Spiega le formiche schiave o padrone

Spiega le formiche schiave o padrone GLI ORIZZONTI DELLA SOCIOBIOLOGIA Spiega le formiche schiave o padrone Vi sono, non una, ma due: sociobiologie, rispettivamente e acutamente denominate socio-biologia e socio-biologia dal demografo di Harvard Na-1 than Keyfitz. Esse sono come due diverse misture, due cocktail* alla moda, ottenibili a! partire da componenti meno; alla moda, quando non francamente vecchiotti. La prima, più socio che biologia, è servita' calda e polemica al grande pubblico in scritti per lo più vergati sotto la cappa dell'I-: deologia. La seconda, più biologia che socio, è servita freddina e accademica ai soli professionisti in articoli zeppi di grafici, equazioni e test di correlazione statistica. Cercheremo qui di versarci un bicchierino del secondo cocktail, quello socio-biologico, perché di gran lunga il migliore e perché di gran lunga meno noto. Del primo cocktail anche il pubblico italiano ha potuto recentemente degustare, non bicchierini, ma gotti interi sulla grande stampa e in libreria (basti citare il monumentale libro di Edward O. Wilson Sociobiologia: la nuova sintesi edito dalla Zanichelli, del quale, purtroppo, viene solo letta la parte, appunto, socio-biologica e non queila socio-biologicd). Prendiamo innanzitutto un campioncino dei singoli componenti. Nella mistura vi è una forte dose di erudizione zoolo gica ed etologica. Essa è parte integrante delle classicissime scienze naturali e descrive con minuzia da certosini il comportamento delle diverse specie viventi, tanto nel loro ambiente naturale che in cattività. Ci rivela, per esempio, che nei formicai e nelle arnie vengono di norma allevate da operaie ste rili tanto le uova fecondate della «regina», destinate a dare altre femmine, che le uova non fecondate, in parte deposte dalla regina, in parte dalle stesse operaie, destinate a dare maschi. La paziente ricerca mostra molte altre cose: per esempio che il rapporto tra le cure de stiriate alle uova femmina < quelle destinate alle uova ma schio è fortemente sbilanciato in favore delle fémmine (in media tre uova femmina per ogni uovo maschio). Inoltre, qualora un formicaio abbia effettuato una delle classiche «scorribande» predatrici, volte: a catturare operaie «schiave»: in formicai di altre specie per asservirle alla cura delle proprie uova, il rapporto diventa invece paritetico. Cioè, il rapporto domestico tra uova femmine e uova maschio è di tre contro uno sia nella razza padrona sia nella razza schiava prima del raid. Dopo la cattura il rapporto diventa uno a uno. La spiegazione, in base a calcoli genetici, di comportamenti! di questo tipo costituisce uno< dei principali e legittimi vanti della socio-biologia. Ma non mettiamo il carro avanti ai buoi e vediamo qualche altro curioso esempio rivelatoci dal-1 l'erudizione zoologica. La quaglia, in presenza di un predatore, invece di svignarsela il più velocemente possibile, si attarda a emettere un caratteristico grido di allarme, facilitando la fuga dei suoi conspecifici, ma anche facilitando grandemente il compito del predatore. Un altro esempio di comportamento «altruista»: una specie di gazzella africana, quando si vede minacciata da un predatore, solleva la piatta e carnosa coda, scoprendo delle terga di smagliante candore, e effettua un saltello quasi sur place, dando così al branco il segnale di fuga in massa. I leoni del parco nazionale' di Serengeti, a lungo studiati da Brian Bertram, mostrano comportamenti assai diversi quando sono in piccoli gruppi monogamici e quando sono in grandi gruppi promiscui. Le leonesse accettano di allattare anche i rampolli delle loro sorelle e zie solo nei gruppi chiusi (geneticamente chiusi), ma non nel gruppo misto. Anche qui la genetica ha la sua da dirci. ■ Nelle orde, rigidamente gerarchiche e dominate da un maschio «alfa», di lemuri o di babuini, quando il maschio dominante muore, o viene cacciato, o viene «detronizzato», av.viene un efferato e sistematico infanticidio. Il nuovo maschio alfa e tutti gli altri maschi uccidono i piccoli non ancora svezzati, lottando ferocemente contro le madri e anche contro le femmine vecchie e oramai ste rili, le quali tentano eroica mente di difendere i piccoli, di