Importiamo anche miele di Emanuele Novazio

Importiamo anche miele Una spesa di undici miliardi Fanno Importiamo anche miele L'Italia («Paese del sole») importa oltre centomila quintali di miele l'anno, per un valore di undici miliardi (dati 1979). Perfino la Germania Occidentale, che pure è il maggiore importatore di miele in Europa, riesce a vendercene consistenti quantità, insieme con Romania, Ungheria, Brasile e Argentina. Un paradosso? Più semplicemente il risultato di una serie di carenze e errori produttivi. Nel nostro Paese gli alveari sono ottocentomila: in Piemonte, dove da alcuni anni è in corso un censimento volontario, non ancora completato, circa ottantamila. La maggior parte degli apicoltori, tuttavia (quattromila censiti finora in Piemonte, settanta mila in Italia), fanno questo mestiere a tempo perso; molti di loro non hanno più di un paio di alveari, che spesso trascurano. I professionisti (con centinaia e talvolta migliaia di alveari) non superano il dieci per cento del totale. «Spesso, inoltre, la preparazione professionale è molto scarsa —dice il professor Franco Marletto. docente di apicoltura all'Università di Torino —. Soprattutto al Sud non è sempre si è all'altezza della situazione dal punto di vista tecnico». Molti apicoltori non sono stimolati ad aggiornarsi, nota Marletto, e seguono sistemi invecchiati, poco produttivi e alle volte dannosi per le ani. Non tutte le fioriture, poi, sono sfruttate in modo adeguato. «Per esempio quella del castagno spesso è, ignorata, perché il consumatore non gradisce il miele scuro (uguale a tutti gli altri dal punto di vista nutritivo)». Un altro errore comune è l'uso di alveari «fissi». « In questo modo — noia il professor Marletto — si sfrutta una sola fioritura. Quando, come quest'an¬ no, la primavera è rovinata dalla pioggia, gli apicoltori stanziali perdono completamente la produzione». Gli alveari, al contrario, dovrebbero seguire le piante, «inseguire i tiori»: solo cosi è possibile arrivare fino a quattro o cinque raccolti. Un alveare fisso produce al massimo trenta chili di miele l'anno, mentre uno «nomade» supera spesso i sessanta chili: la differenza non è da poco. Infine l'inquinamento. In molte zone l'apicoltura è scomparsa: per esempio nel Vercellese, in seguito ai massicci trattamenti antiparassitari nelle risaie. Gli anticrittogamici intatti non sono selettivi, e uccidono anche le api. Gli animali, come fossero un filtro, garantiscono però che il miele non sia troppo inquinato. Esiste un divieto della Regione Piemonte contro l'uso di antiparassitari nel periodo della fioritura, ma spesso è disatteso: all'Istituto torinese giungono sempre più frequenti denunce di apicoltori che lamentano la distruzione dei loro alveari. Non sempre è facile scoprire il colpevole: spesso l'ape si abbevera in acque inquinate oppure è avvelenata dalle esalazioni di anticrittogamici sparsi in precedenza sui campi di mais. Anni fa nei Roeri, in provincia di Cuneo, furono distrutti in questo modo centinaia di alveari. Ma la strage —nonostante le proteste degli apicoltori — continua. Marletto e i suoi collaboratori hanno iniziato un indagine. «Passeremo I dati alla Regione — spiegano — perché gli apicoltori siano almeno risarciti. Finora, olire al danno, hanno avuto solo la burla». Emanuele Novazio

Persone citate: Franco Marletto, Marletto