Così entrammo in guerra di Giuseppe Mayda

Così entrammo in guerra 1940: COMINCIA PER L'ITALIA UNA TRAGICA AVVENTURA Così entrammo in guerra L'annuncio di Mussolini il 10 giugno, anniversario di due delitti fascisti: Matteotti e i fratelli Rosselli Coppi ha vinto il 28" Giro, si svolgono a Roma nozze regali - L'esercito è impreparato: la Marina non ha una portaerei, l'aviazione non conosce gli aerosiluranti - Ma al duce «occorrono solo un po' di morti» II 10 giugno di quarantanni fa cade di lunedì, festa dì S. Margherita vedova, e in quel giorno, alle 18,15, Mussolini — dal balcone di Palazzo Venezia — legge da sette foglietti scritti a penna il discorso con cui annuncia la nostra entrata in guerra a fianco della Germania nazista e getta il Paese in una lunga e tragica avventura: dovranno passare quattro anni, dieci mesi e ventitré giorni prima die, per l'Italia, torni definitivamente la pace. Ma quel 10 giugno 1940 potrebbe essere un giorno come un altro, ancìie se ricorre l'anniversario di due delitti fascisti: l'uccisione di Matteotti (1924) e dei fratelli Rosselli (1937). I quotidiani sportivi del lunedi dedicarla la prima pagina alla conclusione del 28' Giro ciclistico d'Italia, vinto il giorno prima all'Arena da un giovane quasi sconosciuto, Fausto Coppi, che fra qualche settimana partirà soldato: Gino Bartali lia dovuto accontentarsi del secondo posto in classifica e del Gran premio della montagna. E'una giornata estiva, tersa (con caldo afoso a Milano dove il termometro segna 31") e in questa mattina il bel inondo della capitale è accorso al ricevimento di nozze dell'Infanta Maria Cristina di Spagna, figlia dell'ex re Alfonso XIII, die sposa il conte Enrico Marone Cimano. In divisa azzurra di maggiore dell'aeronautica, Ciano pranza all'una al ristorante dell'albergo Ambasciatori di via Veneto: ha appena telegrafato in codice a Bastianini, a Londra, e a Guariglia, a Parigi, che l'annuncio della guerra — esclusivamente per le vie diplomatiche — «sarà alle 16,30 o qualche minuto più tardi». Quando verso le 15 torna al ministero degli Esteri — mentre gli altoparlanti agli angoli delle piazze ripetono: «Stasera, alle ore 18, dal balcone di Palazzo Venezia, Benito Mussolini parlerà al popolo italiano» — Pavolini tiene già rapporto ai direttori dei principali giornali: raccomanda che, nel dare notizia della guerra, «non si svaluti l'avversario» e di - «nòti abbandonarsi adeccessivi ottimismi in partenza». Rivela poi che l'indomani si potrà pubblicare il documento con cui il re delega a Mussolini il comando unico e supremo: «...questa notizia, dice Pavolini, va commentata secondo una linea di cui vi passo un tracciato. Vi prego solo di non trascriverlo proprio letteralmente sennò ha un aspetto corale». Sono le 16 quando a Romala folla comincia a radunarsi in piazza Venezia; si tratta, soprattutto, di studenti, balilla e avanguardisti. «Oggi verso le 17, andando al Palazzo dei Marescialli scrive Caviglia nel suo diario, ho incontrato numerosi gruppi di ragazzi, e di: giovinette che cancrenavano verso via Nazionale, diretti a piazza Venezia. Da vari giorni si parla di un discorso di Mussolini. Si vede che il momento è venuto. Certo, ho pensato, parlerà di guerra, e vi entreremo». Tutta l'Italia ormai sa che «quel giorno» è arrivato. Lo dicono la tenuta dei fascisti die vanno al lavoro in camicia nera, i volantini che nelle città e nei paesi avvertono di un discorso del Duce di «importanza storica», i giornali die invitano la gente a scendere nelle piazze (l'ultima «velina» del tempo di pace, trasmessa ai quotidiani dal ministero della Cultura Popolare, è delle 7.11 del 10 giugno: «Tenetevi pronti per una edizione straordinaria avverte, ma che non esca dalle tipografie prima delle 17. Essa può recare a grandi caratteri il seguente titolo: "Alle ore 18 il Duce parlerà dal balcone di Palazzo Venezia"»/ Alle 16,30 Ciano convoca gli ambasciatori dì Francia e d'Inghilterra. «Per primo ho ricevuto Poncet annoterà