La spina curda dell'ayatollah di Ferdinando Vegas

La spina curda dell'ayatollah OSSERVATORIO La spina curda dell'ayatollah E' probabile che la lotta armata dei curdi contro la oppressione di Teheran si riaccenda in pieno a breve scadenza: scrive infatti un inviato del New York Times, dopo un'ampia indagine sul posto, che «i ribelli curdi si stanno organizzando per un'altra tornata di combattimenti». Battuti duramente alla fine di aprile, dopo un mese di aspre battaglie intorno e dentro la città di Sanandaj, ridotta infine ad un cumulo di rovine, i guerrieri curdi si sono ritirati sulle montagne, a riprendere fiato; ma sono già decisi a ricominciare la lotta, anzi a portarla fino in fondo, come ha detto al giornalista americano Abolraman Qassemlu. il capo del partito democratico curdo: «Questa volta non ci fermeremo così facilmente». La tenacia dei curdi ha, fra molte altre, anche una ragione contingente: che in. questo momento si presenta ad essi una occasione favorevole, derivante dallo Stato di incertezza che regna a Teheran. Proprio riguardo alla questione curda si è rivelata ancora una volta la mancanza di un centro effettivo di autorità nel regime rivoluzionario dell'Iran. Lo stesso presidente Bani Sadr si è dichiarato favorevole alle proposte di autonomia, che sono state negoziate per mesi tra dirigenti nazionalisti curdi ed emissari del governo di Teheran, col risultato di attirarsi i rimproveri dei capi religiosi. K.homeini ha addirittura chiamato ('infedeli» i curdi, i quali invece sono pur essi musulmani, però sunniti. Altri ayatollah hanno detto che non vi sarà tregua finché la regione occidentale (il Kurdistan iraniano, nel linguaggio di Teheran) non sia stata ripulita e purgata. Per raggiungere questo scopo Teheran ha scelto dunque la via della repressione, impiegando l'esercito, oltre che la milizia armata della rivoluzione, i Pasdaran. Questi contribuiscono soprattutto con il loro fanatismo, ma il peso maggiore grava sull'esercito: donde le frazioni fra le due componenti militari, con segni evidenti di irrequietezza tra le file dell'esercito, casi di diserzione e persino di rifiuto a combattere contro i curdi. Si profila addirittura l'eventualità che un esercito già demoralizzato si sfasci O' si rivolti apertamente. Ed è precisamente questa l'occasione che i curdi vorrebbero non lasciarsi sfuggire. Ma il successo della causa curda non dipende soltanto dagli sviluppi sul piano militare. Occorre anzitutto che il «popolo sacrificato dalla storia» trovi compattezza, da una parte superando le divisioni tribali, dall'altra parte subordinando il tradizionale amore individualistico della libertà alle esigenze organizzative dello Stato, se i curdi vogliono realizzare un loro proprio Stato. Ma qui sorge un'altra grande difficoltà: la nazione curda vive divisa fra cinque Stati: la Siria e l'Unione Sovietica (piccole minoranze), la Turchia, l'Iran e l'Iraq (rispettivamente. 8 milioni, 5 milioni e 2,5 milioni). Un Kurdistan unitario, però, non viene rivendicato dai nazionalisti curdi, impegnati essenzialmente ad ottenere l'autonomia negli Stati dove si trovano, come nell'Iran e nell'Iraq. Senza contare, infine, che la prospettiva del Kurdistan appare improponibile sul piano internazionale perché comporterebbe uno sconquasso nel Medio Oriente. Ferdinando Vegas Guerriglieri curdi: «Questa volta non ci fermeremo»

Persone citate: Bani Sadr