Le ville luminose di Palladio di Angelo Dragone

Le ville luminose di Palladio PER IL CENTENARIO APERTE TRE MOSTRE TRA VICENZA E BASSANO Le ville luminose di Palladio VICENZA — Ricorrerà il 18 agosto il quarto centenario della morte di Andrea Palladio (Padova 1508 - Vicenza 1580) e Vicenza e Bassano hanno dato avviò con tre mostre alla quindicina di manifestazioni espositive in programma, affiancate da concerti, spettacoli e da un convegno internazionale annunciato per fine agosto e settembre a Vicenza e Venezia. Delle due rassegne vicentine quella dei Disegni del Palladio curata da Gino Barioli e Andreina Ball ari n nel palladiano Palazzo Chiericati, presenta un gruppo di autografi; dell'architetto conservati nel Museo civico; l'altra, intitolata Andrea Palladio: la sua eredità nel mondo, è stata-or-' dinata nella Basilica da Renato Cevese col contributo' d'una trentina di specialisti di varie nazioni e più particolarmente riflette la convinzione che la figura del semplice scalpellino padovano, divenuto uno dei maggiori protagonisti della cultura architettonica del suo tempo, non potesse essere ricordata meglio che da una rassegna capace di illustrare la straordinaria «tenuta» e la larga diffusione ' avuta dai suoi « modi ». A Bassano del Grappa (che del Palladio conserva il ponte sul Brenta, più noto come il «ponte degli Alpini ») si è aperta invece la mostra Immagini architettoniche nella maiolica italiana del Cinquecento dovuta ad un gruppo di esperti guidati da Carla Bernardi e Fernando Rigori. L'esposizione ha riunito in Palazzo Sturili (sino al 5 ottobre) un'ottantina di pezzi di grande pregio ottenuti in prestito da musei italiani, francesi, inglesi, e da privati: un insieme che dà una colorita testimonianza della svolta segnata nel decoro della maiolica dall'introduzione di motivi architettonici. Questi erano tratti dalle immagini rinascimentali dell'Alberti e del Brunelleseni, del Bramante e del Bramantino, di volta in volta mediate dai testi del Filarete del Serlio del Palladio stesso, o dalle incisioni del Raimondi e d'altri che la mostra propone spesso accanto agli oggetti che vi si riferiscono. Lo stesso, in fondo, avevano già fatto in pittura Raffaello, il Parmigianino e i Ferraresi. Nelle lóro nuove figurazioni compaiono scorci di città medioevali, con castelli, mura e ruderi, che costituiscono quindi sfondi di particolare suggestione tridimensionale per le «azioni di storia» che ne( costituivano le figurazioni,' tratte dalla Bibbia o dalle gesta degli antichi romani, accanto alle composizioni mitologiche e a vere e proprie invenzioni scenografiche. Annunciatosi a Urbino e a Pesaro l'influsso coinvolse in seguito le fabbriche di Rimini, Faenza e Forlì, quelle di Verona e di Venezia, per offrirne poi i modelli anche ai maiolicali di Nevers e agli olandesi di Delf t e di Harlem. I fogli del Palladio esposti a Vicenza (sino al 9 novembre) sono trentatré, in buona parte disegnati anche sul verso, con un totale di cinquantadue. pagine a soggetti diversi che fanno dunque salire ad una sessantina i «momenti grafici» databili entro l'arco d'un quarantennio. Vi si accompagnarono o s'aggiunsero in quel periodo le annotazioni autografe del Palladio: con una scrittura anche più spontanea di quella che compare in lettere o altri documenti e che lascia quindi intendere il carattere tutto personale dei pensieri e degli appunti grafici proprio di quei disegni. Tra questi vi è anche lo schizzo pur incompleto d'un capitello con marcate ombreggiature, forti segni ricurvi e tratti incrociati che riesce a far senti¬ ( ' , e i a ) , e. e a n n i n e e l i a o , ¬ re lrv paziente concretezza cui i fin dal suo primo mestiere, il Palladio aveva abituato la sua mano nel «cavare» dalla pietra forme delicate e precise. La stessa esigenza presenta-1 va la tecnica incisoria cui in seguito avrebbe affidato le immagini dei suoi «Quattro libri dell'Architettura» pubblicati a Venezia nel 1570, mentr'era «proto» della Serenissima. Nel segno più libero e discorsivo di queste pagine può vedersi in ogni caso la bella sonorità di chiaroscuri che caratterizzò l'armonioso impianto dell'architettura palladiana. I disegni.vicentini non costituiscono né dei modelli né dei progetti ma sono piuttosto il dettato d'una ricerca di forme e soluzioni proprie di certi momenti meditativi, sicché giustamente sono stati definiti «un passaggio obbligato per capire Palladio e la fama che con le sue mani egli s'è costruito», e in particolare la suggestione esercitata sugli architetti che nel mondo intero hanno dato vita al fenomeno del «palladianesimo». A" darne un quadro di straordinaria evidenza è naturalmente la mostra allestita nella Basilica, con grandi fotografie un centinaio di disegni originali, stampe, libri e altri documenti. Ogni Paese si può dire vi abbia contribui¬ to ih ragione di quanto aveva saputo trarre dall'opera deli Palladio; soprattutto dal famoso suo trattato nel quale il maestro vicentino aveva inteso fissare non tanto i modelli d'una serie di edifici, quanto uh repertorio di singole forme' architettoniche di tipologie, delle quali egli stesso aveva continuato a servirsi nelle nuove «composizioni», in virtù di quella loro estrema flessibilità urbanistica. Le stesse «ville», che ne costituiscono i centri focali, erano nate non a caso, quando i «siori» vicentini e veneziani avevano cercato compenso al declino dei loro potere sui mari in nuove attività di terraferma in campo agricolo. A quell'architettura avevano preso a guardare, sentendosene subito presi, gli architetti di spirito neo-classico, che per oltre due secoli continuarono a diffondere il verbo palladiano di qua come di là dell'Atlantico, facendone rivivere l'eredità. Fin dalla prima metà del Seicento s'ebbe una prima fase palladiana in Inghilterra con Inigo Jones (1573-1652) che del Palladio fu studioso appassionato in Italia, per portarne in patria gran copia di disegni e un'esperienza di cui ha animato le sue più significative interpretazioni. Più tardi fu lo scozzese Campbell a rilanciare il culto di Palladio e di Jones col suo «Vitruvius Britarmicus» (1715), in cui cento stupende incisioni illustravano i più begli edifici moderni britannici, non senza contagiare del suo entusiasmo lord Burlington che facendosi egli stesso architetto, nel 1720 costruì a Chiswick la propria villa reinterpretando la celebre Rotonda vicentina. Ma dal classicismo olandese, inaugurato fin dal 1633 all'Aia col famoso «Mauritshuis» del van Campen. agli sviluppi francesi che oltre un secolo dopo avrebbero superato il rococò coi «Petit Trianon» di Versailles il pallaùianesimo non tardò a mostrare la varietà di connotazioni che lo avrebbero caratterizzato mentre nella sua diffusione avrebbe presto raggiunto la Polonia e la Russia. In America doveva trovare infine il proprio esponente in Thomas Jefferson terzo presidente statunitense che concepì tra l'altro i padiglioni dell'Università di Virginia (1824) come concreti esempi di canoni palladiani. Angelo Dragone Ceramica di Faenza: martirio di S. Sebastiano