«Signori nemici, sparate per primi» di Giuseppe Mayda

«Signori nemici, sparate per primi» GIUGNO 1940: COMINCIA PER L'ITALIA UNA TRAGICA AVVENTURA «Signori nemici, sparate per primi» Per la prima volta nella storia, la guerra alla Francia si apre con l'ordine ai nostri soldati di limitarsi a rispondere al fuoco - Ma subito gli inglesi bombardano Torino e Genova, navi francesi attaccano la Riviera - Fermi sulle Alpi, costretti a difenderci in Libia, passiamo all'offensiva solo in Etiopia - Un terzo della flotta mercantile cade in mano avversaria Non eramai avvenuto, nella storia, che una guerra cominciasse con l'ordine dì non sparare. Eppure accade —per la prima volta — nel giugno 1940 quando l'Italia fascista aggredisce la Francia ormai in ginocchio, da Sedan a Dunkerque, davanti- alle armate di Hitler. La disposizione nr. 87, emessa il 7 giugno 1940 dallo Stato Maggiore del nostro esercito, è chiarissima; prescrive che «in caso di ostilità non dovrà essere intrapresa alcuna azione oltre frontiera (.,.), nessun reparto o nucleo dovrà varcare materialmente la linea di confine (...) e le nostre truppe e artiglierie non dovranno per prime aprire il fuoco su truppe e posizioni francesi». L'origine di questa singolare disposizione risale a Mussolini: alla vigilia della guerra, il 5 giugno, l'ambasciatore a Roma, Francois Poncet, lo ha rassicurato che la Francia non nutre alcuna intensione dì compiere un attacco «brusqué» contro l'Italia; l'addet-, to militare francese, Parisot, ha implorato Badoglio — di cui è amico da tempo — di non attaccare né sulle Alpi, né in Corsica, né in Libia e il Duce s'è quindi andato convincendo che il conflitto sì risolverà in un puro atto formale. Così, quarantanni fa, la guerra contro la Francia ha inizio come, VII maggio 1745, cominciò la battaglia di Fontenoy: «Signori nemici, sparate per primi». E, difatti, loro lo fanno. Primi sono gli inglesi. La sera dell'll giugno una formazione di trentacinque Whinthley, che trasportano ciascuno quattro bombe da 500 libbre, decolla da Londra diretta al Nord Italia affrontando, per la prima volta nella guerra, un volo di oltre 2.000 chilometri. Nella notte, per vari incidenti, gli aerei sono decimati e ne arrivano solo dieci su Torino e due su Genova: nella prima città il bombardamento, diretto specialmente contro la Fiat, provoca 14 morti; nella seconda lievi danni all'Ansaldo. Poi i francesi. All'alba del 14 giugno gli incrociatori Foch, Algerie, Colbert e Dapielx, usciti da Tolone con la scorta dì undici cacciatorpediniere e cinque sommergibili, compaiono sulle coste liguri. Il Foch e 2'Algérìe bombardano a Vado i depositi di carburante della Monteponi (causando anche nove morti e 35 feriti) mentre il Colbert e il Dapleix colpiscono, però con scarsissimi risultati, gli impianti industriali di Genova. ■ . Nelle acque di Vado gli incrociatori francesi sono affrontati da una vecchia torpediniera, la Calatafimi, che al comando del tenente di vascello Giuseppe Brìgnole scagliai suoi siluri da 3.000 metri (ma la Calatafimi è così malandata che uno dei siluri rimane bloccato nel tubo di[ lancio, mezzo dentro e mezzo fuori): quando poi il caccia, francese Albatros viene colpito dalle batterie costiere di Genova la formazione decide' di interrompere il contatto e' di ritirarsi verso Tolone. autoblindo speciali adatte alle scorribande nel deserto, attraversa ripetutamente le nostre linee annientando il presidio di Sidi Omar e le ridotte Capuzzo e Maddalena. Un reparto raggiunge anche la Balbia (la strada litoranea alla quale, sul metro degli antichi romani, il quadrumviro di Ferrara ha voluto dare ilproprio nome) e distrugge un'autocolonna catturando il generale del Genio Lastrucci che, a bordo della propria pettura, ha i piani per la difesa di Bardia. In Africa orientale — dove il comando militare e civile è. nelle mani del viceré d'Etiopia, Amedeo d'Aosta — la guerra comincia con piccoli successi italiani. Il duca ha in animo di puntare a Sud sul Kenya e, contemporaneamente, nel Sudan e in Egitto per risalire la valle del Nilo e congiungersi con Balbo in Libia. Un progetto napoleonico, ma debitamente approvato dal comando supremo. Badoglio, però, cambia idea e il 10 giugno telegrafa ad Amedeo d'Aosta di tenere «un contegno strettamente difensivo» (e nel suo pessimo italiano' spiegherà poi dì aver aderito inizialmente ai piani offensivi di Mussolini in Africa «più che altro per far ginnasticare le menti degli stati maggiori»;. Le forze del duca d'Aosta sono consistenti, oscillano sui 260 mila uomini più 6000 ufficiali, ma l'armamento è sorpassato con veri e propri record di obsolescenza. Rarissimi i mezzi corazzati (rimarrà drammaticamente celebre la foto dell'unica autoblindo che difendeva Gondar