Le tentazioni del protezionismo

Le tentazioni del protezionismo Le tentazioni del protezionismo frankfurter Rundschau (FRANCOFORTE) Helga Kunze lavorava da 7 anni nella fabbrica di confezioni Hucke, a Nettelstedt, cittadina della Germania settentrionale, quando ricevette la lettera di licenziamento insieme con altre 300 operaie. Per contratto il suo lavoro viene ormai svolto da donne in Tunisia e a Hong Kong. Soltanto 5 anni fa la ditta aveva 6 mila dipendenti, l'80 per cento dei quali donne; ora ne ha 4500, e fa produrre il 40 per cento del prodotto nei Paesi a «manodopera economica»; e questa proporzione continua ad aumentare. La direzione dell'azienda dichiara che se non avesse sfruttato la possibilità di far produrre all'estero a prezzi vantaggiosi, tutti i posti di lavoro sarebbero stati in pericolo; questo inoltre era l'unico modo per essere concorrenziali con i prodotti d'importazione a basso costo, soprattutto quelli della Corea del Sud e della Malaysia. Mentre Helga Kunze perdeva il posto, l'industria di costruzioni meccaniche Schubert & Salzer di Ingolstadt, nella Germania meridionale, aveva urgente bisogno di operai specializzati, soprattutto aggiustatori e tornitori. L'an¬ no precedente aveva potuto evitare i licenziamenti grazie ad un grosso contratto (70 milioni di marchi, 28 miliardi di lire) con l'Egitto per là costruzione e le attrezzature di due fabbriche di confezioni vicino ad Alessandria. Alla fine di quest'anno le due aziende egiziane entreranno in funzione, e l'industria tessile tedesca avrà un nuovo concorrente. Il fatto che un'industria di costruzioni meccaniche in un'altra regione della Repubblica Federale cerchi operai specializzati non interessa affatto a Helga Kunze, che ha tutti gli elementi che rendono complicato trovare un nuovo lavoro: non ha qualificazione professionale, vive in una piccola città di una regione strutturalmente sfavorita, lavora in un settore dell'industria che perde colpi, e per di più è una donna. Oggi in Germania su 900 mila disoccupati oltre la metà sono donne, che pure rappresentano solo il 37 per cento della popolazione attiva. Dal 1970 in poi, quasi un terzo delle aziende tessili hanno chiuso; i posti di lavoro in questo settore sono caduti da 500 mila a 310 mila, e nell'industria della confezione, in particolare, sono passati da 400 mila a 250 mila. In questo decennio le importazioni nelle vendite complessive di abiti sono salite dal 3,8 al 12 per cento. Un terzo dei capi importati proviene da Paesi in via di sviluppo, soprattutto da5 Paesi dell'Asia; e in questo momento la Germania è il primo importatore mondiale di prodotti tessili. E' difficile quantificare il rapporto fra l'aumento delle importazioni dai Paesi in via di sviluppo, dove le paglie e le imposte sono relativamente basse, e la diminuzione dei posti di lavoro che questa concorrenza provoca in Germania. Si calcola che nella sola industria tessile e della confezione 85 mila posti di lavoro siano stati soppressi per questo motivo negli ultimi dieci anni. A questo si deve aggiungere il fatto che la concorrenza sempre più spietata da parte di altri Paesi costringe i dirigenti d'industria ad accelerare la razionalizzazione della produzione, e a sostituire gli operai con nuove macchine. Da tempo la produttività dell'industria tessile aumenta due volte più in fretta della produttività di tutti gli altri settori. La Germania, però, è anche il primo esportatore mondiale nel Paesi in via di sviluppo, dove l'anno scorso ha esportato per circa 70 miliardi di marchi (28 mila miliardi di lire), un quarto delle esportazioni totali. Il che, secondo i calcoli del governo federale, permette di conservare o creare circa 700 mila posti di ■lavoro. La difficoltà sta nel fatto che i settori che traggono vantaggi dalle