Pétain, una tentazione totalitaria di Ferdinando Vegas

Pétain, una tentazione totalitaria Quarantanni fa, dopo il crollo militare della Francia Pétain, una tentazione totalitaria Maurizio Serra: «Una cultura dell'autorità - La Francia di Vichy», ed. Laterza, pag. 258. lire 13.000. Quarantanni fa di questi giorni la Francia sprofondava in una catastrofe che derivava immediatamente dalla disfatta militare ma che, per le proporzioni e la fulmineità della disfatta stessa, chiamava in causa ragioni più profonde e remote. Fatta responsabile del disastro, la III Repubblica veniva cosi sostituita da un diverso regime, passato alla storia col nome della località, Vichy, dove esso ebbe la sua sede di governo: quella «Francia di Vichy», appunto, che si pose subito come contraltare alla Francia repubblicana che l'aveva preceduta. Nei pochi anni di vita (1940-1944) e nel suo ristretto ambito geografico (la zona non occupata dai tedeschi, che però occuparono anch'essa nel novembre 1942) Vichy tentò di realizzare una «rivoluzione nazionale» che doveva rigenerare la Francia; non vi riuscì, e non solo perché travolta dagli avvenimenti, tuttavia arrocchi la casistica della destra d'uno dei feno¬ meni più interessanti, ancora oggi degno d'essere attentamente studiato, sotto più d'un aspetto. Il Serra, giovanissimo studioso (è nato nel 1955) dalle armi critiche già molto affilate, ha scelto l'aspetto del «rapporto tra cultura e autorità», analizzando Vichy come «un esempio storico di cultura autoritaria al potere». La «rivoluzione nazionale» vide all'opera, in effetti, non una. ma due destre, ciascuna a suo modo portatrice di una concezione autoritaria: la nuova destra, impregnata di attivismo, una matrice tipica del fascismo, tant'è vero che si professavano esplicitamente fascisti, per restare tra gli scrittori, un Brasillach o un Drieu La Rochelle, mentre Chàteaubriant si dichiarava nazionalsocialista; e la vecchia destra, mirante a conservare i valori tradizionali della Francia e quindi reazionaria nei confronti della Francia repubblicana, che aveva il proprio «nume tutelare peri eccellenza» in Maurras e che, soprattutto, era «radicata nell'ambiente di Pétain», l'ottantaquattrenne maresciallo a capo della Francia di Vichy. Fu questa destra, da Pétain stesso agli «intellettuali di ascendenza variamente maurrasiana» intorno a lui, ad indirizzare la «rivoluzione nazionale» secondo la propria ideologia. Essa «venerava... l'armonia del mondo, intesa come sottomissione ad una gerarchia naturale: padre, superiori, Stato, Dio»: una concezione autoritaria in senso piramidale, mentre la nuova destra, non per niente consonante col fascismo, perseguiva «l'identificazione totalità ria del capo con il suo popolo». Ma Pétain, se intendeva essere l'uomo dei francesi, non ne chiedeva l'intervento attivo nella sua decisione, dato che «il ruolo di padre trascende l'accettazione dei figli». Il maresciallo, insomma, era il padre che riporta i figli sulla retta via e li salva, purché essi recitino il mea culpa, si dichiarino pentiti e ammettano che la sconfitta era stata meritata per le colpe di cui si erano macchiati. Posta questa premessa, si poteva procedere verso il riscatto; e qui si inseriva l'intervento dell'intellettuale, nel rapporto reciproco di cultura ed autorità. In un-senso il regime esercitava autorità sugli intellettuali, che celebravano la «religione del capo», il «culto del salvatore»; nell'altro senso agli intellettuali era conferita autorità civile, in quanto, specie come insegnanti, dovevano essere «infermieri e levatrici di una Francia diseducata», col compito primario di riconoscere e valorizzare le élites le quali, a loro volta, avrebbero indirizzato «la vita civile e culturale francese nel senso voluto dall'autorità». Questo, appena delineato, è solo uno schema estremamente sommario d'un panorama quanto mai variegato ed intricato, che è meritoria, pienamente riuscita fatica del Serra avere perlustrato in tutti i suoi tortuosi anfratti. Si pensi alle derivazioni culturali dell'una e dell'altra destra, per nulla lineari, agli spostamenti di campo, alle rivalità fra gruppo e singoli individui; e l'esemplificazione potrebbe continuare. Al di là di tutti questi motivi particolari, un motivo di fondo condannava la «rivoluzione nazionale»: che essa era essenzialmente «anti», dall'anacronistico ruralesimo contro il mondo moderno all'antisemitismo, non poteva quindi formulare la tanto agognata «verità di Stato». E donde l'avrebbe tratta, visto che le destre prebelliche non avevano «prodotto una dottrina positiva che andasse oltre velleitarismi»'? Cosi falli la «cultura dell'autorità» di Vichy. per difetto — se ci è consentito un gioco di parole — di vera autorità culturale. Ferdinando Vegas Pétain visto da Levine (Copyright N. Y. Review of Books. Opera Mundi e per l'Italia .La Stampa.I

Persone citate: Brasillach, Levine, Maurizio Serra, Maurras, Rochelle