Di paese in paese le sue SS uccidevano e incendiavano

Di paese in paese le sue SS uccidevano e incendiavano Di paese in paese le sue SS uccidevano e incendiavano Lo chiamavano «il monco», il monchino». Alto, robusto, volto tondo, i capelli castani e il braccio sinistro amputato sotto il gomito, il maggiore SS Walter Reder, fu Rudolf e di Francesca Ludwig, nato il 4 febbraio 1915 a Freiwaldau (Cecoslovacchia), era apparso ai contadini, alle donne e ai ragazzi dell'appennino tosco-emiliano — in quella tragica estate 1944 — come uno spietato carnefice in divisa che ovunque passava con la sua orda lasciava dietro di sé una scia di sangue, di incendi, di distruzioni. Figlio di un piccolo industriale fallito, buon studente e ottimo sportivo, Reder era entrato, nel 1934, all'accademia delle SS di Berlino uscendone col grado di ufficiale. Durante le prime fasi della guerra contro la Russia, gravemente ferito, gli era stato amputato un braccio. Finita la convalescenza aveva appena compiuto 29 anni, nel maggio 1944, era stato mandato in Italia. Poco dopo, quando Firenze fu liberata, Kesserling decise di ritirarsi dalla Toscana aprendosi la strada verso la Padania in piena sicurezza: a Reder venne affidato il compito di fare terra bruciata nei punti più delicati del fronte, i baluardi dell'appennino tosco-emiliano, tenuti dalle formazioni partigiane.. La «marcia della morte» del reparto che Reder comandava —il sedicesimo battaglione della XVI divisione Panzergrcnadier «ReichsfuehrerSS» — è terribilmente nota. Cominciata il 12 agosto a Sant'Anna di Stazzema (Lucca) con 560 uccisi, prosegui il 19 a Bardine San Terenzo di Massa Carrara (53 ostaggi fucilati o impiccati). Lo stesso giorno, a Valla, le SS fecero 180 vittime; il 24 agosto a Vinca, nel Carrarese, ancora 200 morti; il 16 e 17 settembre a Fosse del Frigido e a Bergiola (Carrara) ancora 219 assassinati. Infine, fra il 29 settembre e il 1" ottobre, l'eccidio di Marzabotto con 1830 uccisi. Tremila vittime innocenti, dunque, e anche se Reder non è responsabile di tutti questi crimini certo è che — come scrissero i giudici di Bologna nella sentenza con la quale nel 1951 gli infliggevano l'ergastolo — «te morte venne data con crudeltà» e «non risparmiò nessuno»: non Giorgio Benassi, un bimbo che aveva sei mesi, non Jole Marchi che ne aveva tre, né Tito Lalli, di 23 giorni, né Vito Ciardi, nato da due settimane. In quelle che Reder. al processo, aveva indicato come vere e proprie azioni di guerra -TTT.tese cioè a,respingere le incursioni dei partigiani del Monte Sole — erano compresi delitti di una ferocia senza precedenti, che niente e nessuno avevano risparmiato: le undici donne e gli otto bimbi — componenti di quattro famiglie — trucidati in una casa poi data alle fiamme; gli ostaggi presi a Bardine strozzati con cappi di filo di ferro; il parroco di Casaglia di Marzabotto, don Ubaldo Marchioni, assassinato sull'altare assieme alla donna che stava confessando; un altro sacerdote, il pievano della frazione Colle, don Innocenzo Lazzari, gettato vivo nel rogo di un casa; la bimba di Sant'Anna di Stazzema, Giuliana Perrl, di tre anni, strappata dalle braccia della madre e sfracellata contro un muro; la donna di località Castellina assassinata assieme ai sette figli. Dei 1830 uccisi di Marzabotto 92 erano sotto i sedici anni, 110 sotto i dièci anni, 22 di due anni, 8 di una anno, 15 di meno di un anno. «Reder — disse al processo di Bologna il pubblico ministero, capitano Stellacci — appartiene a una casta militare senza scrupoli e senza morale che ha disonorato la professione delle armi. Questa, infatti, non è guerra: forse nemmeno assassinio: è qualcosa di più che non Ila nome».. Giuseppe Maycìa