«Poveri» Anni 70

«Poveri» Anni 70 «Poveri» Anni 70 VENEZIA - La Biennale del 1978 si era proposta un tema estremamente ambizioso: sotto un titolo totalizzante «Dall'Arte alla Natura, dalla Natura all'Arte», aveva inteso indagare alcuni grandi filoni tematico-concettuali della visualità contemporanea, dalle origini nelle avanguardie «storiche» fino agli esiti nella più immediata contemporaneità. Questa Biennale del 1980, affidata alla direzione di Luigi Carluccio (aperta da oggi al pubblicò), si è proposta un ambito più specifico, circoscritto, in certo senso più informativo che non critico: l'arte interna zionale degli Anni 70, con una proiezione negli Anni 80. Non hanno però rinunciato né il direttore, né i curatori della sezione centrale (Achille Bonito Oliva, Michael Compton, Martin Kunz, Harald Szeemann) a una loro interpretazione: «Il motivo conduttore di fondo lungo tutto il decennio sta nel pluralismo delle esperienze, nella libertà delle intenzioni e delle scelte operative degli artisti. Libertà anche come liberazione. Dai rigidi schemi formali, dall'obbligo della coerenza accademica, dalle induzioni e dal condizionamento delle istituzioni, dagli ammiccamenti diretti al museo e al mercato, dalla lusinga del gruppo, del numero, della leva» (Carluccio). 11 quadro che scaturisce dalle presenze e dalle opere del padiglione centrale è però complessivamente all'opposto rispetto a questa immagine e a questa intenzione «pluralistica»: dopo la troppo facile soluzione di risolvere tutta la documentazione sull'arte del comportamento corporeo («Body»), dell'intervento sull'ambiente fisico naturale («Land»), sull'uso dei mezzi di comunicazione visuale e sonora, con una serie di film e videotape, le opere e gli interventi ambientali — e dunque la presenza oggettiva e concreta delle esperienze degli Anni 70 — sono tutti in direzione «concettuale» e/o «poveristica». Dunque, una direzione univoca. La più rappresentativa? Si può anche convenire su questo, ma allora non si parli di pluralismo e di libertà di scelte. E, andando più a fondo, non si parli di superamento del gruppo e dei rapporti di mercato. Come critico di ambito torinese non posso che compiacermi delle presenze italiane scelte come eminenti da Bonito Oliva: Anselmo, Boetti, Calzolari, Fabro, Kounellis, Mario e Marisa Merz, Paolini, Penone, Zorio. Sono tutti artisti operanti nell'ambito di tre gallerie d'avanguardia torinesi, Sperone, Stein, Russo. Fuori d'Italia, si può convenire sull'apertura emblematica con due «guide», Warhol e Beuys, specie considerando il secondo, con una complessa' creazione ambientale che ritorna al più «classico» concettualismo. Ma poi si ripropongono i quesiti. Certo, spicca l'angoscia coinvolgente di Rainer, della Oppermann, ma il resto delle scelte, nella fascia fra Germania e Inghilterra, non sembra superare il livello della campionatura, ancora una volta secondo i parametri esclusivi del comportamento e della, «Land Art». Per gli Stati Uniti, a parte l'operazione ideologica di Acconci, che trasforma in performance la «pop», la stupenda sequenza foto-ambientale di Walter De Maria e la pittura, squisita ma quanto mai dé\à vui di Agnes Martin, viene riproposto pari pari il fondamentale, ma ormai storico-museale, «Minimalismo» di Judd, Lewitt, Morris, Nauman, Serra. E la Francia? Che abbia perso gli antichi primati, il suo padiglione lo conferma da una Biennale all'altra, ma che i suoi Anni 70 si riducano a Buren e Le Gac, sembra quanto meno punitivo. E' li a dimostrarlo la bella esperienza nel collettivo e nel sociale del Centre Arts Plastiques Contemporaines di Bordeaux, presentata nella chiesa di San Lorenzo presso l'Arsenale, il coinvolgimento non intellettualistico di una intera comunità attraverso la leva fondamentale dell'infanzia e dell'età scolare. Ai Magazzini del Sale .alle Zattere, di nuovo Bonito Oliva e Szeemann presentano l'apertura agli Anni 80. Qui il discorso è ovviamente diverso. Siamo alla generazio¬ ne internazionale nata, salvo alcune eccezioni, fra gli Anni 1940 e 1950 e la scelta dei curatori appare indubbiamente più libera, meno univoca! C'è una tesi: il ritorno alla individualità, al gusto e al gioco della pittura, della decorazione, dell'artificio; ma permanendo la «povertà» dei mezzi, dei supporti, delle materie, ereditata dall'ultimo decennio. Anche qui, in astratto, si può essere d'accordo. Ma, in concreto, la povertà permane anche nei risultati, dove predomina tutta una serie di recuperi, dal kitsch floreale a un arte, popolare intesa come volgarità, e soprattutto una pittura frettolosa, un desiderio quasi del provvisorio, del transeunte; ma senza il rigore intellettuale del «poverismo» degli Anni 70, né| il rigore formale della «nuova pittura» degli stessi Anni '70. C'è una qualche tetraggine nell'idea del ritorno al gioco, alla festa, ma adatto a tempi dif dissociazione e di crisi. Marco Rosei

Luoghi citati: Bordeaux, Francia, Germania, Inghilterra, Italia, Stati Uniti, Venezia