Una barca di salvataggio per Ravenna che affonda di Alfredo Venturi

Una barca di salvataggio per Ravenna che affonda I CAPOLAVORI MINACCIATI DALL'INCURIA E DAL TEMPO Una barca di salvataggio per Ravenna che affonda DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE RAVENNA — Nella cripta di San Francesco si va in barca, e la dubbia trasparenza di un metro e settanta di acqua, attraversata da guizzanti pesci rossi, lascia appena intravedere i preziosi mosaici del quinto secolo. Il fondo di questa improvvisata piscina quindici secoli fa era il pavimento originale della basilica: e con uno sforzo di lettura subacquea si possono ancora apprezzare i tre esametri che ricordano come proprio qui, davanti all'altare, nel 475 venisse sepolto il vescovo Neone, costruttore dello splendido edificio che allora si chiamò Chiesa degli Apostoli. Come San Francesco, altri luoghi fatati di Ravenna bizantina sono in condizione di aprire promettenti sviluppi alla navigazione da diporto. Sant'Apollinare in Classe fino a poco tempo fa era popolata di ranocchi, finché si decise che dopotutto era meglio sostituire quel naturale gracidio col ronzio tecnologico di una pompa idrovora. Sistemi di drenaggio sono in funzione anche a San Vitale e nel mausoleo di Teodoricò, in quello che la gente chiama il Palazzo del re goto, che in realtà è ciò che resta della chiesa di San Salvatore, e a Santa Croce. edificio del quinto secolo più volte rimaneggiato, finalmente sottoposto a un razionale restauro. Il soprintendente Pavan indica proprio in Santa Croce l'esempio che illustra ciò' che sta accadendo a Ravenna. «Abbiaìno trovato sette pavimenti sovrapposti, il primo giace a due metri e mezzo sotto l'attuale livello del suolo, e c'è addirittura una base pavimentata romana a quota meno tre». Non fosse per le tre pompe, qui ci si potrebbe tranquillamente tuffare. Proprio di fronte c'è il mausoleo di Galla Placidia. La splendida tomba-della figlia di Teodosio imperatore fu completata non meno di 1530 anni fa: da allora si è abbassato di due metri e mezzo. Cosi che la struttura attuale dell'edificio tradisce completamente l'idea originaria, ben più slanciata verso l'alto, e se si va avanti cosi finisce che i visitatori sbattono il capo contro i mosaici del soffitto. Ma il problema non è certo nuovo, dice il soprintendente Pavan. Ricorda una testimonianza della prima metà del quindicesimo secolo. Leon Battista Alberti venne allora da queste parti, e vide il mausoleo di Teodorico, ciò che fu occasione di un abbaglio abbastanza grave per l'autore del De re aedificatoria. Scambiò infatti la tomba del re goto, cosi visibilmente «barbarica», per un tempietto classico. Comunque Alberti scrisse che l'edificio era sprofondato per circa un terzo. Da quei giorni sono passati altri cinque secoli, e il movimento non si è certo arrestato. Tutti i monumenti di Ravenna, quale più quale meno, si trovano nelle stesse condizioni. Per entrarvi si scendono gradini, nei luoghi più bassi o c'6 l'acqua, l'acqua insidiosa che tracima dalla falda, o si sentono i motori delle pompe. Non è un'alternativa cosi ovvia come potrebbe apparire. Infatti il pompaggio dell'acqua, dice Pavan, «può provocare dei dissesti statici». Per ora non è accaduto nulla, a San Vitale o a Sant'Apollinare o al mausoleo, ma è elementare che -il peso non sta mai fermo», che queste masse di laterizi, di pietre, di marmi greci, di pietra d'Istria, con i loro sfolgoranti rivestimenti a mosaico, reagiscono ka modo loro ogni volta che l'equilibrio è turbato. Il sistema delle pompe è in-, somma un palliativo, e il problema di Ravenna bizantina s'iscrive nel problema più generale della florida città romagnola che rischia la fine di Atlantide. «Ravenna è un problema più diffìcile di Venezia dal punto di vista tecnico», dice il soprintendente. Siamo in presenza di due fenomeni contraddittori. Il terreno che si abbassa, e questa è la subsidenza. I grandi edifici che sono sprofondati nei secoli, fino a oltre due metri e mezzo, e questo è l'apporto di materiali alluvionali dei due fiumi, Ronco e Montone, che fino a quando non si decise di deviarli in un unico corso, quello che fluisce alle spalle di Sant'Apollinare in Classe, ogni tanto scorrazzavano per Ravenna lasciandovi poi uno strato di limo. Ci sono dunque per i capolavori dell'architettura bizantina due diverse insidie. L'insidia dell'acqua dolce, che è quella cosi ben visibile nella cripta di San Francesco, e che deriva dallo sprofondamento degli edifici per cause alluvionali. L'insidia dell'acqua salata, che minaccia Ravenna intera per via della subsidenza. Una minaccia che si fa acutis- sima quando concorrono due condizioni: alta marea e venti da Sud. Le stesse condizioni che mandano l'acqua alta dentro San Marco a Venezia. Le stesse che inducono qualcuno a invocare, fra il serio e il faceto, una bella diga che blocchi per sempre Gibilterra. Non arriva a cosi internazionali ambizioni la legge speciale che si va preparando per Ravenna. Anche in questo, come si vede, la città romagnola segue il destino di Venezia: non è solo il legame antico della cultura bizantina a unire le due città adriatiche. In qualcosa, tuttavia, chi si occupa del tema specifico dei monumenti spera che la legge speciale per Ravenna differisca da quella per Venezia nel ruolo operativo del ministero dei Beni culturali. «Salvare l'arte bizantina non è roba da genio civile», dice Pavan. Cosi il soprintendente, nelle sue «osservazioni» al disegno di legge preparato dal ministero dei Lavori pubblici, ha chiesto che non ci si limiti a consultare l'amministrazione dei Beni culturali, ma la si coinvolga nella programmazione diretta degli interventi. La legge speciale, che deve ancora percorrere le due tappe parlamentari, prevede uno stanziamento di centosei miliardi. «A noi ne occorrerebbero una decina», dice il soprintendente. Una decina di miliardi per salvare Ravenna bizantina non sono la fine del mondo, anche se questi sono tempi così difficili per battere cassa. Già la Soprintendenza ha in corso impegnativi lavori. A parte i palliativi delle pompe idrovore, a parte lo scavo di Santa Croce, dove è previsto un collegamento a tunnel con il complesso San Vitale-Galla Placidia, si lavora anche al mausoleo di Teodorico. Il bel fregio a tenaglie che corona l'edificio, proprio sotto il tetto monolitico da trecento tonnellate, è infatti in cattive condizioni. La pietra d'Istria, non diversamente dalle arenarie di Bologna o dai marmi di Roma, risente della diabolica composizione di un'aria impastata di zolfo. Questo si che è un problema nuovo: cosi radicalmente estraneo a Teodorico e all'innocenza ecologica della sua stagione. Alfredo Venturi

Persone citate: Montone, Pavan, Ronco