Fare la pace con i fantasmi di Arrigo Levi

Fare la pace con i fantasmi ARGENTINA, DIFFICILE RITORNO ALLA NORMALITÀ DEMOCRATICA Fare la pace con i fantasmi Una «legge dell'oblio» potrebbe far superare i tragici ricordi del passato - Ma le ferite sono ancora profonde I partiti appaiono impotenti e divisi («Non ci parli male di Perón»), i generali rifiutano di lasciare realmente il potere e vorrebbero creare un «movimento nazionale» - L'ex presidente Lanussi: fissare scadenze precise 1 DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE BUENOS AIRES — Sulla] strada di Buenos Aires, avevo' parlato a Rio de Janeiro con, il sociologo brasiliano Helio Jaguaribe. Con mia sorpresa, si era dichiarato molto più ottimista sul futuro dell'Argentina che su quello del Brasile. Definiva i problemi de! Brasile strutturali e realidrammatici contrasti sociali, profonde ingiustizie, esplosioni latenti. I problemi dell'Argentina gli apparivano artificiosi e psicologici, manifestazioni di nevrosi di una, società peraltro sana, omogenea, ricca. Un giorno o l'altro, diceva, gli argentini si stancheranno di dilaniarsi. Scrivendo sull'Argentina, dopo aver parlato con molti amici, e con molti dirigenti politici, dal presidente Videla agli ex presidenti Lanusse e Frondizi, dall'ammiraglio Massera ai capi radicali Baibine Alfonsin, al leader peronista Bittle, al socialdemocratico Americo Ghioldi, all'«intransigente- Oscar Alende, per citare solo i principali, debbo dire che la tesi di Jaguaribe, che a Rio mi era apparsa quasi bizzarra, riesce, quasi per assurdo, abbastanza credibile. L'assurdo sta nel fatto che tutti i dati reali della situazione parlano di una sostanziale immobilità del quadro politico, chissà per quanto tempo ancora: a rigore di logica, il ritorno alla de- mocrazia non è dietro l'angolo, anzi pare lontano. Tuttavia, vi è un dato, per ora soltanto psicologico, ma molto diffuso die fa sperare in una svolta, sema che l'Argentina rischi nuove, sanguinose lacerazioni. Mi sembra infatti die lo stato d'animo dominante sia un desiderio quasi disperato di ritorno alla normalità, una paura di nuove guerre civili, quindi anche una volontà di compromesso e riconciliazione che è quasi universale: un poco come nella Spagna dopo Franco. Gli argentini, come gli spagnoli, ìianno visto a quali orrori portino l'estremismo, la violenza, l'intransigensa ideologica. K~. l'Argentina d'oggi non è la Spagna del dopo Franco: non è trascorsa una generazione dalla guerra civile, il tempo non si è portato via i protagonisti del conflitto. Le ferite sono ancora profonde e possono incancrenire. Non si può quindi escludere il rischio di altri scontri: molto diperuìerà dai militari, che hanno il potere e conducono il giuoco. Purtroppo, per ora un miscuglio di paura e di arroganza li spinge a grande rigidezza. Come Franco I militari hanno impostato il loro programma, alla fine del '79, in un documento di 33 paginette: le «Basi politiche delle forze armate per il processo di riorganizzazione nazionale». E' un documento ideologicamente povero, che delinea il piano di una democrazia un po' populista e un po' autoritaria, fondata su una pluralità di partiti e sulle vecchie istituzioni democraticlie, ma nella quale «le forze armate attraverso il loro intervento istituzionalizzato nel governò, avranno competenza nell'assunzione delle decisioni per la conduzione strategica nazionale, la sicurezza nazionale e la difesa della Costituzione nazionale». // generale Rqbertq Viola, che è il probabile successore di Videla alla presidenza, a partire dal 1981, ha indicato, lo scorso aprile due condizioni per restituire il potere ai civili: farla finita con i giudizi sulle conseguenze della guerra contro la sovversione, ossia non pretendere di giudicare i colpevoli degli eccessi della repressione: e far si che le. forze amiate «non siano escluse dalle future istituzioni di governo». In maggio