Una lunga attesa nel museo del Tempo

Una lunga attesa nel museo del Tempo Metafora della «rozzezza della vita» Una lunga attesa nel museo del Tempo Fleur Jaeggy: «Le statue d'acqua», ed. Adélphi, pag. 110, lire 5000. Enigmatico, rarefatto, catacombale: ecco un libro che allontana sdegnosamente da sé gli aggettivi un po' logori con i quali il lettore di professione cerca di catalogarlo. Terzo lavoro della scrittrice zurighese, da anni trapiantata a Milano, è opera che esige in pari tempo abbandono e complicità. Lasciati alle spalle i parametri consueti dell'intreccio e della psicologia ci avventuriamo in una landa che è quella della visione, più ancora che del sogno; ci imbattiamo in personaggi, pae- saggi e scarni enunciati che hanno la durezza del simbolo. E' il conterraneo Ftlssli il nume di fcleur Jaeggy. Pochi e incerti i dati riferibili. In una Amsterdam fissata in una luce magrittiana di eterno tramonto, si aggira un solitario senza età di nome Beeklam. Regredito nel sotterraneo del palazzo avito, costui ama dialogare con le statue che vi ha raccolto: mosso, si direbbe, non tanto da un astratta passione di collezionista, quanto dalla necessità di trovare un sosia di pietra che gli consenta di entrare anch'egli in quell'antimondo infero. La cantina è circondata da acque sibilanti che emettono messaggi cifrati: ma altre acque circolano nel racconto a sottolineare la nostalgia del liquido prenatale della tepida sicurezza che esso offriva. Affiancano Beeklam un padre e dei servitori che si somigliano tutti nelle loro ossessioni e nella fissità oracolare; e una bambina vizza, Katrin che abita un padiglione alto sulla scogliera, e sembra offrirsi come doppio femminile e en plein air del collezionista di statue (non è questa la sola simmetria di questo libro geometrico, che sacrifica qualcosa anche ad Escher). Tutti vivono (hanno già vissuto) nella dimensione atemporale del Museo, appiattita nel rigor mortis di un eterno presente. Abbiamo l'impressione di trovarci davanti ai detriti di un naufragio, accumulati con distratta cautela dal narratore sulla lastra necroscopica della pagina. Il distacco con cui questa metafora letteraria ci viene incontro nasconde il suo contrario: una sorta di grido d'orrore pietrificato. Il sentimento che il libro si sforza di oggettivare è la disperazione per la «rossezza e l'incuria della vita», per il suo stile mediocre, per l'impossibilità di ripristinare una misura di perfezione nel caotico cerimoniale dell'esistenza; ma è anche il rimpianto per qualcosa che viene negato per sempre. Anche se non é scandito dal ticchettio delle pendole come il Tristram Sliandu di Sterne, è il Tempo il vero problema del libro: «lo scorrere raccapricciante delle ore». Un tempo incenerito da una misteriosa catastrofe, annullato dalle scoperte di una nuova fisica, si che l'unica alternativa sembra essere l'allucinazione o, appunto, il Museo. Invano Beeklam continuerà ad aspettare «tutto ciò che si gonfia al vento, all'ebrezza primaverile, e può esprimere almeno un aereo giubilo». Sono sentieri pressoché sconosciuti alla nostra letteratura, che diramano dal romanticismo tedesco per arrivare all'espressionismo. Ora che gli incubi weimariani sono ritornati attuali, possiamo ripetere con un personaggio di Fleur Jaeggy: «In quegli anni non abbiamo amato gli esseri umani, né i piccoli, né gli adulti... Tuttavia, come è naturale, aiutavamo il prossimo». Ernesto Ferrerò

Persone citate: Ernesto Ferrerò, Fleur Jaeggy, Jaeggy, Sterne

Luoghi citati: Escher, Milano