenza dell'idea machiavelliana della guerra, e commentando l'aforisma di Saint-Just sulla Virtù che sposa il Crimine nei tempi di anarchia (ah quanto vicino a Sade!) osserva che l'anarchia «non è uno stato provvisorio ma permanente», perciò come la vita non è che una precaria vittoria sulla morte «l'esistenza pubblica non sarà mai altro che l'insozzamento della virtù». In questa scoperta d'abisso (che proprio mi pare del Sade applicato alla politica) si brucia l'esistenza leggendaria di Saint-Just, decapitato dalla legge del perpetuo fallimento umano, di cui Machiavelli, più capace di tolleranza delle sregolatezze della storia, ha scrutato la forza e le azioni. Se non si fanno i conti coll'Irrazionale, nostro ambiente vitale e soffio creatore, un vero ragionare dei problemi della guerra è impossibile. Più che di guerra in astratto, di guerre specifiche e vicine ho parlato con Philonenko nella sua casa di Parigi.' via via rompendone la rigidezza accademica (è professore di filosofia nelle Università di Ginevra e di Caen) fino a quel grado infissabile di calore umano in cui, misteriosamente, il dialogo facendosi più slegato e inatteso, comincia a farsi percepire l'irrazionale metafisico grazie al quale gli errori dialettici, gli schemi inguaribilmente razionali del discorso occidentale, ci fanno il dono d'indebolirsi e di sciogliersi. Bisogna che spunti in noi il fiore dell'ironia fatale della storia, perché parlare di politica non somigli a una specie di delirio. Infatti, quasi tutti delirano. ' L'intelligenza e l'abitudine dei problemi astratti si combinano, in questo filosofo, con una conoscenza inaspettatamente densa e vivace delle questioni militari. Una singolare esperienza di guerra (l'Algeria, fatta nei servizi psicologici dell'esercito godendo di un'eccezionale li¬ bertà per l'approfondimento dei due campi) lo ha scoperto polemologo. Questo, insieme a Kant e a Schopenhauer, non guasta: gli occhi, già bene aperti, si riempiono di più realtà d'uomo. «Ufficialmente — mi dice — l'Algeria non fu mai una guerra. Era presentata come un'operazione di polizia, affidata ad atleti, a giovani sportivi. Già era stata castrata dalla propaganda la guerra d'Indocina: proibito chiamarla guerra coloniale! Se si chiama guerra la guerra tutto si complica, addirittura c'è il rischio di accorgersene quando si è coinvolti. Cosi la pena di morte: ufficialmente quasi non esiste più. eppure sempre più si emettono ed eseguono condanne a morte, da parte di organizzazioni private e. in segreto, anche pubbliche. E le superpotenze non confesseranno mai di essere in guerra, pur facendosi la guerra e facendola ad altri. «La guerra afghana è una guerra solo per noi, spiriti maligni: per i buoni non è che una delle innumerevoli' applicazioni possibili della metafora russa dell'aiiifo fraterno. Si dice che la pace va mantenuta, quando sarebbe il caso di negoziare per ristabilirla, visto che la guerra russo-americana e mondiale (Europa contro Asia, o meglio Asia contro Europa, come al tempo delle guerre persiane) è in atto da parecchio tempo, e soltanto la po- tenza della metafora nel rimuoverla vieta alla coscienza comune di esserne oppressa e ci protegge, finché la pace con la smorfia non diventi una killing zone vicinissima, dal panico. Intanto, già la concentrazione di mezzi e di fuoco nelle guerre locali è oggi ai livelli massimi raggiunti nella seconda mondiale: una battaglia di tremila carri, come nella guerra di Kippur, uguaglia gli impegni maggiori degli eserciti tedeschi e russi nel 1943-44 su un fronte molto più esteso. «Si, c'è la guerra ma. non nominandola, si può anche credere che ci sia soltanto una schermaglia intorno ai giochi olimpici. La prossima fase potrebbe denominarsi rilancio della distensione: piacerebbe a tutti. E' una guerra che si fa con armi spionistiche, economiche, convenzionali... I punti dove si può vederla meglio sono circoscritti, ma là guerra occulta, questa occupa tutti i meridiani e tocca i confini di Van Alien. Il nemico è innominato: chi sta all'Ovest lo include vagamente nell'Est... Soltanto la Cina, causando gravi imbarazzi, da favola lugubre, osa dire è quello, è 11. ed è uno dei suoi stili di essere in guerra. «E' in corso, di enorme importanza, anche una grande guerra sottomarina, che ha per ora un vincitore. Se vogliamo nominarlo, è l'Unione Sovietica. La sua grande vittoria è stata quando il primo sommergibile nucleare russo è penetrato nell'Atlantico del Nord. Da molto tempo l'Urss va costruendo, pezzo per pezzo, una smisurata, inafferrabile Muraglia Cinese sottomarina per bloccare, quando verrà il momento, i convogli americani