Torna a fiorir la bici

Torna a fiorir la bici Torna a fiorir la bici È un «revival» inatteso - Gli esperti prevedono per il prossimo anno una richiesta da parte del mercato di 300.000 biciclette che la produzione non sarà in grado di soddisfare - Il perché (non solo consumistico) di questa moda DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE MILANO — La gente che stava sulle strade del Giro d'Italia di Bernard Hinault ha preso la bicicletta e sta riempiendo l'estate di pedalate. Dai tempi di Coppi e Bartali non c'era più stato in Italia tanto ciclismo chiacchierato ma anche pedalato: e non importa niente che manchi il campione nostro, in maglia rosa o in maglia gialla, al quale intitolare il nuovo entusiasmo, la nuova voglia. Si prevede per il prossimo anno un «buco» di trecentomila biciclette, tra produzione e richiesta di mercato, nel senso che, mantenendo l'esportazione sui livelli attuali, non ci saranno abbastanza velocipedi per il mercato interno. E un corridore medio, in grado di vincere una tappa del Giro e un paio di corse del foltissimo calendario nazionale, è già sufficiente per richiamare un abbinamento pubblicitario, per costruirgli intorno una squadra. Scomponendo il nuovo sentimento, e cercandone le origini si trova di tutto, ci si aggancia a tutto. C'è senz'altro il riflusso, e il ciclismo, sport che sa di pane fresco, ne approfitta. C'è la moda «retro», il cullo della nostalgia. C'è l'aumento della benzina e la predicazione dei rovinologi, i quali parlano di un mondo ridotto a immenso parcheggio di automobili, sprovviste di nutrimento liquido per andare avanti. C'è il salutismo, che spinge all'attività .fisica e quindi all'attenzione verso chi questa attività pratica al meglio, o al massimo. E ci sono avvenimenti casuali, curiosi accidenti come quello del calcio svilito dagli scandali, toccanti ricorrenze come i vent'anni dalla morte di Coppi, con tutto un revival televisivo, letterario, teatrale, e la ..riesumazione» di Bartali con le sue memorie patinate d'oro antico. Ma ci dev'essere anche un amore vero, che, mortificato dal cosiddetto progresso, era diventato clandestino. E sino a pochi mesi fa il signore vestito da ciclista si vergognava a farsì,', vedere con i pantaloni alla zuava o.i «bermuda» da corsa, la maglietta colorata, le sca rpette che giù di bici ti fanno camminare come su cocci di vetro. Adesso, sportivizzati con la dizione di cicloturisti, i pedalatori della domenica e del sabato e magari di lutti i giorni di vacanza occupano le strade, trasportano i loro problemi di rapporti e tubolari anche nei bar sofisticati, si fermano ai ristoranti di grido e non solo nelle trattorie da poveri, parcheggiano velocipedi da un milione, un milione e mezzo di lire, lasciando indovinare, lontane chilometri, enormi costosissime automobili dai cui portabagagli li hanno estratti. E' tutto cambiato, e molto in fretta, però sulla base di un amore che già c'era, e che tranquillizza per il futuro. Dice Sergio Zavoli, che alla radiotelevisione ha fatto una carrierona forse anche per lo slancio preso in quella lunga volata di un decennio, al seguito del Giro, chiamata «Processo alla tappa»: «Dieci unni dopo la fine di quelle teletrasmissioni ricevo ancora in media quattrocento lettere all'anno, e tre su quattro mi ricordano Taccone» Questo Vito Taccone era un pedalatore abruzzese marrano e sovente gaglioffo, Zavoli ne fece un grosso personaggio, un vendicatore dei poveracci, un figlio del Sud sempre in bilico tra il clownesco e il tragico. Per due anni Taccone divenne, un mese all'anno, l'italiano più popolare. L'operazione era condotta all'insegna dell'amore totale del ciclismo, con la dose giusta di malafede contingente, necessaria per far riuscire bene ogni sketch. ■ L'amore era sopravvissuto negli anni bui, l'amore c'è ancora e vien fuori. E si direbbe che, con il salto di una generazione, quella più rapidamente inquinata, questo amore sia stato trasmesso ai giovani. Da un anno all'altro —ma già accadde nel Giro del 1979 per le ultime tappe, allorché Saronni andava a vincere la corsa su Moser, con addosso ventidue anni scarsi — è parsa tutta cambiata la gioventù intorno al Giro. Non più irridente, smagata, disposta al massimo a farsi «visitare» dalla corsa che passa proprio sotto casa, e magari pronta a usare anche la corsa per le sue contestazioni, per l'esibizione dei suoi problemi o della sua indifferenza: invece una gioventù informata sulle vicende sportive e dedita al rito della curiosità affettuosa verso i problemi del grande campione e del piccolo gregario. Andare su un colle del Giro d'Italia, spendendo in tempo e in benzina, e portarci la ragazza, è una bella marcia indietro per un giovane moderno Ma ormai il riflusso agisce a fondo, il «retro» impreziosisce tutto. Piace ai giovani la canzone Bartali (scritta da Paolo Conte, cantata dallo stesso Conte e da Jannacci: lui e lei ad aspettare la corsa, ad aspettare Gino «col naso triste come una salila — e gli occhi allegri d'italiano in gita». Lei protesta, vuole andare al cine: «E vai al cine, vacci tu», le dice lui, seccato. Un convegno sulle teletrasmissioni sportive ha detto che il ciclismo ormai insidia da vicino il calcio, come indice d'ascolto. Il sindacalismo sportivo ha indicato nel ciclismo professionistico la disci¬ plina che, in Italia, ha raggiunto i migliori traguardi previdenziali. L'organizzatore del Giro, Vincenzo Torriani, ha ricominciato a dire di no alle località, troppe, che vogliono l'arrivo della corsa, o ad alzare i prezzi per fare selezione. La Pederciclismo sta per lanciare il cicloturismo di massa, d'accordo con le giunte delle grandi città e con le compagnie di assicurazione: una polizza colossale, chiunque si fa male in bicicletta è assicurato. Sono tutti elementi del gigantesco pusele che si sta mettendo insieme da solo, senza quella che si definisce «volontà politica». E qualcuno appunto scomoda la natura, nel senso che la bicicletta completa la miglior natura dell'uomo: artificiale ma logica, umana com'è, eguale in fondo, quella di oggi fatta in titanio, a quella di Coppi ed anche a quella di Gerbi. Già si intravede la calata dei sociologi e degli intellettuali, con le loro scopèrte: la bicicletta contro il traffico, la bicicletta per andare a pensare, la bicicletta al posto del medico, e perché no? il revival di Panzini. Gian Paolo Dimezzano Primo boom, in Italia, dai tempi di Coppi e di Bartali La bicicletta sta tornando un buon motivo per passare una giornata all'aperto, in conipiigniu

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