«Siamo abbandonati da tutti» di Claudio Giacchino

«Siamo abbandonati da tutti» Assemblea dei magistrati per ricordare il collega Mario Amato ucciso a Roma «Siamo abbandonati da tutti» Guido Barbaro: «Si vive nell'attesa del prossimo omicidio senza ^joter fare nulla. Sarebbero arrivate 6 auto blindate, ma senza autisti» - Nicolò Franco: «Atmosfera di rassegnazione» - Vladimiro Zagrebelsky: «Che cosa hanno fatto i ministri Rognoni e Morlino per il nostro collega che si sentiva in pericolo?» Il giudice è stanco di ripetere, ogni volta che un collega è ucciso o ferito dai terroristi, che si sente abbandonato ed impotente, che non ha più alcuna fiducia nelle autorità, che non riesce più a credere a promesse mai mantenute che in lui convivono paura, rabbia e rassegnazione. Adesso dice che non è più disposto ad ascoltare le consuete parole di cordoglio e incoraggiamento e chiede che dopo l'ennesimo assassinio di un magistrato siano finalmente prese adeguate misure che gli garantiscano la tutela fisica e la possibilità di lavorare in condizioni meno caotiche ed angosciose. Questi i significati dell'assemblea che i magistrati torinesi hanno tenuto ieri mattina a Palazzo di Giustizia per commemorare Mario Amato il collega assassinato lunedi a Roma da killers — pare — neofascisti. Gli interventi si sono succeduti per quasi un'ora e mezzo, hanno sparso nell'affollata aula della prima sezione del tribunale collera, sgomento imbarazzo, un for• te sentimento di frustrazione. Alla fine è stato emesso un comunicato in cui si afferma che se non si provvederà immediatamente per la sicurezza dei giudici «verranno assunti estremi messi di protesta». Una formula che comunque non ha entusiasmato tutti: alcuni magistrati hanno commentato: «Nulla di nuovo, si sotto dette le solite parole, si è fatto un po' di corporativismo: arriverà forse qualche macchina blindata in più. ma la sostama delle cose non cambia». Sintomatico che a pronunciare questi concetti sia stato anche uno di quei giudici che «lavorano» sul terrorismo e che quindi, più di altri colleghi ha motivo di temere. Cosi come è sintomatico che proprio nessuno del «pool» di Inquirenti sull'eversione abbia preso la parola. Che la rassegnazione alla precarietà della situazione attuale e la sfiducia siano cosi grandi? Gli interventi, ad ogni modo, sono stati abbastanza duri, più che in passato le accuse sono state «personalizzate», nell'aula sono stati fatti i nomi del ministro dell'Interno. Rognoni, di Grazia e Giustizia, Morlino, del procuratore capo di Roma. Di Matteo, del prefetto di Torino, del capo di gabinetto della questura. Guido Barbaro, presidente della Corte d'Assise e della sezione Piemonte-Valle d'Aosta dell'A.N.M. (Associazione nazionale magistrati) ha detto: «Negli ultimi 3 mesi, dall'assassinio a Milano del collega Galli, non è accaduto nulla, nessun provvedimento è stato adottato. Si vive nell'attesa del prossimo omicidio senza poter fare niente». Barbaro ha citato un episodio emblematico di come le autorità si preoccupano della sicurezza dei magistrati. «Al Consiglio superiore della magistratura abbiamo illustrato le nostre difficoltà, mai è giunta una risposta. Da Rotila vennero qui tre giovanissimi inviati del Consiglio superiore, il presidente del tribunale Conti illustrò anche a questi tre giovani esperti la carenza di tutto nella quale ci dibattiamo. Loro dissero che avrebbero mandato subito delle auto blindate. Sembra ne siano arrivate 5 o 6: pare non possano ancora essere utilizzate perché mancano gli autisti ». Nicolò Franco, giudice di sorveglianza, ha esordito soffermandosi suM'«atmosfera di rassegnazione che si respira nella magistratura». Ha messo sotto accusa giornali e poli¬ tici. «Mi ha impressionato lo scarso rilievo che giornali e tv hanno dato all'omicidio del povero Amato. Ormai non è più il caso di credere ai politici, capaci soltanto di slanci retorici o, peggio, demagogici». Accorata l'analisi del giudice civile Antonello Bonu «// potere politico ragiona solo in termini elettoralistici, noi non contiamo un'acca»; concisa quella del collega Vitro: «Bisogna rifiutarsi di lavorare in queste condizioni. Sabato scorso il giudice istruttore Lama è stato picchia to in prigione da due detenuti: d'ora in poi nessun magistrato deve più recarsi ad interrogare in carcere senza avere con sé almeno il segretario». Sul problema della sicurezza durante gli interrogatori sono tornati pure il giudice civile Mario Cicala e il sostituto procuratore Aragona Caminiti che ha spiegato: «Quasi sempre si rimane a tu per tu con la persona da interrogare: in pratica si è in sua balia». Vladimiro Zagrebelsky giudice della quinta sezione penale ha detto cose inquietanti e pesanti: «Siamo abbandonati, è totale l'assenza degli organi preposti, i capi degli uffici sono anch'essi un po' assenti. Della triste fine di Mario Amato se ne parla poco perché ci sono precise responsabilità. Il nostro collega sapevadi essere in pericolo, aveva chiesto protezione. Che hanno fatto invece i ministri Morlino è Rognoni? E il superiore dì Amate. Di Matteo?». Il giudice ha ricordato che lo sfortunato collega aveva lamentato con il Consiglio superiore della magistratura di «essere stato lasciato solo dai colleglli» e che il Consiglio aveva replicato «minimizzando il tutto. Anche qui funziona ben poco. So di col leghi il cui nome è stato trovato in un covo e per i quali non è stato fatto nulla. In questi casi la prassi è desolante: ti arriva dal prefetto una letterina in cui ti comunicano che in una base terroristica c'erano appunti su di te. Basta, tutto qui. Siamo indifesi ovunque, persino a Palazzo di Giustizia: un pomeriggio ordinai un arresto in aula, non c'era neanche un carabiniere che lo eseguisse». Claudio Giacchino

Luoghi citati: A.n.m., Milano, Piemonte, Roma, Torino, Valle D'aosta