in rotta verso l'Europa. Credo che per l'Urss sia molto più importante avere i suoi Polaris nell'Atlantico del Nord, che truppe da parata imperiale a Kabul. Ma se ogni tanto, laggiù, un sottomarino russo scompare, la Tass non dirà certo che c'è stata un'opera'■ zioné i di guerra degli imperialisti, —segno che é' una guèrra piuttosto seria. «La storia si è fatta celere in tutto, eccetto che nelle guerre, ormai interminabili. E questa nuova guerra mondiale sarà la più lenta di tutte: sulla scala planetaria ci si muove a piccoli passi e con immenso sforzo, come sulla sabbia lunare, e quando si consegue una vittoria manca il piacere di poterlo gridare a tutti. Lo scacco matto non è perso di vista, ma cosi differito da non parere più uno scopo. «Se i russi non si faranno troppo invischiare dalla loro eterna vocazione al martirio e l'elemento irrazionale non avrà fretta di scoprire le sue infallibili carte. l'Europa occidentale può ancora contare su un buon periodo di relativa pace e di relativa indipendenza. Siamo diventati degli eccellenti droghieri. Finché riusciamo a convincere i russi di essere il migliore degli empori commerciali a loro disposizione per prodotti finiti ed alimentari, pezzi di ricambio, invenzioni e ordigni militari di ogni specie, siamo al sicuro da un'invasione demolitrice e da un attacco missilistico. La politica europea, sotto metafore proprie, come fermezza e disponibilità al negoziato, aperta condanna dell'aggressione eccetera, intende dire a Mosca, essenzialmente che la drogheria rimane aperta, anche durante le ferie. Non è meglio un bazar ben fornito, e che sa far bene i suoi affari, di un bazar saccheggiato e subito vuoto? «L'estendersi della Cee è visto molto bene al Cremlino: è la drogheria che si aggiunge locali e vetrine. Una delle peggiori sciagure per Mosca sarebbe invece se un partito comunista prendesse o si associasse ufficialmente al potere in Francia o in Italia, perché una delle principali conseguenze sarebbe l'impoverimento dei depositi, e il fatto clamoroso instaurerebbe un'epoca di fastidi imprevedibili. Nessuno è più maleamato, a Mosca, dei comunisti occidentali. «Neppure sulla Jugoslavia hanno fretta di mettere le mani. La considerano già dentro all'impero, ma in libertà provvisoria. Quanto a Israele, resta l'osso più duro, in senso morale, dello schieramento occidentale, ma non abbiamo in comune la stessa causa. Se l'Europa è il Droghiere, Israele è forzato a essere il Mendicante: senza la protezione del Ricco, il suo cento per cento d'inflazione ne comprometterebbe l'invincibilità. «Israele ci procura, senza alcun rischio nostro, il brivido dello spettacolo del coraggio, ma da noi spettatori, invece di applausi, non riceve che deplorazioni. Le nostre sagge nazioni non combattono più: rievocano. C'è una straordinaria ansia di non dimenticare le guerre del passato, per un segreto timore di ritrovarci, alla prova dello specchio, irrimediabilmente trasformati in commercianti pronti a tutto per la tranquillità e il denaro. Diceva Barbey d'Aurevilly: "La gloria delle ferite, anche cicatrizzate, è di far male sempre. E'il resto dell'onore"». C'è anche un altro resto dell'onore, ed è la lucidità. In Europa non siamo tutti orbi o con la lingua legata o ministri degli esteri. C'è un crepitare di fili luminosi nell'aria morta delle nostre città, e sono i pensieri emessi dalle menti senza manette. Provo forte simpatia intellettuale per questo filosofo, nobilmente antihegeliano, dall'aria svagata e dall'aspetto malaticcio, che guarda la storia con l'occhio di chi ne conosce l'appassionante nullità e ne accetta l'assurdità: la sua voce lenta, senza colore, è certo di quelle che scampano, se i suoi uditori universitari non siano predestinati alla confusione, dalla menzogna e dal buio. Pretendere che la guerra sia eliminabile dalla condizione umana non è sempre saper pensare, senza nevrosi, la pace. Solo, forse, era possibile evitare che la guerra, a causa dello spaventoso imbarbarimento tecnologico e dell'anarchia politica, degenerasse e si estendesse tanto. Ma. chi sa. neanche questo era in nostro potere. Alle considerazioni di Alexis Philonenko sulla strana guerra mondiale in atto, aggiungerò un pensiero di Kautilya. l'indiano dell'epoca di Alessandro di cui solo il nostro crudele Machiavelli ha in occidente uguagliato la profondità: «La guerra silenziosa consiste in pratiche segrete e in complotti suscitati in casa del nemico per mezzo di agenti segreti». I custodi della drogheria, pigri e maldestri ai poligoni di tiro, potrebbero almeno esercitarsi su queste antiche cantilene di avvertimento. Guido Ceronetti