durante l'assedio ed era stata ri- ■ cavata dal telaio di un camion); parecchi reparti indigeni sono dotati ancora del fucile 70/87 a un solo colpo; fra le mitragliatrici ci sono anche le Schwarzlose catturate agli austriaci sull'alti-' piano di Asiago durante la grande guerra. I cannoni, infine, sono pezzi da museo: alcuni non hanno una gittata' superiore ai 7 km, altri sono di un tipo dichiarato ufficialmente fuori uso dallo stato maggiore fin dal 1910. Il duca, che interpreta l'ordine di Badoglio nel senso di una «difesa attiva*, cioè non rimanere in attesa dell'attacco nemico (anche lui forse, come Mussolini, è convinto di una vittoria-lampo dei tedeschi in Europa) si muove subito: passato il confine col Kenya, già il 12 giugno si impadronisce di Moyale; in Sudan occupa Kurmuk, Gallabat e Kassala, mentre nella Somalia inglese i britannici sono costretti a ritirarsi. Commenterà in seguito Churchill: «Fu la nostra unica sconfitta ad opera degli italiani». E' questo inquadro delle operazioni italiane nei primi giorni del conflitto: fermi ■sulle Alpi; obbligati alla difensiva in Africa settentrionale e all'attacco in Etiopia (ma qui i successi si rivele*ranno solo apparenti; gli inglesi sono pronti ad applicare la loro abituale tattica dei grandi spazi che consiste nell'abbandonare temporaneamente un vasto territorio minacciato nell'attesa che da un impero policentrico come quello britannico giungano rinforzi o dall'India, o dall'Australia, o dalla Nuova Zelanda, o dall'Inghilterra). Facciamo il mea culpa. Siamo partiti a caso, senza una logica: l'aviazione è andata a bombardare Biserta, Tolone e l'aeroporto di Fayance; la marina ha minato il Canale di Sicilia e uno dei suoi sommergibili, il Bagnolini, ha affondato a Creta l'incrociatore inglese Calypso. Ma non abbiamo occupato Malta. Già la mattina dell'll giugno i nostri bombardieri l'hanno attaccata, prendendo di mira l'aeroporto di Hai Far, il forte di Sant'Elmo, il Porto Grande (tanto che il governatore, sir William Dobbie, che può contare per la difesa dell'isola soltanto su Fede, Speranza e Carità, tre caccia «Gladiators* piuttosto vecchiotti, ha comunicato a Londra la possibilità di uno sbarco italiano) ma l'azione viene poi sospesa. Non abbiamo neutralizzato Alessandria d'Egitto (Porto Said, collo di bottiglia di tutti i traffici commerciali e militari da e per l'Estremo Oriente, è attaccato una sola volta da otto Savoia Marchetti 81 partiti da Rodi) e non riusciamo, neppure a colpire l'altra chiave del «Mare Nostrum*, Gibilterra, perché — privi di task force^— la rocca per noi rimane irraggiungìbile. p passo e di rifornirle fino a 1200 chilometri di distanza da Tobruk. Tuttavia Badoglio, anche' lui certo che la fine della guerra è prossima e resta solo da sedersi al tavolo della pace dalla parte del virutitore (i tedeschi stanno per piombare su Parigi) invita Balbo a invadere l'Egitto e, alla richiesta dì rinforzi consistenti (fra cui 1000 camion e 100 autobotti) replica con una risposta politica: «... Potremmo essere obbligati a scattare quanto prima verso Est, se non vogliamo restare alla conclusione della pace con le mani vuote (...). Negli ambienti dello Stato Maggiore tedesco si parla di vastissimi preparativi per invadere l'Inghilterra e sembra che l'operazione abbia inizio la settimana ventura... ». Poi passa alle promesse: «Avrai a Bengasi i 70 carri medi che sono magnifici (...). Avrai tutta l'aviazione che domandi (...). Metti le ali ai piedi di tutti (...). Le truppe, che hai di fronte non sono' abituate ai caldi del deserto. Ne avrai certamente ragione. Ti ho scritto quanto sopra perché il Duce sta fremendo e penso che non tarderà a dare il via». Come poi Badoglio possa suggerire seriamente di «mettere le ali ai piedi» a sol-dati che hanno dinanzi centinaia di chilometri di deserto, come possa definire «magnifici» i carri medi che sono quegli M/39 di cui si dovrà cessare la produzione per igravi difetti riscontrati e come possa parlare di truppe inglesi «non abituate ai caldi del deserto» se si tratta di indiani, africani e australiani rimane un mistero. E' una delle tante colpevoli leggerezze che distinguono tutta la guerra fascista. Alla .data del 10 giugno 1940 abbiamo, sulle rotte marine di tutto il mondo, 212 navi da •trasporto per oltre un milione e 200 mila tonnellate di stazza complessiva, un terzo della nostra flotta mercantile: sono navi di categoria oceanica, adattissime per i convogli di rifornimento al Fronte della Libia. Ma nessuno ha pensato di farle tempestivamente avvicinare alla madrepatria: rimangono così bloccate fuori del Mediterraneo, prima o poi cadranno in mano nemica. Giuseppe Mayda Soldati italiani dispongono una postazione di artiglieria per l'offensiva verso l'Egitto