La cattiva scienza

La cattiva scienza IL CASO SCHWIDETZKY DIVIDE PARIGI La cattiva scienza (Si doveva premiare l'antropologa tedesca, che durante il nazismo condusse ricerche sulla razza?) Il «caso Schwidetzky», scoppiato in questi giorni a Parigi, è! abbastanza esemplare perché se ne possano trarre alcune interessanti considerazioni e per-' lino, chissà, una lezione. Ecco alcuni dati di fatto. Per il centenario della morte di Pierre Broca, insigne antropologo e neurologo francese, oltre ad un convegno di neurofisiologia, svoltosi alla Salpetrière, e ad un convegno sull'ominizzazione, svoltosi presso il Centre National de la Recherche Scientifique. è stato assegnato un premio internazionale per l'antropologia fisica, diviso tra la romena Olga Nekrassov e la tedesca lise Schwidetzky. La cerimonia, tenutasi il 16 giugno, è stata turbata in loco da una protesta inscenata da. alcuni studenti e ricercatori del Cnrs (analogo francese del nostro Consiglio nazionale delle ricerche') e messa sotto accusa, a distanza, da una lettera circolare, datata 15 giugno, molto circostanziata e corredata da specifici documenti. Questa lettera, firmata da personalità di indiscusso valore scientifico, come gli antropoioghi Maurice Godelier e Marc Auge, gli storici Jacques Le Goff, Emmanuel Leroy-Ladurie e Pierre Vidal-Naquet, i genetisti Albert Jacquard e Antoine Danchin, fa presenti certi trascorsi razzisti e filonazisti della professoressa Schwidetzky. I firmatari si dichiarano sorpresi e preoccupati per gli onori resi a madame Schwidetzky «collaboratrice — dice testualmente la lettera — del prof. Von Eicksted negli anni 1935-1944 e che con questi fu uno dei principali redattori della rivista "Zeitschrift ftir Rassenkunde". pubblicata a Stoccarda, contraddistintasi per aver difeso un punto di vista strettamente razzista prima della guerra e per la sua propaganda indiscutibilmente pro-nazista dopo lo scoppio delle ostilità». La lettera prosegue sottolineando come tali teorie, ven;!;nesp poi applicate a Breslavia. (uggì Wroclaw); città nella >;,'>qUale la Schwidetzky e il Von Eicksted lavorarono e insegnarono, da quel famigerato braccio secolare' del partito nazionalsocialista che fu l'ufficio per la politica razziale (Rassenpolitisebes ami). La lettera porta allegati numerosi estratti dei lavori della professoressa Schwidetzky nell'arco dal 1935 al 1971, fornendone tante il testo originale tedesco che la traduzione francese. Non sono mancate autorevoli voci in difesa dell'antropologa tedesca, la quale dirige attualmente l'istituto di antropologia di Magonza. 11 consiglio di amministrazione della società antropologica di Parigi, il prof. Andor Toma dell'U niversità Cattolica di Lovanio, il prof. Jan Jelinek dell'Università di Brno e la co-ricevente il premio Broca, professoressa Olga Nekrassov, hanno fatto valere il carattere assai «mode rato» della scuola di Breslavia, cioè della Schwidetzky e dell'allora suo superiore Egon von Eicksted, il non-luogo a procedere nei suoi confronti deciso dalla commissione di epurazione della Slesia, dopo attento esame dei suoi atti e dei suoi scritti, infine l'indiscusso pre stigio internazionale di questa studiosa, già insignita di nume rose medaglie scientifiche, tanto all'Est che all'Ovest. Alla lettura dei passaggi incriminati, penso scelti piuttosto severamente dai redattori della lettera in questione, non risulta in effetti che madame Schwidetzky sostenesse tesi aberranti, né che si abbandonasse a prese di posizione rozzamente antisemitiche. Ne emergono rendiconti e recen sioni di libri di antropologia razziale, analisi puntuali di dati antropometrici, interpreta zioni sfumate dei tratti propri alle diverse «razze» umane. Sarebbe inesatto ritenere, almeno da quanto è dato leggere in 'questi documenti, che vi si so stenga una superiorità qualsiasi di una razza su un'altra. Il passaggio più inquietante del l'intero campionario, datato 1935 e intitolato «La ricerca razziale in Polonia», dice te stualmente: «Eccoci