nel diario, che cercava di non tradire la sua emozione. Gli ho detto: "Probabilmente avete già compreso le ragioni della mia chiamata". Ha risposto: "Benché io sia poco intelligente questa volta ho capito". Ma ha sorriso per un istante solo. Dopo aver ascoltato la dichiarazione di guerra ha replicato: "E' un colpo di pugnale à un uomo a terra. Vi ringrazio comunque di usare un guanto di velluto". Ha continuato dicendo che lui aveva previsto tutto ciò da due anni e non aveva più sperato di evitarlo dopo la firma del Patto d'Acciaio». Parla Ciano Continua Ciano nel suo diario: «Non si rassegnava a considerarmi un nemico né poteva considerare tale nessun italiano. Comunque, poiché per l'avvenire bisognava ritrovare una formula di vita europea, augurava che tra l'Italia e la Francia non venisse scavato un solco incolmabile. "I tedeschi sono padroni duri. Ve ne accorgerete anche voi". Non ho mai risposto. Non mi sembrava il momento di polemizzare. "Non vi fate ammazzare" ha concluso accennando alla mia uniforme di aviatore, e mi ha stretto la mano. Più laconico e imperturbabile sir Percy Loraine. Ha accolto la comunicazione senza battere ciglio né impallidire. Si è limitato a scrivere la formula esatta da me usata ed ha chiesto se doveva considerarla un preavviso o la vera e propria dichiarazione di guerra. Saputo che era tale si è ritirato con dignità e cortesia. Sulla porta, ci siamo scambiati una lunga e cordiale stretta di mano». Ciano si precipita poi alla sua auto, che lo attende a motore acceso, per essere a fianco di Mussolini al momento del discorso. Il balcone di Palazzo Venezia si spalanca alle 18,15 e appare il Duce. Indossa l'uniforme di caporale d'onore delia Milizia, sahariana riera, calzoni alla cavallerizza, stivaloni e berretto con l'aquila; dietro di lui Pavolini e Bottai Tocca a Pietro Capoferri, sostituto di Muti alla segreteria de! partito, ordinare il «saluto al Duce». Altri gerarchi, come Federzoni e Grandi, sono in piazza mescolati a una folla densa, si, ma dall'entusiasmo moderato (lo stesso Ciano confesserà di li a poco: «Sono triste, molto triste. L'avventura comincia. Che Dio assista l'Italia»/ sulla quale dondolano cartelli con slogan come «Duce, grazie!», «Vogliamo Tunisi. Gibuti, Suez». «Mare nostrum». Mutando lievemente qui e là il testo originale, Mussolini pronuncia un discorso di circa 700 parole: «...Un'ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria: l'ora delle decisioni irrevocabili. La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e'di Francia...». La gente applaude fragorosamente ma alla chiusa («Vincere. E vinceremo»,) comincia subito ad abbandonare la piazza (è «un rapido sfollamento» dice un rapporto riservato della polizia) oscuramente presaga che è cominciata un'epoca di lutti e di rovine e che, comunque, la vita di ciascuno ne sarà sconvolta. Soltanto alcuni gruppi dì studenti e due cortei di fascisti si dirigono al Quirinale per tributare una manifestazione a Vittorio Emanuele III. Il re. alla finestra del secondo piano, saluta militarmente (è già in gambaloni e cappotto, pronto a partire per la zona di operazioni: il suo quartier generale sarà Villa Thaon di Revel a Carmagnola, vicino Torino); gli rispondono le bande che suonano la Marciscale e Giovinezza e la folla che canta /Inno a Roma. Compare alla finestra anche la regina: si inchina, è sorridente; il re sembra solo incuriosito. Pur avendo potuto scegliere data e luogo dello scontro, entriamo nel conflitto impreparati e in condizioni precarie. L'esercito conta 74 divisioni di cui solo 19 complete di uomini e di armi (e. rivelando queste cifre nel dopoguerra, il generale Favagrossa dirà di averne messo subito al corrente Mussolini): 34 efficienti ma incomplete e 21 poco efficienti. Le gerarchie militari hanno preparazione arretrata, formalistica, sostanzialmente avversa alle novità. • Anche se gli ufficiali intelligenti non mancano, ci sono generali come Bastico che sostengono: «Niente storie. La fanteria deve tornare all'antico, baionette e bombe a mano» o come Soddu che dura li¬ te le battaglie scrive musica perfilmocome Visconti Prasca die con serietà dichiara: «Ho dato ordine che ogni colonna, anche se con un solo uomo, deve sempre attaccare» o come Graziani che. al primo attacco subito, chiede di poter arretrare di duemila chilometri o come Carboni che, nelsettembre '43, pretenderà di difendere Roma dalla camera di un'attrice a Tivoli. In marcia / mezzi, in genere, sono antiquati e scarsi (23.000 autoveicoli 8700 auto speciali. 