Bob Dylan, menestrello di Dio di Furio Colombo

Bob Dylan, menestrello di Dio A COLLOQUIO CON IL CANTANTE CHE HA SCOPERTO IL MISTICISMO Bob Dylan, menestrello di Dio Nelle sue canzoni ricorre continua l'invocazione religiosa, come una formula di preghiera - Le sue esibizioni alla chitarra richiamano folle immense di giovanissimi, estasiati; ma c'è anche chi ha qualche perplessità per la «conversione» - Il missionario-divo parla di sé con disinvolto riserbo: «Un tempo fumavo, oggi Punico viaggio che mi imp< importa è quello con Gesù» NEW YORK — «Se in que-^ sti giorni / non senti parlare di Dio / non ti meravigliare / nessuno parla di Dio / ma lui continua a parlare / Noi parleremo a Lui questa notte...». Qui c'è una lunga pausa segnata dal battere della mano aperta sulla chitarra, un suono die evoca l'attutito colpo di un gong. L'uomo pallido, di cui la scena rivela soprattutto il bianco del viso e le mani, continua la sua preghiera cantata. «Non ti predicherò il misticismo / la religione orientale / la meditazione o lo yoga. / Ti dirò di Gesù...». Un brusio sale improvviso dalla sala che prima sembrava vuota tanto era intenso il silemio. E subito si trasforma in un applauso frenetico. L'uomo con la chitarra aspetta, e il suo respiro si sente dentro il microfono, si sente dagli altoparlanti perfetti. Ha fatto un gesto minimo con la mano e accadono due cose. La sala è in silenaio. Un coro di cinque ragaaae negre è scivolato alle spalle e mormora a bocca chiusa, con una voce insieme piena e velata («voce di miele», si dice nella musica negra) un motivo che sostiene il canto-preghiera. E il canto continua. «Ti dirò di Gesù / Ti dirò, che il demonio non ama quel nome. / Gesù. / il demonio». Il brusio rivela una forte tensione, come il preannuncio di un pericolo nel buio della sala. «Ascolta: se il diavolo / è in te / tu mi respingerai / per quello che dico». L'urlo ium stosi La voce si è fatta così alta die è persino un po' stridula. Sull'ultimo verso c'è l'urlo di cento o duecento ragaaae con le mani contro la faccia che sono in piedi e non si capisce se piangono o ridono, se celebrano festa o terrore. Poi l'applauso sommerge di nuovo il concerto. E' Bob Dylan. E' la sua nuova cànaone. E' la sua vita di «nuovo nato» nella culla di Dio. Le-ragaaaenegre con «la voce di miele» continuano a mormorare il motivo dondolandosi appena, con gli occhi chiusi. Dylan nella luce dei riflettori sembra più scarno e più giovane, più solo e un po' minaccioso. Con le due mani appoggiate sulla chitarra aspetta che finiscano le grida, le invocaaioni, la passione «evangelica» della sala. Sono tutti bianchi, tutti giovani, tutti con i blue jeans più costosi (l'unico segno di «classe», nelle nuove generaaioni) questi discepoli di Gesù e di Bob Dylan. Ciò che accade in questo cinema malandato (in campagna, vicino a New York) trasformato in teatro, dove, senaa alcuna pubblicità i ragaaai sono venuti a migliaia, è identico al rito delle chiese povere e negre dove l'invocaaione è l'unica speranaa, l'unico filo per sopportare la vita. Qui, se l'osservatore vuole restare freddo ed estraneo, deve dire: «spettacolo», «imitaaione». Eppure le facce adolescenti e stravolte che si protendono verso Dylan-Gesù non sono finte. Il loro ap-\ passionato abbandono è reale. .. — Ammettiamolo, propone un prete cattolico che è venuto a vedere questo «revival» di religione e canaoni che è il grande ritorno in pubblico di Bob Dylan, un prete scettico e infastidito da questo uso di Gesù per l'avanspettacolo, — ammettiamolo, dice —. Non sappiamo proprio che cosa sta succedendo nella testa di questi ragazzi. Teologicamente questa storia non mi piace per niente. Ma la loro religiosità sembra vera». La scena di abbandono, di grida, di