di nuovo riproposta (da uno studio pubblicato nel 1933) la concezione secondo la quale gli ebrei polac chi sarebbero solo leggermente diversi dalle popolazioni euro pee e presenterebbero, inoltre, forti somiglianze con le popolazioni della Germania meridio naie. Queste conclusioni sono comprensibili solamente alla luce dei criteri basilari di misura e delle tipologie della scuola di oLenéerg, esse sono contraddette da tuttii dati sin qui disponibili e dalle realtà di fatto visibili ad occhio nudo». Segue una tabella analitica sulle differenze antropometriche tra gli ebrei di Varsavia ed altre «razze» (i lapponoidi, i nordici, gli armenoidi (sic), i mediterranei, gli orientaloidi). La Schwidetzky mostra come queste differenze siano diversamente messe in risalto da due diversi metodi di misurazione e dichiara di preferire scientificamente la scala che accentua le differenze. In un articolo datato 1940 si felicita che siano state pubblicate le ricerche sulle «razze» della Slesia, effettuate sotto l'egida dell'ufficio per la politica razziale. Niente di più compromettente ci è dato leggere nei documenti forniti dagli studiosi francesi. E' troppo e non abbastanza! allo stesso tempo. Troppo, per-1 che si era nella Germania hitleriana e anche chi getta uni fiammifero può mettere a fuo- ; co la foresta. Non abbastanza,' perché le riviste di antropologia fisica, che si dichiarassero o meno «razziali», di pedanterie come quelle ne erano zeppe.' La signora Schwidetzky faceva scienza e non propaganda, questo sembra appurato. Faceva cattiva scienza in un universo avido di pretesti per una propaganda mortifera e criminale. L'antropologia basata sulle razze è cattiva antropologia. Ma non era cosa così evidente a priori. Bisognava pure che qualcuno ne facesse per capire che non funziona e non può funzionare. Così come la psicologia differenziale (quella che affibbia a uno un quoziente di intelligenza di 88 e ad un altro un quoziente di 115) è cattiva psicologia. Ma questo lo si è capito a posteriori, in base ai miserrimi risultati otte-, nuti. buoni tutt'al più per uri sergente maggiore o un capo del personale privi di conoscenza del prossimo. Questi tentativi vanno però' fatti a tempo debito e in luogo neutrale. Penso si possa essere, oggi, seripsiefiiàtri in Svizzera, in Toscana p, nel Massachusetts, ma.nQn.iri.Unione Soyìe: tica. Penso si potesse essere seri antropologi dei gruppi etnici nel 1935 e nel 1940 a Oxford e a Stoccolma, ma non a Breslavia, né a Berlino, né a Roma. La scienza può e deve essere neutrale, ma non sono neutrali i contesti umani, politici e ideologici entro i quali essa opera. La congiunzione tra scienza e quadri ambientali non è neutrale, nemmeno quando la scienza lo è. Ammettiamo che la sola ragione e il discernimento abbiano guidato la signora Schwidetzky nel vergare i suoi rendiconti anodini e le sue pedanti analisi. Dobbiamo solo per questo accomunarla con gli aguzzini di Auschwitz? Forse, dopo tutto, essere stati antropologi fisici in quegli anni e in quei luoghi non è di per sé una colpa. Vi fu chi se la cavò assai meno onorevolmente. Era forse più facile allora, in quella stessa Università di Breslavia. essere botanico o paleontologo. Del resto, la lettera precisa, assai giudiziosamente, che «non si tratta di condannare una persona, ma di evitare di dare ad intendere che l'antropologia razzista sia una parte legittima della riflessione scientifica». Vi sono schiaccianti argomenti contro questa legittimi¬ tà. Dal punto di vista strettamente scientifico ci sono volute anche le Schwidetzky per arrivare a capirlo. Dal punto di vista largamente umano il razzismo è un obbrobrio, né ci vuole la scienza per mostrarlo. Le differenze tra gli uomini sono molto più numerose e sottili che non mostri qualsiasi antropologia e qualsiasi psicologia differenziale. La signora Schwidetzky del 1980 non è la stessa del 1935. Nessuno lo è. E forse questa la lezione che ci può insegnare il caso del premio Broca. M. Piattelli Palmarini