4400 vetture, 12.500 motociclette); occorrono 26.000 pezzi di artiglieria ma l'industria neproduce 700 all'anno assieme a sei milioni (anziché 71) di proiettili. Mancando i camion si addestrano i soldati a marce di 40 km al giorno per coprire, in cinque giorni, distanze fra ìl50eì 160 km. Anclie l'armamento lascia a desiderare. Le 67 divisioni di fanteria hanno in dotazione il vecchio fucile 91. troppo ingombrante, il mortaio Brixia da 45 di scarsa efficacia e cannoni di tipo superaio. Solo le mitragliatrici pesanti sono ottime. Dei mezzi corazzati il più noto è il carro armato L-3, da tre tonnellate, con mitragliatore e sottilissi¬ me corazze: lo chiameranno «scatola di sardine». Soltanto più avanti gli M-ll avranno un cannone da 37. La Marina ha 576 unità per una stazza complessiva di 620 mila tonnellate, ma non dispone d'una portaerei. L'ammiraglio Cavagnari si fa forte delle parole di Mussolini ^«Rinunciamo a costruirne perché tutta l'Italia è una portaerei») ma questa scelta è sbagliata. Già dai primissimi giorni dì guerra la mancanza di una task force, cioè di un raggruppamento di battaglia autosufficiente, capace di risolvere da solo operazioni navali a largo raggio, si rivelerà disastrosa (Capo Matapan e Gaudo, ad esempio: 3000 marinai italiani morti senza aver neppure visto in faccia il nemico). L'aviazione dovrebbe andar meglio. Fra le tre armi è quella preferitadal fascismo: nel 46' stormo ci sono i ministri Ciano e Pavolini; aviatori sono Vittorio e Bruno Mussolini ed Ettore Muti; V«uomo più veloce del mondo» è Agello. che ha toccato col suo aereo i 730 km l'ora; De Bernardi Ila vinto la prestigiosa Coppa Schneider e Balbo ha compiuto le trasvolate atlantidie. La Regia Aeronautica possiede 1796 aerei bellici di cui 783 bombardieri d'alta quota, 594 caccia e assaltatori, 419 ricognitori. Ma, senza portaerei, non ha sufficiente autonomia per gli obiettivi importanti, tutti a largo raggio (Gibilterra. Alessandria d'Egitto), né, peraltro, avrebbe gli strumenti " necessari perclté alle bombe da una tonnellata si sono preferite le piccole e le medie. S'è fatto poco anche sul piano tecnologico. Il caccia • italiano più veloce, il Macchi 200, raggiunge i 490 km l'ora ma lo Spitfire supera i 575. Troppo tardi scopriremo il vantaggio degU aerosiluranti, lo scopriremo col disastro della «notte di Taranto» del novembre '40. Tutta la produzione del silurificio di Fiume finisce in Germania: la nostra aeronautica non compra siluri perché si pagano 150 mila lire l'uno mentre una bomba da 500 chili costa soltanto 4000 lire. Uno per tutti, il generale Aimone Cai definisce quello delle squadriglie aerosiluranti «un nuovo lusso». E' tardi per le recriminatzioni. Da Badoglio e da Favagrossa Mussolini conosce alla perfezione tutti i difetti e le manclievolezze delle nostre forze armate. Ma lo spinge — in questa affiancato dal re — la speranza dì fare il colpo grosso negli ultimi giorni della battaglia tedesca in Francia, die ritiene conclusiva di tutta la guerra. «Se dovessi aspettare di avere l'esercito pronto, spiega al generale Rossi, dovrei entrare in guerra fra alcuni anni mentre devo entrare subito. Faremo quello che potremo». E a Badoglio dice: «La guerra sarà breve. A me occorrono soltanto un po' di morti per sedermi al tavolo della pace dalla parte del vincitore». Giuseppe Mayda Giugno 1940. Partenza verso il fronte occidentale per la breve guerra contro la Francia