Roma: due neofascisti dei Nar hanno ucciso il giudice Amato
Roma: due neofascisti dei Nar hanno ucciso il giudice Amato L'assassinio è stato rivendicato con una telefonata e un volantino Roma: due neofascisti dei Nar hanno ucciso il giudice Amato Hanno scritto: «Volevamo dimostrare che non c'è bisogno di organizzazione: bastano due camerati fidati» - «Noi ora torniamo nelle nostre case, continuando la solita vita» Parole che confermano l'analisi che il magistrato aveva fatto dell'eversione nera ROMA — I Nar «hanno chiuso i battenti da un pezzo», ma i loro uomini uccidono ancora. La firma all'assassinio del giudice Mario Amato non si è fatta attendere: ieri mattina, con una telefonata alla redazione di un quotidiano di Roma, un anonimo ha segnalato la presenza di un volantino in una cabina telefonica di via Carlo Felice. Era una pagina dattiloscritta, priva di simboli e intestazioni, con la sola premessa «JVar: chiarimento». A uccidere Amato non è stato un nuovo gruppo terroristico ma due neofascisti che cosi hanno voluto dimostrare ai loro camerati che «non c'è bisogno né di covi né di grandi organizzazioni: tre camerati fidati e di buona volontà bastano. E se tre non ce ne sono, ne bastano due». La rivendicazione è sicuramente autentica: certi di provocare perplessità in chi l'avrebbe ricevuta, gli assassini hanno aggiunto al volantino (ricavandoli dal libretto di circolazione) luogo di nascita e indirizzo del giovane cui, il 17 giugno scorso, avevano rapinato in via Salaria la moto usata poi per l'agguato. Alla vittima i terroristi dedicano poche righe: «Alle ore 8,05 abbiamo eseguito la sentenza di morte emanata contro il sostituto procuratore Mario Amato, per le cui mani passavano tutti i processi a carico dei camerati». Per il resto, il messaggio è solo polemica con le formazioni terroristiche di estrema destra, che i due assassini accusano di verbosità e inerzia. Secondo i killers di Mario Amato «le varie telefonate, rivendicazioni, smentite e volantini sorto f { frutto non di scissioni o correnti all'interno dei nuclei ma piuttosto il parto dei vari "eroi fascisti", die di eroico hanno soltanto la lingua». L'assassinio^tell'agcnte Arnesano e UH0uato a tre agenti dinanzMniceo Giulio Cesare sarebbero imprese che i neofascisti non sono capaci di compiere, «anclie se qualcuno ha tentato goffamente dì attribuirsele». In un passaggio, c'è la conferma di quanto Mario Amato sosteneva da mesi: il terrorismo di destra non è fatto di clandestini, non conta su «regolari», ed anche per questo è più difficile da combattere. «Noi ora torniamo nelle nostre case — scrivono ancóra gli assassini.—continuando la solita vita, in vista della solita vendetta». Un'altra frase sembra dimostrare che i killers hanno partecipato, in un recente passato, a tentativi di unificazione e di organizzazione su basi militari del terrorismo «nero». Il volantino parla della fallita «costituzione dei Cuib» (la sigla, che appare spesso sui muri di Roma, negli Anni Trenta indicava le cellule naziste della Romania e si può tradurre con «mito») e accusa chi cercava di organizzarla di aver rinunciato dinanzi alla mancanza di armi e di danaro. In sostanza, il messaggio è la riproposizione da destra di quello «spontaneismo armato» che già, sul versante opposto, ha, trovato applicazione nel «terrorismo diffuso». Le indagini sull'omicidio restano legate intanto agli adempimenti di routine. Ieri, sulla base di quanto le due donne che erano vicine a Mario Amato hanno potuto rac¬ contare, e più ancora attraverso la descrizione del giovane cui la moto era stata rapinata, la Dlgos ha ricostruito un identikit (questa volta, molto preciso) del terrorista che ha sparato. L'unica sorpresa è nell'età presumibile: secondo 1 testimoni, il killer doveva avere 30-35 anni. Era alto sul metro e 75. bruno, leggermente stempiato. Anche il suo abbigliamento non era quello di un ragazzo: indossava un completo nocciola, con camicia e cravatta in tinta, e portava occhiali da sole a specchio, con la montatura tipo Ray-Ban. Le donne che erano alla fermata hanno chiarito che il killer non è giunto sulla moto guidata dal complice: era fermo sotto il cartello del «bus» 371, da alcuni minuti. Per il momento le altre indagini hanno dovuto limitarsi a rilievi dattiloscopici sulla moto abbandonata dai terroristi, e a un calcolo chilometrico che si sta cercando di compiere con l'aiuto del proprietario. Quasi certamente, il mezzo non aveva percorso molta strada dalla sera in cui era stato rapinato sulla via Salaria. Un'altra conferma della zona entro la quale circoscrivere le ricerche: quella che comprende il Salario e il quartiere Trieste, negli ultimi anni regno incontrastato della violenza «nera». g. z.
Persone citate: Mario Amato
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