Arte (e fascismo) negli Anni 20

Arte (e fascismo) negli Anni 20 LA GRANDE MOSTRA SUI «METAFISICI» A BOLOGNA Arte (e fascismo) negli Anni 20 BOLOGNA - Dopo le valide iniziative milanesi, sull'astrattismo, sul mirabile versante femminile delle avanguardie, e in attesa dell'importante presentazione torinese della Ricostruzione Futurista dell'Universo, Bologna tiene il campo con l'ambiziosa, vasta mostra dedicata (ma il primo termine è quanto meno eluso) alla Metafisica: gli Anni Venti (Galleria d'Arte Moderna. Maggio-Agosto: catalogo in due volumi, il primo per pittura e. scultura già disponibile). Pittura di «Novecento» e «addenda», scultura, grande in Arturo Martini e angosciosamente necrofila in Wildt; l'indicibile retorica seriale dei «monumenti ai caduti»; letteratura e pratica e teoria dell'arte (con osmosi dall'una all'altra sfera, di intensità e pertinenza mai raggiunte né prima né poi); la grande stagione d'avanguardia della scenografia, da Prampolini a Marchi, da Depero a Baldessari, innescata da un'avanguardia teatrale dominata e gestita dal genio di Bragaglia. un felicissimo momento dell'illustrazione, libraria, ebdomadaria, cartellonistica; il confuso ma vitale dibattito di un'architettura che si professionalizza fra Roma e Milano, con qualche vocazione espressionista e idealmetafistea. Il tema è. come suole dirsi, «sull'onda». In generale, gli studi storici hanno approfondito nell'ultimo decennio i complessi e contraddittori rapporti fra cultura artistica e letteraria — sia tradizionalistica che avanguardistica — e nascente reazione fascista, prima dell'organizzazione del consenso negli Anni Trenta. Nello specifico, l'indagine scientifica della cultura figurativa e architettonica di quegli anni ha compiuto notevoli passi in avanti, dalla mostra milanese di Birolli e Baratta sui «miti» figurativi e letterari, un anno fa, al recente volume di Rossana Bossaglia // Novecento Italiano. Alle spai le, tredici anni fa, l'amplissima rassegna organizzata da Ragghiami a Firenze, Arte Moderna in Italia 1915-1935. Ci si è liberati da schematiz zazioni e manicheismi, si sono chiariti complessi rapporti in terni, italiani e internazionali (la centralità europea del «Ritorno all'ordine», il nodo di «Valori Plastici» fra futurismo metafisica, neocubismo, sviluppi dell'espressionismo). Vi corrisponde la mostra bolognese, è risolta e soddisfatta la sua esplicita vocazione ad una sin tesi e rimeditazione di questi studi e chiarimenti ? Per quanto riguarda le arti figurative, solo in parte. L'inizio è geniale, affascinante e indubbiamente chiari-, ficatore, con Severini fra i fondamentali Materni té e Portrait de Jeanne dei 1916 (fondamentali almeno quanto Derain e Picasso negli stessi anni) e la mirabile fotoricostruzione al vero del ciclo delle Maschere affrescato nel 1921-22 nella villa di Montef ugoni presso Firenze. Subito dopo, le prime delusioni, soprattutto per il riferi-' mento alla «Metafisica»; De Chirico e Morandi con presenze non significative, un Carrà inspiegabile e disarticolato. Meglio sarebbe stato chiuderlo nel cerchio magico delle Figlie di Loth e della Casa dell'amore. fra 1919e 1922. che non affian-. carvi la ripetitiva Attesa del 1926 e la squallida tetraggine dei Pescatori del 1929. Anche l'esordio dell'originario gruppo dei sette di «Novecento» — quello milanese fra 1920 e 1924 — è tutt'altro che entusiasmante, con la scelta del Sironi più greve e retorico fra 1928 e 1932, inspiegabile in chiave storico-cronologica. Una scelta comunque discutibile e ingiusta, se con essa gli ordinatori hanno voluto far