il comandante dell'esercito generale Leopoldo Galtieri ha ripetuto categoricamente la prima condizione, parlando della «impossibilità di avanzare più di quanto si sia fatto nel ginepraio delle azioni e reazioni» collegate alla lotta contro il terrorismo («■per raggiungere il premio della gloria si dovettero attraversare zone di fango e di oscurità»/- e ha aggiunto che, per costruire il «nuovo ciclo storico» che le forze armate lianno in programma, sarà essenziale la costituzione di «un movimento di opinione nazionale» che appoggi questo processo di creazione di una sorta di nuova Repubblica. II discorso sul «movimento- allarma i partiti tradizionali, cosi come li allarma il nuovo «ruolo istituzionale» che le forze armate chiedono per sé nell'Argentina di domani Si parla di costituire un «Consiglio della Sicurezza Nazionale» (dove «sicurezza» è anche quella interna), nel quale siano rappresentate le forze armate: con poteri superiori, o inferiori, a quelli del Congresso e del presidente eletti? Su questo punto, i politici con cui ho parlato sono tutti d'accordo nel dire die le forze armate debbono tornare ad essere subordinate al potere politico: del resto, secondo la tradizione argentina, i tre dicasteri militari vengono già affidati ad alti ufficiali. I politici sembrano invece disposti a soddisfare l'altra condizione posta dai militari, e cioè «voltare pagina», senza resa dei conti, sugli eccessi della repressione: come un prezzo da pagare pur di sgombrare la strada per il ritorno alla democrazia. Deolindo Bittle, oggi leader del partito peronista, mi ha detto: «Altri Paesi hanno attraversato periodi insanguinati, ma è venuto il momento in cui hanno firmato la pace: anche tra gli argentini dovremo fare la pace. Non possiamo andare avanti per cinquantanni con le rese dei conti. Ma è difficile fare la pace con i fantasmi. La pace va fatta col popolo, con le organizzazioni popolari legittime, con i partiti, i sindacati. Bisognerà aprire un grande dibattito politico, quello in corso è solo un dialogo tra sordi. Tutto dovrà essere concordato prima di nuove elezioni, se no ricominceremo tutto da capo. E dovrà essere un accordo onorevole per tutti, non una capitolazione». Bittle è il leader del partito più potente, che è anche il più ostile alle forze armate che nel 1976 hanno spodestato «Isabelita», dopo avere sabotato, dicono i peronisti, la lotta contro il terrorismo, che si poteva e si doveva fare nell'ambito della legalità, attraverso arresti e processi legali Ma anche Bittle è, come si vede, conciliante. Ancora più conciliante è il capo del secondo partito argentino, quello radicale, Ricardo Balbin. Mi ha ripetuto quanto aveva già detto pubblicamente: «Non ci sono più scomparsi, ma morti». Ha detto di essere favorevole a una «ley del olvldo», una legge dell'oblio: «Questa è la tradizione argentina, e ci sono state colpe da tutte le parti. Certo, ciò che è accaduto è stato molto grave, vedremo poi che cosa occorre fare, dopo la riorganizzazione istituzionale del Paese. Io mi faccio carico di tutti i dolori: ma penso al futuro, e non voglio che nessuna generazione futura corra di nuovo questo pericolo». Coalizione? Nessun altro mi ha detto di volere una resa dei conti: né Raul Alfonsin, un intellettuale colto e profondo, molto critico dei militari; né Oscar Alende o Arturo Frondizi, che rappresentano forze politiche profondamente interessate ai problemi detto sviluppo dell'Argentina, e che esprimono drastici giudizi sulla politica economica e sociale dei militari. Va detto, tuttavia, che nessuno è disposto a concedere alle forze armate poteri di controllo sul futuro parlamento. E' chiaro che i politici non vogliono esasperare il contrasto con i militari ai quali danno atto di avere sconfitto una guerriglia il cui scopo non era certo un'Argentina democratica, ma un regime di terrore. Ma i politici diffidano dei militari mentre non è