applausi, dì invocatone a Gesù dura due o tre minuti. La luce in sala continua ad essere fissata solo su Dylan, su quella faccia bianca sema sorriso. Il nero della platea fa apparire più impressionante e più intensa la tempesta di sentimenti che questa nuova religiosità è capace di scatenare. Eppure si tratta certamente (lo sì indovina dai gesti e dai volti, quando entravano aitti e sereni, quando escono aitti e sconvolti) di ragaaai di università, di buoni colleges, che leggono, parlano, ascoltano e partecipano regolarmente alla vita. Ha ragione il prete, come spiegare? Due ragaaaìne all'improvviso sollevano uno striscione con la scritta in un rosso che, nella, teatralità del momento, fa venire in mente il colore del sangue. Gesù ci salva. Lo gridano. E gli altri con loro lo gridano in un coro concitato e allarmante, anche se certamente l'intemione è di festa. Non c'è un camerino in un posto come questo, uno spogliatoio per gli attori. Per Bob Dylan hanno fissato una tenda al fondo di un corridoio. Il corridoio è cosi stretto che Dylan si puntella con la schiena contro una parete e punta i piedi (splendidi stivali neri e ricamati come si trovano solo in Texas) contro l'altra parete. Parlando guarda soltanto le sue dita o il muro. — Non so se mi conosce da prima. Gli era già stato detto che un incontro era avvenuto nel 1960, quando cantava al Bitter End, nel Villuge di New York, poi nel 1962, in California, poi nel 1964 al tempo dell'incidente in motocicletta, subito dopo la separazione da Joan Baea, poi al tempo di Zuma Beach, e dei quattro bambini. Dove sono finiti i quattro bambini? Uno, almeno, dovrebbe essere grande. Ci devono essere dei Bob Dylan adolescenti da qualche parte, in America. Lui guarda il muro le dita e ripete: ..Non so se mi conosce da prima. Quando cantavo le canzoni della solitudine, del va a farti fottere, del non mi importa^ niente di te, della tua vita e' dei tuoi problemi. Mi conosceva allora?». I Da vicino il ragaaao con la faccia bianca è un uomo con piccole rughe die indicano con precisione meticolosa i suoi anni, meno di quaranta, e tanti di più del suo mito di vagabondo di una adolescenza infinita. Le mani invece non hanno il minimo segno. Sono le mani di un ragaaaino. «Desolation Row», se lo ricorda? «Aint go to hell for anybody» («non andrò all'inferno per nessuno, niente padre, niente madre, niente fratelli o sorelle, io non ho nessuno»). Se lo ricorda? Fumavo allora, eh se fumavo. Fui mavo di tutto... Con la mano fa il gesto stanco della sigaretta alla bocca, ma con due dita serrate, non il gesto di fumare una sigaretta normale. E la posiaione delle labbra, un po'sporte in fuori, e l'aspirare profondo l'emissione lunga, placata, del fiato. Vuole che capisca di che fumata si tratta. Il silenzio Chiaro che il modo migliore di condurre la conversaaìone con lui è il silemio. In questo non è molto diverso da tutti gli anni e le occasioni che gli ho citato die lui sembra non avere neppure ascoltato. Imita la fumata, guarda il muro, aspetta. Forse lo tranquilliaaa il fatto che non ci sia il solito registratore o il libretto di appunti. O forse chissà, lo infastidisce che l'incontro sia cosi casuale. Una folla di amanti, adoratori, discepoli e giornalisti locali (soprattutto ragaaae con belle facce prepotenti con i capelli e le giacche alla Diane Keaton, che si distinguono dal resto della folla per la determinaaione di uccidere pur di non essere tagliate fuori dall'occasione) viene tenuta lontana, nell'altra parte del corridoio, da alcuni gorilla. Stupisce che Dylan-Gesù abbia bisogno di gorilla. Ma Dylan-Gesù, anche nella finta clandestinità di questi nuovi «concerti» sema pubblicità (i ragaaaini si passano la voce, non una parola sui giornali o