Un'idea dell'Europa che viene da lontano di Bernardo Valli

Un'idea dell'Europa che viene da lontano Oggi 40 anni dairappello di de Gaulle Un'idea dell'Europa che viene da lontano L'«appello del 18 giugno» è stato uno dei più nobili atti di insubordinazione della Storia contemporanea. E' stato anche uno dei meno ascoltati. Quel giorno del 1940, infatti, la voce dello sconosciuto generale di brigata a titolo provvisorio Charles de Gaulle, portata con fatica dalle onde di radio Londra al di là del Canale della Manica, arrivò soltanto in> quella porzione di Francia che si stende tra Angers e Hendaye; inoltre, erano molto pochi i cittadini della Terza Repubblica, sconfitta dal Terzo Reich, disposti a raccogliere in quelle ore di smarrimento un'esortazione alla resistenza armata. Nel 1940 il maresciallo Pétain era la legalità, De Gaulle la disubbidienza. Pétain incarnava il realismo, la saggezza, cioè la rassegnazione alla disfatta; De Gaulle era l'irrazio-' naie, peggio ancora il suo no-1 me, ignorato dai più, non rievocava come quello di Pétain glorie passate con cui curare le ferite del momento. E' impossibile non contrapporre l'atteggiamento della Francia umiliata di quarant'anni fa alle trionfali e giuste celebrazioni con cui la Francia odierna ricorda quella audace e lungimirante insubordinazione di un generale ispirato, che si prendeva per Giovanna d'Arco, ma che aveva anche capito i limiti della* disfatta francese: una battaglia perduta nel corso di un conflitto destinato a durare e ad estendersi, fino alla sconfitta della Germania hitleriana. Nella sua fideistica irrazionalità, «l'appello del 18 giugno» conteneva questo realistico avvertimento. Più tardi, nonostante la sua politica di grandeur, il generale terrà sempre i piedi per terra. Ha scritto Churchill: «Il 18 giugno la Francia libera era nata, allora essa comprendeva soltanto un generale indomabile circondato da qualche compagno animato dallo stesso spiri to». Quarant'anni dopo il culto di De Gaulle è alimentato dal l'intero schieramento politico, ed esso non riguarda soltanto il capo della Francia libera, ma in parte anche l'uomo che poi esercitò a lungo il potere con autoritarismo liberale. La sua eredità viene contesa da più parti in queste giornate celebrative e a dieci.mesi dalle eie zior.i presidenziali. E' come se le aspre polemi che esplose nel periodo in cui egli governava il paese fossero state sepolte, dimenticate. Tra il 19S8, anno della fondazione della Quinta Repubblica, e il 1969, anno del suo ritiro defl nitivo a Colombey-les-Deux-: Eglises, dove morirà di schianto come una «vecchia quercia», la Francia ha dato più volte segni di insofferenza. Il maggio '68 è stata anche una rivolta contro il suo paternalismo. Per scalzarlo dall'Eliseo i socialisti hanno denunciato per anni il «colpo di Stato pernia- rqFtc«czippribOmncdcsssndtittdtnente». I comunisti non gli hanno risparmiato le accuse, soprattutto quando si sono sentiti colpiti dalla sua censura, durante la guerra d'Algeria Valéry Giscard d'Estaing, primo presidente non gollista della Quinta Repubblica, era tra coloro che nel '69 hanno affrettato le sue dimissioni. Ora i comunisti si richiamano a de Guaite nel definirsi difensori dell'indipendenza nazionale, nel patrocinare la forza atomica di dissuasione e nell'invocare il potenziamento delle industrie avanzate. Il socialista Mitterrand, il grande oppositore del Generale, assume atteggiamenti golliani. In prima fila tra gli eredi fa spicco Giscard d'Estaing, che vincendo nel '74 le elezioni presidenziali mise fine all'epoca gollista. Jacques Chirac, il capo del Rassemblement, deve fare a gomitate per presentarsi come il vero discendente di una stirpe che il Generale non ha mai voluto e comunque mai riconosciuto. In un romanzo di fantapoli tica, a chi gli chiede quel che sarà il gollismo dopo la sua morte, De Gaulle risponde: «Sarà Lourdes senza la Madonna: una semplice piscina». Nella realtà il Generale avrebbe detto: «Alla mia morte tutti sa- ranno gollisti». Perché mai questa unanimità postuma? Forse perché De Gaulle fu tante cose: sognatore, realista, conservatore, favorevole alla «partecipazione» nelle fabbriche, federatore della Resistenza, maurassiano e monarchico in gioventù, difensore della repubblica e giustiziere della «repubblica dei partiti», autoritario e liberale, un personaggio barocco e un uomo lineare. Oggi, morto, egli è buono per molti usi. Ma è soprattutto la necessità di colmare un vuoto che rende popolare il generale defunto. La sua presenza è viva anche nel resto dell'Europa. E' stato De Gaulle a gettare le basi di quella intesa franco-tedesca che è al tempo stesso la spina dorsale del versante occidentale del Vecchio Continente e causa di numerose frustra¬ zioni nei paesi «minori», incapaci di- seguire i ritmi imposti da Parigi e da Bonn. Ed è stato sempre lui, il generale defunto, a stabilire quei rapporti privilegiati della Francia con Mosca, che ancora oggi irritano e preoccupano gli alleati «anglosassoni». Di questi ultimi, ules anglosaxons», egli ha sempre sospettato, paradossalmente persino quando l'ospitavano in esilio e liberavano il suo paese. De Gaulle respingeva l'idea di una Francia satellite dell'impero americano. Il suo obiettivo, come quello dei suoi successori, era quello di scavarsi un'autonomia diplomatica e militare, nell'ambito di un'alleanza occidentale. Ed è probabilmente anche per questo che egli piace ai cittadini della Quinta Repubblica non più gollista, ma golliana. Bernardo Valli