risaltare per contrasto l'originaria vitalità dei richiami europei alla «naturalità» e alla tradizione, e la libera varietà, degli altri sei novecentisti: l'originale comprensione del neorina* scimento, appena inaugurato da De Chirico, da parte di Funi, le aperture franco-tedesche di Marussig e di Buccina vera e propria «nuova oggettività» di Dudreville. di Oppi, in parte di Malerba, troppo precocemente scomparso nel 1926. A questo punto, e di nuovo ricordando che il compito di offrire un'amplissima base documentaria ad ogni successiva Ìiarificazione era già stato mpiutamente assolto dalla ditata rassegna fiorentina del 1967, agli organizzatori della sezione pittura e scultura (Renato Barilli e Franco Solmi) si 'aprivano due strade: o prendere decisamente posizione indi¬ viduando gli esiti e i punti di tenuta storica dopo i fermenti culturali dei primi Anni 20. dalla metafisica-«Valori Plastici» al primo gruppo di «Novecento», o accumulare di nuovo disparati documenti. Cercare di mantenere entrambe le istanze, fino a proporre ripartizioni antipodiche fra «eredità di Ca' Pesaro nel Novecento» e «Realismo magico», fra «Postimpressionismo» e «Neofuturismo», ha significato confondere e intorbidare ogni rapporto storico e ideale. La confusione è poi aggravata dalla disparità quantitativa e qualitativa delle scelte. Che vale proporre due bellissimi Guidi, fondamentali e riassuntivi (il Tram del 1923 e la Passeggiata a cavallo del 1930") in mezzo alla confusa marea di singole presenze dell'onnicomprensivo «Novecento italiano» seconda versione, in cui annega anche la bella, intelligente esperienza parigina di Paresce? E perché non offrire equivalenza di trattamento alla più autentica «magia» di Mario Broglio e soprattutto della moglie Edita rispetto alla pur impressionante oggettività «speculare» di Cagnaccio di S. Pietro e di Donghi? Altrove, sono improponibili., incomprensibili accostamenti di presenze e di scelte in sé felici: è del tutto estrinseco il fatto che Ca' Pesaro a Venezia abbia tenuto a battesimo intorno al 1910 la logica formale, intangibile fino al mistero, di Casorati e l'incomparabile fan-' ' tasia mistico-primitivistica di Garbari Solo per intrinseca virtù, non nel contesto della mostra, Casorati e Garbari si pongono fra le personalitàchiave ed eminenti del momento. , Infine, del tutto casuali risultano le scelte, gli accostamenti nella sezione intitolata al «neoimpressionismo»: non ha senso appendere da parete a parete un quadro o due — belli, modesti, mediocri — di Spadini e di Licini. di Scipione e di Menzio, di Del Bon e della Raphael Mafai, visioni e forme lontanissime, non comunicanti Tanto più netto risulta allora il contrasto, dal negativo al positivo, con le altre sezioni. Le arti applicate, curate dalla Bossaglia. allineano i mobili di Cambellotti e Ponti. le ceramiche di Nonni e Melandri, della Lenci, ancora di Ponti, i vetri di Martinuzzi e Balsamo Stella: giusta e saggia è la decisione di tenersi nei precisi limiti di un «déco» non inferiore ai livelli francesi. In parallelo, risulta altrettanto corretta l'impostazione della sezione architettonica curata da De Seta, che approfondisce il discorso del «professionismo» romano di Piacentini e Del Debbio, Aschieri e Sabbatini, milanese di Portaluppi e Griffini, Greppi e Muzio e Andreani, con l'esordio di Ponti e Buzzi, e l'originalità dello spazio «metafisico», fra architettura e pittura, di Gigiotti Zanini; anche se ciò costa l'esclusione dell'unica personalità eterodossa milanese. De Finetti. Marco Rosei

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