Un uragano di polemiche sulle mostre della Biennale

Un uragano di polemiche sulle mostre della Biennale A Venezia mali antichi e nuovi e la solita «mercatanzia» Un uragano di polemiche sulle mostre della Biennale Per ora ne sono aperte sette: la sezione dì architettura si inaugurerà tra un mese Precedute — e forse arricchite (perché no?) — dal solito battage delle attese e delle diatribe, si sono aperte ieri le sette mostre della Biennale veneziana (la sezione staccata di architettura, diretta da Paolo Portoghesi, si inaugura invece un mese dopo). Abbiamo due omaggi: a Mario De Luigi (nell'ex chiesa di San Stae) ed al francese Balthasar Klossowski (Chiesa Grande di San Giovanni Evangelista), presentati nell'ordine da Marchiori e da Jean Leymarie. Il «Pianeta Strindberg», confidato alle braccia e all'intelligenza di F.C. Crispolti, Ture Rangstrom e Gorana Siodorstrom. getterà luce con disegni e manoscritti sull'attività, defilata forse e sommersa, di uno dei non pochi scrittori che si espressero anche attraverso l'immagine. Nell'ex chiesa di San Lorenzo, il Centre d'Arts Plastiques di Bordeaux tratteggia il quadrante delle proprie produzioni; mentre alla Ca' Pesaro i «musei di Praga» (curatori Jiri Kotalik e il nostro Guido Perocco) offriranno il fiore dei loro tesori artistici, da Kupka sino all'avanguardia storica. Sin qui tutto è parso paciiico, perlomeno ai più. Sulle altre mostre — segnatamente su quelle in cui il nome di Achille Bonito Oliva figura tra i responsabili — si è rovesciato un uragano di polemiche. E «pou'r cause», ovviamente. Insieme con Compton, Martin Kuntz e Harald Szeemann. già direttore di Kassel. Bonito Oliva ha infatti atteso all'allestimento di una rassegna critica sull'arte degli Anni 70 (il tutto all'interno del Padiglione Centrale ai Giardini). E ha chiamato, perché dessero conto della situazione nostrana, artisti a lui vicini per impostazione culturale e da lui naturalmente prediletti. Si tratta di Anselmo, Boetti, Calzolari, Fabro. Kounellis, i due Merz, Paolini, Peìione, Zorio (presenti, giacché presentati dallo stesso critico, anche nel 78). Sono scelte ora opinabili ora sottoscrivibili a seconda dei nomi. Ma se il tema centrale della rassegna era quello di tracciare un bilancio o un diagramma critico, facendo ordine o addirittura storia, il meno che si possa dire è che nell'ultimo decennio c'è stato parecchio di più (e in certi casi di meglio), anche se niente è sembrato esemplare. Quando però si arriva all'altra rassegna, la «Mostra internazionale dei giovani artisti», e ci si accorge che gli italiani — Castelli, Chia, Clemente, Cucchi, Nicola De Maria. Germana, Paladino, Tatafiore — sono anch'essi tutti vicini a Bonito Oliva ma altresì nel cuore, e negli interessi, di un gallerista (Sperone) e di un mercante (Tazzoli). qualcosa evidente-^ mente diviene meno convincente. Intendiamoci. E' comprensìbile che un lavoro comunque critico conduca per forza di cose a privilegiare determinati settori della ricerca artistica e a convergere con particolari operatori e realizzatori piuttosto che con altri. Non si chiede a nessuno di appoggiare le proprie ipotesi e le conseguenti «proiezioni» e «progettazioni» su esempi e interventi che vanne magari in senso opposto. Un intervento però appena fondato su dinamiche reali viene da un tessuto connettivo, al quale si rinvia e con cui ha un rapporto dialettico. Sul piano critico, anche per non isolarsi in una specola cosi' asettica da risultare alla fine catodica, si impongono «scelte comparative» — come ha suggerito non senza ragioni Renato Barilli. Un allargamento dell'orizzonte culturale lo si ha per fortuna con le altre presenze italiane. Quest'anno vengono aperti padiglioni di ben 31 nazioni. In quello italiano, Vittorio Fagone ha ordinato una pattuglia, si spera agguerrita, con Agnetti, Bar- tolini, Battaglia, Carpi, Dadamaino, Griffa, Olivieri, Patella, Vaccarl, Verna, Zaza. Si dice che il curatore abbia «eroicamente» resistito alle infinite sollecitazioni, e agli interessi che stanno loro dietro. E' già un fatto importante. Ma al di là di questo, come è possibile risolvere i problemi della Biennale? ' Qualche mese fa, Giulio Carlo Argan proponeva di non menare eccessivo scan- _ dalo (tuttoché un po' di' scandalo sia pur da esibire, soprattutto di fronte alla arroganza e alla cultura da sottogoverno dei partiti del Palazzo). Osservava Argan: se in quanto, istituzione la Biennale è vagamente obsoleta e superata, e se oggi fare cultura significa soprattutto approntare documentazione e informazione critica, il compito dell'Ente era trasformare la ronde delle esposizioni e delle performa7ices in un «moderno strumento» davvero funzionale alle attese di massa. Argan proponeva di creare un ufficio-studi permanente, dove più critici potessero lavorare con agio e con tempo a disposizione. E' un proget¬ to sensato: tale tra l'altro da impedire la responsabilità unica e la conseguenza delle scelte univoche. Ma che s'arrivi a tanto, considerata la non resistita impellenza delle spartizioni, è davvero da revocare in dubbio. Intanto Venezia s'apre: con i mali antichi e nuovi, coi provincialismi e le formule vecchie proiettate su scala europea, sé, non proprio internazionale, con la dimostrazione — non richiesta — che là dove c'è arte, o una sua propaggine, c'è sempre in agguato la, santa e intoccabile «mercatanzia». Con tanto di intellettuali pronti a ratificare. Malgrado tutto, si spera, che qualcosa di buono possa' esserci. Ma volete scommettere che i veri trionfatori — al limite, i più suggestivi — saranno gli anziani: l'erotismo di Balthus, l'onirismo di Strindberg, lo splendore dell'arte ceca e slovacca? E che saranno essi a fare concorrenza all'accoppiata Warhol-Beuys, che s'annuncia, dopo l'happening partenopeo, come l'evento di maggior risonanza dell'intera manifestazione? Vedere per giudicare, comunque. Floriano De Santi '

Luoghi citati: Bordeaux, Praga, Venezia