In tribunale i rapitori di Stefania Rivoira
In tribunale i rapitori di Stefania Rivoira Incassarono 670 milioni di riscatto In tribunale i rapitori di Stefania Rivoira La ragazza, bendata, ne ascoltava attentamente le voci e le ha identificate S'inizia stamane il processo ai quattro accusati del sequestro di Stefania Rivoira, 23 anni, figlia di un industriale, rapita 11 24 maggio del '77 e liberata sedici giorni dopo. Per la sua vita fu pagato un riscatto di 670 milioni (i rapitori avevano inizialmente chiesto: tre miliardi). Davanti ai giudici della seconda sezione penale del tribunale compaiono i fratelli Francesco e Antonio Prigitano, 37 e 31 anni, originari di San Giovanni di Gerace (Reggio Calabria), Tommaso Pentassuglia, 37 anni, dell'Aquila, e Carmelo Ferrone, 32 anni, di Adriano (Catania). L'inchiesta condotta dal giudice istruttore Sorbetto, che li ha rinviati a giudizio dopo quasi tre anni di indagini, si basa essenzialmente sul riconoscimento da parte della ragazza delle voci dei suoi sequestratori. Durante tutto il periodo della sua prigionia, Stefania Rivoira fu infatti tenuta bendata, ma i banditi parlarono tra loro, davanti a lei, senza preoccuparsi di alterare la voce. Alla loro identificazione i carabinieri giunsero nell'aprile '78, quando del quartetto il solo Ferrone era ancora in libertà: gli altri erano infatti già stati arrestati perché coinvolti in diversi episodi criminali. I fratelli Frigitano sono accusati dell'uccisione del ricettatore Domenico Tomasello, abbattuto davanti a un bar di via Saluzzo il 25 agosto '77; il Pentassuglia era allora ritenuto implicato nel sequestro di Giuseppe Navone. Stefania Rivoira non ha avuto esitazioni nel riconoscere nelle voci dei quattro, sia registrate sia «dal vivo», quelle dei personaggi che la tenevano segregata. Ulteriori particolari e prove hanno infine permesso di consolidare l'accusa, che è invece caduta nei confronti di altre persone inizialmente sospettate di complicità nello stesso sequestro. Nel quadro dell'inchiesta rimane ancora, tuttavia, un grosso «buco»: quello sui nomi dei mandanti del rapimento nonché sulla destinazione presa dal denaro del riscatto, m. sp.
Luoghi citati: Aquila, Catania, Reggio Calabria, San Giovanni Di Gerace
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