Sacro, disperato amore di padre

Sacro, disperato amore di padre Coccioli; guru, droga, un delitto Sacro, disperato amore di padre Carlo Coccioli: «Le case del Lago», ed. Rusconi, pag. 232, lire 8000. Presentato come romanzo sapienziale p poema Zen, Le case del Lago sembra un soggetto di Luchino Visconti diretto da un regista che apprezza Castaneda e Polanski, e tiene sul tavolino il tibetano Libro dei Morti. Il protagonista-narratore è un intellettuale europeo che vive su un lago messicano con una cuoca siciliana che è anche un po' pitonessa, un ragazzo messicano, Damaso, che gli fa da figlio, e due cani ultrasensibili. Alcuni seri disturbi cardiaci lo hanno avvisato che il tempo del commiato è vicino, ma più che dalla paura della morte (o magari da quella di una possibile eternità) l'uomo è angosciato dalla sorte della piccola famìglia che gli sopravvivrà. L'amico che potrebbe occuparsene ci sarebbe: un grande editore ebreo polacco, Joseph King, emigrato negli Stati Uniti dove ha fatto fortuna, che possiede anche lui una villa sul lago. Ma è proprio da 11 che arrivano le complicazioni; il secondogenito Pierce, che ha il cranio rasato e la tunica arancione degli Hare Krishna, ospita un guru italofrancese, monsieur Cavalcanti, quantomeno ambiguo; an- che più inquietante è il terzogenito Tadeusz, un efebo tre-' dicenne, piccolo maestro di seduzioni, che si esprime oracolarmente in un inglese elisabettiano, ripete come in trance parole di una lingua ignota, e vuole essere chiamato col nome di uno scrittore polacco, già autore di un bestseller sul Lager che si era poi rivelato un criminale abietto, delatore e collaborazionista. Sullo sfondo, la figura di uno scimmiesco maggiordo ino brasiliano di colore, esperto di cruenti riti vodù. che si rivelerà l'anima nera dell'intera vicenda. Con tali ingredienti, il dramma scoppia puntualmente: monsieur Cavalcanti sparisce nel lago, e da non dubbi indizi è chiaro che si tratta di un delitto; soltanto alla fine sapremo quali sordi de storie di droga, sesso e ricatti esso nasconda; e come le vie della perfezione spirituale siano lastricate di miserie e di inganni. Ma non è un finale wagneriano, con fiamme che si alimentano di abiezioni grandiose, quanto un disvclamento di trucchi da fiera, un pasticcio da cronaca nera da cui il soprannaturale resta escluso, a onta del gran parla,re che se ne la per tutto il libro. Che proprio di parlare si tratta: Coccioli ha disposto la storia in una struttura dialogica, in cui il narratore discorre con un interlocutore (confidente, psicoterapeuta, o alter ego), tra intervista e commento. E' una soluzione tecnica che permette all'autore di intervenire con riflessioni e note a margine, che il più delle volte risultano prevedibili e superflue. Non esistendo come personaggio autonomo, questo interrogante finisce per rallentare il ritmo del racconto, anziché favorirlo; e insieme con lui Coccioli resta incerto tra l'aforisma e il ro manzesco, tra la divulgazione lilosolica e la profondità talmudica. Di fatto, il romanzo non racconta una fiaba mistica, quanto piuttosto (e magari senza saperlo) la storia di una. paternità mancata. Le pagine migliori sono quelle dedicate ai rapporti del protagonista con i suoi possibili figli, Damaso, Tadeusz, i cani; vi.sentiamo la trepidazione £ la malinconia di uria vocazione delusa, la tenerezza di chi vuole affidare a un tedoforo ideale la continuità della vita. Il vero senso del sacro che il libro vuole esprimere sta qui. nell'episodio in cui il protagonista guarisce Damaso del suo male oscuro a forza di uno stoico e disperato amore paterno. Ernesto Ferrerò

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