La violenta stagione dello squadrismo nero
La violenta stagione dello squadrismo nero La violenta stagione dello squadrismo nero Manlio Cancogni: «Lo squadrismo», ed. Longanesi, pag. 187, lire 3800. Pubblicato per la prima volta nel 1959 col titolo di Storia dello squadrismo, questo bel libro di Cancogni (autore che non ha bisogno di presentazioni) è un gradito ritorno: i protagonisti che animano le sue agili pagine sempre venate di finissima ironia sono i pìstoleros in camicia nera (parole del prefatore) che sessant'anni fa sparavano, incendiavano, uccidevano agli ordini di Mussolini. Gli squadristi erano quasi tutti ex arditi della grande guerra, incapaci, per un verso o per l'altro di adattarsi alla vita civile, si chiamavano Vecchi, Dùmini. Finzì, Brandimarte, Bonaccorsi, Muti, Marsich, Perrone-Compagni; le loro squadracce — comandate dai Grandi, dai Balbo, dai Caradonna, dagli Arpinati, dai Farinacci, dal Tambu¬ rini — avevano nomi come «La Disperata», «Randaccio», «Celibano», «L'Ardente». Sempre, il terrore li accompagnava nelle città e nelle campagne: giornali socialisti, Camere del lavoro e cooperative contadine incendiate; operai e sindacalisti aggrediti a manganellate, feriti, uccisi. La stagione violenta dello squadrismo, cominciata con D'Annunzio a Fiume e il suo reboante «Natale di sangue», non si concluse con la Marcia su Roma ma durò fino al delitto Matteotti e alle leggi speciali del gennaio 1925. Allora i bravacci — dato che non servivano più — uno dopo l'altro scomparvero, inghiottiti dalla «normalità». Qualcuno fini in carcere per reati comuni; qualche altro, come Cesare Forni, di Mortara, si mise in urto con Mussolini, venne bastonato a sangue dai suoi stessi camerati e morì, in questo dopoguerra, oscuramente. g.m.
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