Gran rumore a Grenoble per un processo nato dalle denunce di cinque prostitute
Gran rumore a Grenoble per un processo nato dalle denunce di cinque prostitute Imputati 12 sfruttatori, per lo più di origine italiana Gran rumore a Grenoble per un processo nato dalle denunce di cinque prostitute DAL NOSTRO CORRISPONDENTE PARIGI — A Grenoble si è aperto ieri un processo che pare tolto di peso da un giallo televisivo. I protagonisti sono una dozzina di «protettori», cinque ragazze che hanno infranto la legge dell'omertà denunciando gli sfruttatori e trovando anche il coraggio di costituirsi parte civile. Infine un «piccolo giudice» di provincia tanto coraggioso da non cedere alle minacce e alle pressioni di cui è stato oggetto durante una lunga, meticolosa indagine di un anno. E" una storia certo non nuova negli annali processuali o nei verbali della polizia. Ma in Francia gode d'un grosso battage pubblicitario. Ne hanno fatto un processo senza precedenti nella storia giudiziaria. Le «leghe femministe» e le aderenti al .«planning» familiare, la «lega dei diritti umani», lo utilizzano come un test nazionale, sul quale imbastire non solo la lotta contro la prostituzione e le sue regole spietate, ma anche contro i «benpensanti» che condannano a parole ma usufruiscono nei fatti di questo commercio umano. Su questo sfondo sfilano i protagonisti del «caso». In prima linea, naturalmente, chi è alla sbarra degli accusati: una dozzina di «protettori» e i loro complici, fra cui una donna. Scorrendone i dati anagrafici si scopre che sono quasi tutti italiani o italofrancesi: i nomi sono Piccaretta, Zaccaria, Di Caro, Caccamo, Buri, ecc. La maggior parte è oggi sul banco degli imputati, ma qualcuno è assente, come Giuseppe Piccaretta, espulso quattro anni fa dalla Francia, e del quale si dice che viva tranquillo fra Torino e Savona, dove possiede alcune proprietà. Degli accusati c'è chi risulta proprietario di un albergo, chi di un bar o di una pizzeria, chi di un'impresa di lavori pubblici. Il campionario è vario, ma sotto attività apparentemente onorevoli affiorano risvolti meno onorevoli: sono accusati di sfruttamento, ma anche di violenze, di torture contro le poverette che cercavano di ribellarsi alla dura vita lungo i vialonl della periferia, le stradicciole attorno all'Isère, le visite nei cantieri nelle serate di paga. Nadia, Bernadette, Fabienne, Paulettè e Chantal hanno raccontato prima ai poliziotti e poi al giudice istruttore le tappe del loro calvario, segnato da cicatrici causate da bruciature di sigarette sui seni o sulle guance, da pugni e schiaffi su tutto il corpo, da ferite d'arma da taglio sulle gambe o sulle braccia, a scopo intimidatorio: spesso drogate, spesso picchiate perché continuassero a lavorare anche incinte di sette mesi e portassero il denaro ai loro «amici». Dopo la morte di una di loro le ragazze più coraggiose hanno deciso di parlare, e l'inchiesta si è avviata. Merito loro, ma merito anche d'un giovane giudice di provincia, Paul Weisbuch, che le ha ascoltate, le ha aiutate con la sua fiducia, e ha ricambiato il loro coraggio con egual moneta. Più volte minacciato di morte, è andato avanti per la sua strada anche se sa che il «milieu» lo ha condannato. Viaggia con una rivoltella sotto l'ascella, e ha disposto per le cinque testimoni-accusatrici una serie di rifugi segreti e una scorta di polizia, 24 ore su 24. p. pat.
Persone citate: Buri, Caccamo, Di Caro, Giuseppe Piccaretta, Paul Weisbuch
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