Costa d'Avorio: le occasioni perdute di Alfredo Venturi

Costa d'Avorio: le occasioni perdute VENT'ANNI FA 17 PAESI DELL'AFRICA ACQUISTAVANO L'INDIPENDENZA Costa d'Avorio: le occasioni perdute La capitale, Abidjan, è oggi una metropoli - Il presidente Houphouét-Boigny, un moderato, ha vinto la «scommessa del benessere» con il vicino Nkrumah - Ma il prezzo è alto - Non solo gli oppositori ma anche il Papa ha ammonito a guardare con cautela il «progresso» - «Avanzati, ma verso che?» - In realtà l'indipendenza è apparente, i contrasti sociali gravi DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE ' ABIDJAN — «La sola differenza fra questa capitale e una città francese consiste nel fatto che lei non troverà, in Francia, una strada intitolata a Giscard d'Estaing... Naturalmente non è questa la sola differenza, ma il senso della battuta, offerta da un residente francese privo di 'complessi, sopravvive all'esplorazione dei sobborghi «africani», dei brulicanti quartieri di Adjamé, di Treichville. Il simbolo visivo di Abidjan, il suo marchio di fabbrica, l'essenza della sua immagine, è infatti la selva di grattacieli del Plateau, il cuore europeo della capitale. Dire europeo, com'è ovvio, è tutt'altra cosa che dire afrì,cano: ciò che spiega gli accenti allarmati di Giovanni Paolo II, durante la sua visita qui, a proposito dell'estraniazione culturale della Costa d'Avorio. Del resto, siamo o non siamo nel regno del business, nella repubblica del miracolo? Ci sono o non ci sono da queste parti più di cento miliardari in franchi CFA, ciò che vuole dire quattro volte miliardari in lire? C'è o non c'è una florida comunità francese, cinquantamila residenti, ben più che all'epoca coloniale? E non c'è forse, a spartirsi le briciole del miracolo, una comunità libanese ancora più folta? Sono centomila, prosperano nel commercio e nella finanza, mettono a frutto la competenza accumulata, ai bei tempi prima della crisi, nella Svizzera levantina di Beirut Del resto francesi e libanesi non sono le sole comunità immigrate: la Costa d'Avorio è uno dei rarissimi Paesi africani die importano raa?iodo-. pera. Sono operai agricoli che vengono dal Mali, dalla Guinea, dall'Alto Volta. Lavorano nelle piantagioni di caffè, di cacao. Insieme costituiscono un terzo degli otto milioni di abitanti censiti nella re-pubblica di Houphouét-Boigny. Proprio come i franco-libanesi, sono venuti qui attratti dal miracolo economico: quelli inseguivano la rìcchezza. questi si accontentano della sopravvivenza. Il petrolio Anche la Costa d'Avorio è fra i Paesi africani che quest'anno celebrano ì primi vent'anni d'indipendenza. «Indipendenza?», chiede uno studente di qui, e nella sua domanda retorica e ironica è riassunto un annoso dibattito africano. La scelta di Houphouèt-Boigny, l'uomo approdato alla presidenza dopo un lungo tirocinio parlamentare e governativo a Parigi, dove fu ministro della Sanità, è stata netta e senza ripensamenti. Stretta associazione con la Francia, larga apertura ai capitali nel segno del liberismo più classico. Allora, nel fatidico '60, HouphouètBoigny aveva difeso la sua scelta di fronte a un interlocutore che incarnava le ansie dell'«altra Africa», il ghanese Kwame Nkrumah. A Nkrumali, neutralista, socialista, insieme nazionalista e panafricanista, l'ivoriano aveva lanciato la sfida: «Ne riparleremo fra vent'anni». Ora i vent'anni sono passati, ma Nkrumah non è qui a verificare la scommessa. E' morto in esilio, dopo die la sua generosa visione di una equilibrata transizione alla indipendenza reale era stata distrutta dai militari in rivolta. Possiamo giudicare noi, e il bilancio tecnico dà ragione a Boigny: spettacoloso sviluppo dell'economia nella Costa d'Avorio, tassi ben più modesti nel Ghana; stabilità politica ad Abidjan, e nemmeno ottenuta attraverso la coercizione, continui rivolgimenti ad Accra; servizi sociali incomparabilmente migliori da queste parti, dove ad esempio la scolarizzazione raggiunge il 77 per cento, dato davvero straordinario in Africa. Tuttavia ci sono molte ombre, e da sempre ci si chiede se il miracolo ivoriano non sia per caso un miraggio. Intanto, la questione chiave dell'indipendenza. Siamo in un Paese sovrano o in un dipartimento francese? Poi la personalizzazione del regime. Houphouèt-Boigny ha settantacinque anni: Che accadrà dopo? In un Paese in cui, come scrive fEconomist, «la politica è quasi una parolaccia», nell'euforia del boom si è finito con il trascurare il nodo della successione. C'è anche un problema di alienazione culturale, come si è visto, che certo è cosa per palati fini, ma che la denuncia di Wojtyla ha consacrato come tema non più trascurabile. Il Papa ha invocato, proprio sotto i grattacieli di Abidjan, i valori dell'Africa contadina, ha tuonato contro le insidie del dio-denaro, ha messo in guardia contro l'imitazione passiva dei Paesi cosiddetti avanzati. «Avanzati verso che?», ha chiesto: e