nelle radio locali) è una «celebrity», un divo. La sua «domenica delle palme» dura ormai da venti anni. Questa riflessione, detta ad alta voce, lo irrita. But- ta indietro la testa col gesto dì chi si libera dai capelli (ma i suoi capelli sono piuttosto corti adesso). «Non ha capito? Le ho detto che prima non ero cosi. Prima non mi importava niente di niente». La sua espressione è più dura ma non deliberatamente volgare. E' soltanto gergo tradiaionale dei giovani. Fa la lunga pausa di chi ha il senso innato delle pause poi dice, foraando la sua voce nasale ad essere più netta, persino un po' dura: «Non capivo niente di che cavolo cantavo allora. Era tutto un viaggio». Usa la parola «trip», nel senso che ormai, dopo gli Anni Sessanta, conoscono bene anche quelli che non sono più giovani Le suore «Ma il solo "trip" che mi importa adesso, è quello con Gesù. Non è un viaggio facile, ma è il solo viaggio. Lei mi diceva che viviamo in tempi pericolosi...». In questo incontro non c'è mai stata una mia frase, dopo le prime battute di circostanaa. Bob Dylan forse sta pensando a un altro discorso, continua un'altra intervista. Ma vuole dire ben chiaro quelle che ha in mente. Vuole dirlo come una sfida. «Lei mi diceva che viviamo in tempi difficili. Ma Gesù lo sa. Lui è preparato. Non i governi, non i politici che non sanno un cavolo dei tempi. difficili, sanno solo crearli. Gesù lo sa, lo sapeva. Lei pensa che sono brutti tempi? • Lei non sa quello che dice, ma Gesù lo sa». Bisognerebbe obbiettare che, con il suo evangelismo, Bob Dylan si è messo dalla parte di milioni e milioni dì «born again», di «figli di Gesù», di bambini di Dio. Dalla parte del movimento più vasto che — dicono specialisti e sociologi — si sia mai visto in America. Questi «figli di Gesù», quando hanno voluto, due mesi fa, sono calati in duecentomila su Washington, per cantare la salveaaa che solo Gesù può portare. Perché allora quell'aria ribelle, quella bella faccia bianca e scavata che permette ai bravi fotografi di fare «il ritratto del martire»? Questa domanda non gli verrà mai fatta. Se fosse uno furbo risponderebbe con un ammiccamento e un sorriso che tutti gli artisti sono bravi quando «sentono il tempo». Ma lui è soprattutto un leader. Il tema di Gesù, uno potrebbe dire maliziosamente, ha sollevato la tensione delle sue sale buie, dei suoi concerti comunicati di bocca in bocca, sussurrati nelle scuole e per le strade, tra le bande di adolescenti che lo adorano. Ma le sue camoni sono almeno altrettanto belle, la sua musica altrettanto semplice e immediata, eppure abbastama complessa e ricca da interessare i critici seri. Dylan sembra ascoltare qualche altra cosa: il mormorio tenace di coloro che spingono per vederlo, un'idea che lo tormenta e gli fa venir voglia di disegnare. Dylan disegna bene, traccia figure molto nitide, scarne e tormentate come sembra adesso il suo viso, sema staccare la mano dal foglio, in questo caso dal muro. Si sente il coro delle ragaaae «con la gola di miele» che sta provando una delle canaoni soltanto con la voce, sema parole. Dylan si alea, ride, diventa in quel sorriso bambino, stringe la mano con la frescheaza di uno sportivo, cammina in fretta verso la sua folla adorante. Sì volta per dire: «C'è la seconda parte. C'è semprela seconda parte. O almeno io starò in giro finché c'è la seconda parte». Ut là, in sala, urlano in piedi, battono le mani a ritmo e invocano Gesù. Una fila di suore giovani esce alla svelta, dall'ultima fila. Non sono sicure die questa celebrazione riguardi «il loro» Gesù. A giudicare dalle facce, hanno bisogno dì ripensarci. Furio Colombo Bob Dylan: «Prima non ero così, non mi importava di niente»

Luoghi citati: America, California, New York, Texas, Washington