L'Europa ritrova l'unità politica?
L'Europa ritrova l'unità politica? L'Europa ritrova l'unità politica? DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE VENEZIA — L'incognita di fondo dell'incontro dei Nove, rimasta irrisolta fino a poche ore dalla conclusione, era di sapere se l'Europa, che tre settimane fa aveva sfiorato il collasso mortale sulla questione inglese, sarebbe riuscita a ritrovare un'unità politica in vista del vertice mondiale a sette, che si terrà tra otto giorni ancora a Venezia. La risposta è venuta da Valéry Giscard d'Estaing, il leader più criticato per la sua mancanza di disciplina europea e per certi rigurgiti d'individualismo neo-gollista, il quale, ancora giovedì sera, aveva minacciato propositi frazionisti, facendo dire al suo portavoce che la Francia era pronta a redigere una propria dichiarazione sul Medio Oriente se quella comunitaria non fosse stata di suo completo gradimento. «Malgrado le difficoltà — ha detto ieri il presidente francese nella sua rapida conferenza stampa conclusiva — l'Europa sta emergendo progressivamente come un elemento indipendente, che ha una sua responsabilità nel gioco delle grandi forze mondiali». La risposta di Giscard fa giustizia, forse un po' troppo sommaria, delle dissonanze di accento, e anche di sostanza, emerse tra gli europei in questo incontro e nelle settimane che lo hanno preceduto. Ma è vero che le intese raggiunte ieri, e verbalizzate in documenti, comuni, sul Medio Oriente, sull'Afghanistan e sul Libano indicano che l'Europa ha ritrovato almeno un mìnimo comun denominatore politico, e consentono d'impostare l'incombente vertice a sette in chiave di un confronto chiarificatore tra l'Europa e l'America. Mai come questa volta, in effetti, il vertice comunitario a nove è stato propedeutico di quello a sette tra Stati Uniti, Canada, Giappone, Gran Bretagna, Germania, Francia e Italia (i cosiddetti «sette Paesi più industrializzati» del mondo a economia di mercato) iln passato, le riunioni europee precedenti quella a sette servivano più che altro a consentire agli esclusi (Lussemburgo, Qlanda, Belgio, Irlanda e Danimarca) di affidare un mandato negoziale ai quattro partecipanti all'incontro a sette. Stavolta, invece, si trattava di vedere se l'Europa, nell'incontro mondiale del 22 e 23 giugno a Venezia, sarebbe stata capace di parlare con una voce sola, anziché con più voci discordi. E mai come questa volta, nei suoi sei anni di storia, il vertice annuale a sette si trova a dover affrontare, oltre ai consueti problemi della crescita economica e di una più razionale utilizzazione delle risorse, una serie di crisi politiche forse vitali per l'Occidente: la rivoluzione in Iran con il dramma degli ostaggi americani e l'incertezza sul futuro di questo Paese cruciale per la stabilità internazionale; l'intervento sovietico in Afghanistan e le sue conseguenze sui rapporti Est-Ovest; il rischio che siano vanificati gli accordi di Camp David con conseguenze inimmaginabili per il problema mediorientale. Finora non soltanto l'Occidente nel suo insieme, ma anche l'Europa dei Nove era stata incapace di dare una risposta unitaria a queste sfide. Al comune consenso sulla pericolosità del comportamento sovietico si era sovrapposto il dissenso sul metodo migliore per contrarlo, tra i partigiani di misure punitive e i fautori del mantenimento del dialogo All'unanime condanna della presa di ostaggi da parte iraniana si era contrapposta l'ìncerPaolo Garimberti (Continua a pagina 2 in quarta colonna)
Persone citate: Garimberti, Giscard D'estaing
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