la sua domanda era altrettanto retorica e ironica di quella dello studente ivoriano a proposito dell'indipendenza. Ci sono ombre, del resto, anche nella lettura economica del miracolo-miraggio. La scelta di Houphouèt-Boigny, puntare sullo sviluppo agricolo, è stata saggia in sé. Ma se poi si guarda che tipo di agricoltura è stata favorita, allora vengono al pettine molti nodi. «Invece di produrre cibo, noi produciamo desserts», dice lo studente critico, e il suo lamento è convalidato da rigorosi economisti. Si coltivano infatti i cosiddetti cash-crops, i prodotti da pronta cassa: cacao, caffè, ananas soprattutto. La scelta Ma non c'è abbastanza riso, zuccliero. miglio, mais, e così questa potenza agricola lia un deficit alimentare. Inoltre il disboscamento, fatto sia per produrre legname, altro cash-crop, sia per liberare spazi alle piantagioni, ha finito con il provocare danni ecologici, modificando il clima e il regime delle piogge. Infine certe pazzesche spese di prestigio, come la trasformazione del villaggio natale di Houphouèt-Boigny. Yamoussoukro, in una specie di Brasilia africana, con appiccicata la Versailles di una residenza fastosa e trionfale, hanno moltiplicato il debito esterno: tre miliardi e mezzo di dollari nel '79. Ora è stato trovato il petrolio, che do-, vrebbe rilanciare l'economia tappando i buchi di una gestione allegra e contestata. Ma resta il rimpianto delle occasioni perdu te. In questo 1980, che per la scadenza ventennale è considerato anno di bilanci per l'Africa nera, l'economia è al centro di molte analisi. Alla fine di aprile l'Organizzazione per l'unità africana ha celebrato a Lagos il suo primo vertice economico. Si è aperto sotto auspici allarmanti: il presidente di turno dell'Oua, il liberiano Tolbert, era stato appena ucciso dalla truppa ammutinata. E' stato frettolosamente sostituito con il senegalese Senghor. Un presidente in meno, uno Stato in più: lo Zimbabwe. E nella delegazione dell'ex Rhodesia la grande, pragmatica novità di due uomini bianchi. Il discorso più concreto lo ha fatto il saggio Nyerere. presidente della Tanzania: «Il nostro è un problema di priorità, abbiamo da fare un sacco di cose ma non possiamo farle tutte subito, non è che dobbiamo scegliere fra cose essenziali e cose marginali, dobbiamo stabilire quali cose essenziali siano più urgenti». Lui, Nyerere, le elenca in questo ordine: autosufficienza alimentare («è assurdo che l'Africa debba importare cibo»/ sviluppo coordinato dei trasporti e delle comunicazioni, coordinamento delle strategie industriali («è assurdo avere cinquanta complessi siderurgici in Afri¬ ca»/ autosufficienza energetica, commercio interafricano («è assurdo comprare in Europa o in America quel che ci può fornire il vicino»/ Il ghanese Limann ha proposto l'istituzione di un fondo monetario africano. E' stata un'assemblea realistica, problematica, ben lontana dalle tradizionali parate oratorie di queste occasioni. Certo di assemblee problematiche l'Africa dovrà digerirne tante, prima che la tremenda equazione delle economie continentali possa avviarsi a soluzione. Né la soluzione potrà essere solo africana. Ci sono tre dipendenze die rendono necessario il ricorso alla cooperazione internazionale: la mancanza di capitali, la mancanza di tecnologie, la mancanza o il mancato sfruttamento dell'energia. Da sempre avviliti da un diabolico meccanismo, il deterioramento dei termini dello scambio a danno dei prodotti primari, agricoli o minerari, a vantaggio dei prodotti lavorati, cioè a danno dì ciò che l'Africa esporta e a vantaggio di ciò che importa, questi Paesi continuano a subire le conseguenze del passato coloniale. Un solo esempio: le comunicazioni. Basta guardare una carta dell'Africa per notare come le strade e le ferrovie abbiano quasi tutte andamento radiale, dalle zone interne ai porti oceanici. Furono infatti costruite dai colonizzatori per l'esportazione dei prodotti minerari e agricoli. Mancano quasi del tutto i collegamenti costieri, da Stato a Stato: il che illustra il lamento di Nyerere sulle lacune del commercio interafricano. Di fronte al valore assoluto di questi problemi, la stessa questione della scelta di campo, della opzione politica e sociale, passa in secondo piano. A Lagos, dove era l'economia al centro dell'attenzione, nonsisono registrate apprezzabili divergenze fra i progressisti e i conservatori, fra quelli che pendono a Ovest e quelli die si appoggiano a Est Era implicito da una parte e dall'altra il desiderio cosi a lungo insoddisfatto di essere padroni in casa propria, cosi da modificare il dato geopolitico di un continente diviso, e assetato di aiuti, e trasformato in una grande scacchiera dove giocano le loro partite, diplomatiche e militari, lontani e interessati registi. Lo si dice perfino ad Abidjan, dove pure non si è mai sparato in questi vent'anni e dove la presenza militare francese è davvero discreta. Alfredo Venturi