esportazioni nei Paesi in via di sviluppo sono diversi da quelli che ne risentono. La situazione degli scambi interni alla Comunità europea è diversa. La Francia, ad esempio, vende automobili alla Germania, e viceversa. In questo modo, un Paese può porre rimedio alla concorrenza di un altro Paese «ripagan dolo con la stessa monetaMa per i Paesi in via di svllup po la cosa non è cosi semplice il governo federale ritiene che fino al 1990 la crescente ten denza alla divisione del lavoro con questi Paesi costringerà ogni anno 22 mila lavoratori a cambiare settore, e 13 mila a cambiare mestiere. Questa evoluzione favori sce una sorta di egoismo set tortale e la tentazione del protezionismo. Wolfgang Stender, dirigente del sindacato dei tessili, insiste perché le importazioni in questo settore non aumentino più veloce mente della domanda. Mettendo un tetto alle importa zioni, si proteggerebbe alme no in parte la grande maggioranza delle medie imprese tessili tedesche contro il dumping dei fabbricanti stranieri. L'opinione di Stender è condivisa dai sindacalisti di altri settori vittime delle Importazioni, come l'elettrotecnica e l'ottica. Il ministro fe derale dello sviluppo, Rainer Offergeld, ha fatto loro osser¬ vare che i costruttori tedeschi di attrezzature sono i primi ad approfittare della crescita economica e dell'aumento del potere d'acquisto in valuta dei Paesi in via di sviluppo, e ripete: «Quando l'industria meccanica consegna macchinari ai Paesi in via di sviluppo, questi non li tengono in un museo: questo significa che dobbiamo ancìie essere disposti ad acquistare i prodotti alla fabbricazione dei quali queste macchine sono servite». Stender ed il sindacato dei tessili affermano che non si tratta assolutamente di garantire il posto di lavoro ai tedeschi a spese dei lavoratori dei Paesi poveri, ma dubita che questi ultimi traggano reali vantaggi dalle esportazioni delle loro industrie. A suo parere, il rapporto dei costi salariali fra la Germania e Paesi come la Corea del Sud si mantiene a circa uno a otto solo grazie a paghe bassissime, a volte inferiori al minimo vitale. Durante le trattative per il prossimo accordo internazionale sui prodotti tessili (il secondo accordo di questo tipo scade nel 1981) i sindacati della Cee intendono insistere perché soltanto ai Paesi che rispettano le norme sociali minime del Bit in materia di salari e di condizioni di lavoro vengano accordate concessioni sulle quote d'importazioni autorizzate. E, contemporaneamente, premeranno sui Paesi in via di sviluppo perché abbassino più di quanto abbiano fatto sinora i diritti doganali. Dopo tutto, non sono i soli ad avere la bilancia dei pagamenti in grande passivo. Infine, soltanto i Paesi in via di sviluppo che tollerano la libera attività di sindacati indipendenti potranno contare sulla buona volontà dei sindacati europei. Secondo Stender, è questo l'unico modo per assicurare agli abitanti dei Paesi in via di sviluppo un potere d'acquisto sufficiente perché possano acquistare gli abiti fabbricati sul posto. Questo impedirà anche a molti Paesi di essere ancora competitivi sul mercato mondiale soltanto perché sfruttano la manodopera. Il prossimo accordo internazionale sui prodotti tessili dovrebbe più che in passato fare una distinzione fra Paesi in via di sviluppo sulla base del grado di sviluppo già raggiunto. Gli Stati più poveri e meno sviluppati dovrebbero essere autorizzati ad esportare in Germania più di altri. Se Paesi come Hong Kong e Taiwan rifiutassero questa proposta, probabilmente non vi sarebbe mai più alcun accordo in questo campo, e i Paesi industrializzati rischierebbero di alzare barriere doganali ben più alte di quelle attuali. Roland Bunzental

Persone citate: Helga Kunze, Rainer Offergeld, Roland Bunzental, Salzer, Schubert