Soltanto Toro «tiene» più dei quadri di Giampaolo Dossena

Soltanto Toro «tiene» più dei quadri DOPO IL TURNER PAGATO A LONDRA 6 MILIARDI DI LIRE Soltanto Toro «tiene» più dei quadri Cifre a sette zeri anche nel piccolo collezionismo - In Italia (chissà perché?) i musei non compaiono sul mercato MILANO — Si è tenuta nei giorni scorsi la IV borsa di scambio per autominiature e giocattoli d'epoca. Per una automobilina di latta a molla, tedesca, marca «Carette» anno 1910, sono stati chiesti 3 milioni di lire. A settembre, sempre a Milano, si terrà il congresso annuale della Playing-Card Society, che raggruppa studiosi e collezionisti di carte da gioco di tutto il mondo; nell'occasione la casa d'aste londinese Stanley and Gibbon organizzerà una vendita. Per dare un'idea dei prezzi, un mazzo di carte fiorentine del Seicento è stato venduto recentemente per 5 milioni di lire. A novembre, sempre a Milano, la Pinarte terrà la sua prima asta di bambole e piccoli automi: qui si potranno sentire facilmente cifre con sette zeri. Questo sottobosco di collezionismo minore riserva le sorprese più curiose, da spettacolo televisivo, e ci si può scottare. Non ci sono sorprese invece se si entra nell'antiquariato maiuscolo. Gli oggetti di maggior ..valore» (storico, artistico o come si preferisca dire) hanno un ..valore» commerciale senza ombre. Come documenta un libro recente di Christian Herehenoroeder, "..Il mercato dell'arte» (Bompiani), i prezzi delle grandi opere d'arte negli ultimi cinquant'anni non hanno avuto un attimo di flessione. Le uniche sorprese semmai sono date dalla continua lievitazione dei prezzi. Secondo un'analisi della rivista londinese The Economist del gennaio scorso c'è solo l'oro che «tiene» meglio dei capolavori. Le cronache riferiscono con cadenza regolare i primati di tipo sportivo che registrano Van Gogh, Velasquez and C. Sono effettivamente primati progressivi, anche tenuto conto della svalutazione di tutte le monete. Il nuovo quadro più caro del mondo» è un Turner, venduto pochi giorni fa per 6 miliardi di lire. L'il luglio prossimo, a Lon-1 dra, da Christle's verrà offerto un Rubens, una grande tela con Sansone e Dalila, e si aspetta di vedere a quanti mi-' liardi arriverà. Perché i prezzi sono sempre più alti? La risposta è facile. Cresce la pasta e cresce la benaina, per foraa crescono anche i quadri» dice Libero La Torre, maresciallo dei carabinieri del nucleo speciale che ha ritrovato i quadri rubati al Palazzo Ducale di Urbino. «E poi di quadri ce n'è sempre meno», aggiunge la moglie di La Torre, una graziosa signora bionda. Che là benzina possa finire, che la pasta possa scarseggiare, è un altro discorso facile; qualsiasi catastrofista da caffè-bigliardo ci arriva. Rovesciare il discorso, dire che il mercato dell'arte non teme l'esaurimento delle scorte, dire che «quadri ce n'è sempre di più» richiede un'operazione mentale complessa. Se un Giuseppe Pelizza da Volpedo da Sotheby, sempre a Londra, sfiora nei giorni scorsi i 330 milioni vuol dire che il mercato si allarga, che certi filoni vengono pesati con una bilancia diversa da quella che si usava ancora ieri. Entrano in pista quadri nuovi. Analogamente, nel collezionismo minore, vengono di moda nel 1966 il liberty, nel '72 l'art deco, nel '77 la fotografia. Restiamo ai quadri. «Molto spesso il mercato precorre la critica» dice Mario Spagnol, editore e collezionista. «Nella storia dell'arte dell'Ottocento c'erano buchi enormi, scuole e autori di cui nessuno aveva mai parlato. Da quando il mercato ha rivalutato per esempio la pittura vittoriana inglese, si è cominciato a illuminare un mondo di cui non si sapeva quasi niente». Di diverso avviso è il poeta e I romanziere Paolo Volponi, | consulente della Finarte. «II. mercato non anticipa la criti-1 ca. La critica ha sempre ritenuto importante anche un Peliaaa», dice Volponi. Ma questo mercato che corre insieme alla critica (davanti alla critica, o dietro, o di fianco) che volto ha? «In Italia ha solo measo volto» dice Volponi. «Il mercato, spiega, è costituito solo dai privati. In Italia i musei non fanno una politica attiva di acquisti e men che mai una politica attiva di compravendita. Per questo sono spesso chiusi, non hanno personale, non hanno fondi per i restauri. E senaa musei il pubblico resta incolto. Il mercato da noi è in ebolliaione, in espansione, ma confuso, indisciplinato, sema regole perché senaa cultura». «Che il mercato sia senaa cultura è da discutere» dice il gallerista Philippe Daverio. «Certamente, aggiunge, è senaa strutture. Io, come operatore nel settore artistico, non ho una reale figura da importatore di fronte alle banche, al fisco, alle leggi italiane». E è poi vero che il mercato da noi sia in espansione? Assolutamente si, dicono le cifre. La Finarte ha fatto un'asta nel '61, sette aste nel '66, ventitré nel '71 e già dlciotto nel primo semestre dell'80. La Chrlstie's attiva a Londra dal 1766, ha aperto una filiale in Italia nel 1969 e si è attestata subito sulla dozzina di aste all'anno. A queste aste italiane gli acquirenti sono italiani o stranieri? Certamente una larghissima parte degli oggetti venduti finisce in case italiane. Per quelli di maggior valore le sovrintendenze regionali possono chiedere la «notìfica» al ministero per i Beni culturali. Un oggetto .-notificato» è bruciato, non può più uscire Allora, questa dall' Italia, istituzione tutta nostra della «notifica» va vista di malocchio? «Il problema è un altro» dice Volponi. «L'Italia non può far finta che il mercato delle opere d'arte non ci sia. Con questa astrazione idealistica si premiano le fughe, le esportaaìoni clandestine: che avvengono, eccome, in barba a qualsiasi notifica. Per regolare il mercato bisogna entrarci. Se avessimo una politica culturale viva, potremmo per esempio fare delle campagne di scavi, e vendere all'estero, alla luce del sole, certi oggetti. Allora i bilanci quadrerebbero e ci sarebbero quattrini per fare altri scavi, per fare i restauri per fare acquisti». E intanto? Qualche privato ci sarebbe, che possa farli per conto suo, gli acquisti. Fra chi ha concorso all'asta per il Pelizza, a Londra,.s'è visto anche un signore italiano. Mettiamo che se lo sia aggiudicato lui, il Pelizza. Potrà farlo tornare in Italia solo «in nero» cioè di contrabbando. Se volesse importarlo legalmente, dovrebbe pagare oltre ai 330 milioni dell'acquisto, 115 milioni e mezzo di Iva, e poi se lo troverebbe automaticamente «notificato». Giampaolo Dossena