Due voti paralleli da oltre trent'anni

Due voti paralleli da oltre trent'anni Elezioni politiche e amministrative Due voti paralleli da oltre trent'anni Uno studio esauriente che dia il rapporto fra i risultati delle elezioni amministrative e quelli delle politiche succedutesi in Italia dal 1946 ad oggi non credo sia stato mai fatto, o per lo meno non lo conosco, né certamente sono in grado di provarmi a redigerlo nella ristretta sede di un breve articolo. Troppe sono del resto le incongruenze tra i dati relativi, la maggior parte dei quali sono per natura loro incommensurabili, e sarà quindi il caso che mi limiti a esporre considerazioni di carattere generale. Mi sembra giusto procedere per grandi cifre riferite a blocchi tipici quali son quelli rappresentati dalla de, dal pei e dalle formazioni della destra, volta per volta presi in esame. Ne risulta una linea di tendenza tutto sommato abbastanza chiara: dal '48, data delle elezioni politiche per la prima legislatura, al '79 per la ottava, la de è stata in curva discendente: dai 300 deputati eletti a Montecitorio nella favolosa giornata del 18 aprile, si è vista ridotta lo scorso anno a 261, una quota venuta confermandosi pressoché costante nei passati trent'anni, con rare variazioni di massima e di minima (273 seggi nel 1958,260 nel 1963). Per il pei la curva è stata invece ascendente: 131 deputati nel 1948,191 nel 1979, dopo un'impennata a quota 222 nel 1976. C'è stato, dunque, un forte calo comunista fra la settima e l'ottava legislatura, ma nel complesso la tenuta del pei deve obbiettivamente considerarsi effettiva, essendo stato continuo il suo progresso da un'elezione all'altra. Preso atto della caduta del 1979, c'è da osservare che essa comunque rappresenta sempre un vantaggio rispetto ai risultati del 1972, quando in un più calmo andare dell'elettorato i comunisti entrati a Montecitorio furono 175. Terzo blocco, la destra. Questo è il settore dove si sono registrate più varianti, almeno quanto alle denominazioni (movimento dell'uomo qualunque, partiti monarchici sotto sigle diverse, msi-des{,ra nazionale) ed è pertanto un campo che è meno1 facile esplorare. In ogni modo si può parlare di una certa stabilità. Qualunquisti e monarchici erano 35 alla Costituente, e nella otta¬ va legislatura i missini — vale a dire gli eredi delle precedenti formazioni di destra — sono 31, una trascurabile differenza. C'è solo da notare che la curva della destra ha segnato alti e bassi quali, nel corso degli anni, non si riscontrano in uguale misura fra democristiani e comunisti: c'è stato un crollo nella prima legislatura (a quota 13), un'impennata a quota 68 nella seconda, e altri sensibili sbalzi avanti e indietro nel corso degli anni. La media ponderata per il periodo in esame sì aggira attorno ai 38 seggi per l'estrema destra. Quanto alle altre formazioni fuori dei blocchi qui considerati, il loro andamento non può essere preso in esame per ragioni di spazio, ma è lecito affermare che in linea di massima esso è venuto rivelandosi più o meno affine al quadro generale che ho tracciato, e che consiste nella constatazione di una diffusa vischiosità elettorale che rende stabili, sia pure con piccoli cedimenti, il centro e la destra e consente un lentissimo progresso alla sinistra comunista. Ci si domanda se a passare dalle elezioni politiche alle amministrative, che ancor oggi ci vedono impegnati, sia riscontrabile il medesimo fenomeno. Purtroppo i calcoli sono turbati da vari fattori, primo dei quali è la differenza degli stessi sistemi elettorali, Nei Comuni di popolazione inferiore ai 5 mila abitanti si vota in un modo, il maggioritario, e nei più grandi in un altro, il proporzionale. In secondo luogo, quando si tratta di elezioni amministrative entrano in gioco valutazioni di carattere locale con proliferazione di liste civiche — pensiamo a quelle dette "del melone" — che in molti casi modificano il quadro risultante in sede nazionale. Infine, il computo valutativo dei seggi conquistati in sede regionale, provinciale, comunale e circoscrizionale è meno semplice di quello che riguarda i seggi in Parlamento: c'è differenza tra l'importanza di un consigliere di villaggio e quella di un eletto in una grande città. Ciò posto a scanso di possibili trionfalismi avanzati da quelli che saranno i sedicenti «vincitori» nell'odierna consultazione, nessuno può negare che dal voto di quasi 43 milioni di aventi diritto sarà comunque possibile trarre validissime indicazioni politiche nazionali. Sappiamo bene che le amministrative del 1975 furono un preludio che le legislative del 1976 vennero a confermare puntualmente, e in via ancora più generale si potrebbe ricordare che i risultati delle elezioni comunali del 10 aprile 1930 bastarono in Spagna a determinare la caduta della monarchia. Non siamo a tanto, questa volta in Italia, ma sarebbe un errore immaginare che la consultazione di oggi per la scelta di 720 consiglieri regionali, 2283 provinciali e 120 mila 112 comunali (40 mila 332 eletti con il sistema proporzionale e 79 mila 780 con il maggioritario) non abbia anche un valore politico. Le curve di tendenza, quando la «campionatura» è tanto larga, immancabilmente coincidono. Vittorio Gorreslo

Luoghi citati: Italia, Spagna