nsvebG nasconderli e di inserirli di soppiatto in una nuova «covata». Su questo tappeto foltissimo e intricato di comportamenti, animali si cominciano ora a tracciare delle complesse, ma ben nette, linee matematiche, grazie alle altre due componenti della nostra mistura: l'ecologia teorica e la genetica di popolazioni. Nelle stanze dei biologi sono entrati i grandi calcolatori elettronici e oggi si arriva a predire quando un comportamento tenderà a stabilizzarsi, quando a scomparire, quali effetti a lungo termine esso avrà sulla struttura riproduttiva della specie e sulla «qualità della vita» nel suo habitat naturale. E' possibile calcolare le probabi-. lità di fissazione genetica di nuovi comportamenti e correlare tra loro variabili demografiche (migrazioni tra i gruppi, cambiamenti di livelli di fertilità, variazioni di morbilità e di mortalità) e variabili genetiche. Infine, dal 1964, grazie al genetista inglese William D. Hamilton, si è aggiunto a questo miscuglio di dati e di teorie un'ulteriore, essenziale componente: la cosiddetta teoria della fitness generalizzata (inclusive fitness). Un altro genetista inglese, J. B. S. Haldane, disse una volta: «Dal punto di vista Genetico ed evoluzionista, dobiamo essere pronti a dare la vita per due fratelli oppure per otto cugini primi». L'idea fondamentale di cosa sia la fitness. generalizzata è tutta in questa frase. Infatti coloro che possiedono per discendenza comune gli stessi geni sono ugualmente atti a tramandarli alle generazioni successive. Tra fratelli si condividono la metà dei geni, tra cugini primi un ottavo. Tolgo uno, cioè mi sacrifico, ma aggiungo uno (due fratelli o otto cugini, i quali beneficiano del mio sacrificio). Il conto torna lo stesso. A distanza di venticinque anni, Hamilton ha reso matematicamente rigorosa l'intuizione di Haldane. La fitness complessiva (complessivo si oppone qui a individuale) è appunto la somma complessiva dei «benefici ge netici» ricevuti dai consanguinei per un atto «altruista» del donatore. Aggiungete a questo un po' di cucina statistica e avrete la variabile fondamentale della genetica «hamiltoniana». La forza della teoria viene conferita dalla seguente ipotesi: tutto avviene, nel regno animale, come se ogni individuo,' in ogni specie, da ogni tempo,, facesse sempre e comunque tutto e solo ciò che serve a rendere massima la sua fitness globale. Ecco spiegati i comportamenti delle formiche operaie (tre uova femmine contro ogni' uovo maschio perché questo è il rapporto dei geni in comune), il comportamento delle schiave (uno a uno perché tanto non vi è, comunque, compartecipazione genetica con i «padroni»), quello delle quaglie e delle gazzelle (hanno imparato la lezione di Haldane), delle leonesse (nel gruppo promiscuo decresce rapidamente, la parentela media), dei lemuri e dei babuini dominanti e delle femmine (le seconde proteggo-, no i figli, con i quali hanno la metà dei geni in comune, i primi li uccidono in quanto sono tutti figli del maschio alfa detronizzato e non hanno con loro alcun gene in comune'). La legge di Hamilton stende una rete che acchiappa pesci comportamentali in quantità. Non vi è mese nel quale essa non trovi nuove e interessanti applicazioni. Che dire dell'uomo? Vale anche per noi la massimizzazione della fitness globale? E' tutto da dimostrare. Sull'uomo la genetica hamiltoniana (a differenza della sociobiologia, assai chiacchierona') ci può dire poco o nulla. Non perché si sia «esclusi» dalla biologia, né perché si sia a essa «superiori». Se la legge di Hamilton vale dalle formiche agli scimpanzènon vi sono motivi che essa si arresti proprio alle soglie dell'uomo. Per raccordare Hamilton con la scienza dell'uomo mancano, perciò, ancora due giunti fondamentali: una storia demografica dei millenni che precedono i registri scritti e un'idea, magari approssimativa, di come la legge passi, per così dire, attraverso il cervello. Tra la società e la genetica di Hamilton vi sono, non uno, ma due mari. Vano sarebbe cercare di raccoglierli in bicchierini e in gotti. Conviene aspettare che si formi qualche placido e sicuro stagno. IVI. Piattelli Palmarini

Persone citate: Brian Bertram, Edward O. Wilson, Piattelli Palmarini, William D. Hamilton, Zanichelli