Il tallone di Obote di Alfredo Venturi

Il tallone di Obote OSSERVATORIO Il tallone di Obote Se Idi Amin Dada è famoso nel mondo, non deve certo questa fama alle qualità politiche. Eppure l'ex sergente dei fucilieri di Sua Maestà, l'ex feldmaresciallo ed ex presidente a vita dell'infelice Repubblica di Uganda, ha centrato con sicurezza il punto debole di Milton Obote. Lo ha fatto in un'intervista dal luogo segreto in cui vive il suo esilio, e che qualcuno indica nell'Arabia Saudita. Dice dunque Amin che «Nyerere tenta di collocare Obote al vertice dell'Uganda». Altre cose dice l'ex dittatore: ma qui siamo nell'ambito del sogno a occhi aperti, come quando preannuncia un imminente ritorno a Rampala, o quando poggia questa previsione sulla grande popolarità di cui ancora godrebbe, proprio lui, nel Paese che in otto anni ha ridotto allo stremo. Non è certo da questo pericolo che deve guardarsi Milton Obote, il presidente che nel febbraio del '71 fu spodestato appunto da Amin, allora capo di Stato Maggiore, e che lo scorso 27 maggio è rientrato in patria con il visibile intento di riprendere il potere. Vuol farlo per via rigorosamente democratica: a dicembre dovrebbero svolgersi le elezioni presidenziali, una supervisione del Commonwealth dovrebbe garantire la regolarità di questa transizione dal governo militare al governo costituzionale, e lui, Obote, si prepara a farsi candidare dal suo partito, che è 1*Uganda People's Congress. Il solo potenziale antagonista, che era il presidente Godfrey Binaisa, lo hanno tolto di mezzo i militari con la sollevazione incruenta dello scorso 10 maggio. Obote dice che lui con la storia del 10 maggio non c'entra proprio niente, ma resta il fatto che gli ufficiali della Commissione militare, che da allora regge il Paese, sono notoriamente suoi partigiani. Ma sarebbe fare un torto alle sottigliezze dei giochi politici africani il credere che ciò significhi senz'altro, per Obote, il semaforo verde verso la presidenza. Lui, l'uomo della restaurazione costituzionale, ha contrassegnato il suo rientro nell'arena politica ugandese con l'abilità che gli è riconosciuta. Nel discorso di Bushenyi, la città che lo ha visto baciare la terra d'Uganda dopo nove anni e mezzo di esilio, ha lanciato rassicuranti messaggi. Al confinante Renya filoccidentale, e al mondo, quando ha detto che gli investimenti stranieri saranno benvenuti; all'inquieta etnia dei Baganda, quando ha parlato di conciliazione nazionale, slogan che in Africa può comodamente tradursi con superamento delle rivalità tribali. I Baganda sono stati i più irriducibili avversari di Obote. La cosa merita una breve spiegazione. Quando l'Uganda nel '64 approdò all'indipendenza, presentò al mondo la novità costituzionale di una federazione di cinque regni tribali, con un presidente della Repubblica che era il più influente dei cinque sovrani, appunto il kabaka del Buganda. Obote, moderno, socialisteggiante, nazionalista Unitario, spazzò via tutto questo, e i Baganda se la sono legata al dito. Un risentimento sopravvissuto, a quanto pare, alla sanguinosa «parentesi Amin». Forse Obote saprà superarlo: ma deve anche superare, lui che è sbarcato in Uganda da un aereo militare tanzaniano, l'impressione di essere «l'uomo di Nyerere», e di dovere la resurrezione politica alla minipotenza regionale di Dar es-Salaam, che presidia il dopo-Amin con diecimila soldati. Alfredo Venturi Milton Obote: una «resurrezione» dovuta solo a Nyerere?

Luoghi citati: Africa, Arabia Saudita