detto che questi si fidino delle promesse di «voltar pagina» fatte oggi dai politici in stato di coazione. Sono poi evidenti le tentazioni dei capi militari di «fare politica» aneìie nell'Argentina «democratica» (sotto tutela militare?) di domani. Il discorso del generale Galtieri sulla necessaria formasene di un «movimento d'opinione nazionale» preparerebbe l'assunsione dì un ruoto anche politico, se non proprio partitico, da parte dei capi militari. Su questa linea si sta già muovendo l'ammiraglio Massera. oggi a riposo, ex membro della giunta che condusse la repressione, ma oggi molto critico del potere militare, impegnato in un'attiva campagna politica in tutto il Paese, che dirige da un elegante ufficio in uno dei nuovi grattacieli di Buenos Aires (quanto diverso dai vecchi polverosi studi d'avvocato da cui operano i partiti tradizionali). Massera lavora già per una propria candidatura presidenziale nel 1984. alla testa anch'egli di un «movimento» di centro, manco a dirsi democratico e sociale: e fa aperture anche ai peronisti. Massera pensa che alla testa dell'altro movimento polìtico di destra, favorito dai militari, sarà lo stesso Videla. Infine, c'è il generale Viola, che sarà quasi certamente nominato tra pochi mesi presidente dalla giunta, in cui ha ancora sede il potere supremo. Anche Viola vuole una riconciliazione nazionale, e cercherà sicuramente di portare oranti un processo di normalizzazione e di dialogo con le forze politiche: quasi una «strada brasiliana», in una presidenza di transizione tra il potere militare e una' nuova Repubblica. Non parla molto diversamente il generale Aìejandro Lanusse: fu il presidente militare che preparò la transizione al potere civile, nel 1973. e la riconciliazione con il peronismo. A posteriori, fu un esperimento' tragicamente fallito: ma è difficile immaginare di percorrere vie diverse, per riconciliare l'Argentina con se stessa. Filo spinato Lanusse è convinto che ciò sia oggi più facile che negli Anni Settanta, per due ragioni: la prima è la morte di Perón, che lascia il peronismo solo di fronte a se stesso, con un problema d'identità non più risolvibile facendo ricorso a un mito. Ricorda i capi sindacali peronisti che a lui presidente, dissero: «Non ci parli male di Peròn ci è entrato nei pori». Che cosa diventerà il peronismo senza Perón, e dopo la tragedia della degenerazione terrorista, die ha finito per rivolgersi contro la stessa radice popolare e sindacale del movi- mento giustizialista? Una riconciliazione con l'altra metà, antiperonista. della società argentina, dovrebbe essere piùfacile. La seconda ragione della relativa fiducia di Lanusse è la constatazione, già fatta, che gli argentini «hanno avuto una dura lezione: oggi conoscono il valore del compro-' messo e della concordia». Lanusse, che ha una nuora da dieci anni in seggiola a rotelle per un attentato terrorista, e il cui migliore amico e collaboratore, il giornalista Edgardo Sajón, fu tra le vittime della repressione militare, predica anch'egli la riconciliazione e il perdono. Ma vorrebbe, dal potere militare, meno arroganza, e iniziative più coraggiose sulla via del ritorno al potere civile, con scadenze precise e con l'associazione dei partiti alla definizione delle nuove istituzioni democratiche. Un amico intellettuale argentino, che vede la democrazia ancora lontana, mi dice: «Dobbiamo cercare almeno di spingere in fuori il filo spinato, sforzarci di rendere l'autoritarismo più tollerante di avvicinarci passo passo a uno Stato di diritto che rispetti le libertà individuali». Suquesta strada, e più ancora su quella della democratizzazione, rimane tuttavia il grande ostacolo degli scomparsi rimane la paura militare di, una «resa dei conti», die rende difficile un trasferimento di potere ai civili: nonostante la volontà di pace, l'ansia di normalità e il desiderio di libertà e democrazia degli argentini. Arrigo Levi