Le istituzioni Cee prova della verità

Le istituzioni Cee prova della verità GLI «EUROMINISTRI» Le istituzioni Cee prova della verità «Il segreto che fa funzionare il meccanismo comunitario? E' semplice, sono le istituzioni... La frase è di Edgard Pisani, deputato socialista al Parlamento europeo ed ex ministro in uno dei goiierni di De Gaulle. Un meccanismo, spiega, che si inceppa «quando il Consiglio dei ministri cessa di decidere, poi la Commissione esecutiva non ha più coraggio di avanzare proposte e il sistema burocratico smette di svilupparsi... E' evidente die l'equilibrio sul quale si poggiano le istituzioni europee nate dopo il Trattato di Roma non ha mai smesso di evolversi a seconda delle volontà politiche e degli uomini che si sono avvicendati sulla scena europea, ma anche i7t funzione della dinamica interna di ciascuna di esse. In sostanza è la domanda avanzata più volte da diversi gruppi di «saggi», lo stesso presidente Giscard d'Estaing ha parlato di «slittamento delle istituzioni», da ogni parte giungono proposte per arginare o fermare quello che appare un dérapage inarrestabile. E' insomma scoccata l'ora delle decisioni e l'inizio degli Anni 80 registra già l'interessante concomitanza di alcuni eventi che finiranno per influire sull'evoluzione della Cee. Abbiamo il Parlamento di Strasburgo, eletto un anno fa a suffragio diretto, ormai in grado di trarre un primo bilancio. Si è discusso molto dell'assem blea comunitaria, ed è un bene: ha assunto iniziative audaci, non si è tirata indietro quando è slata chiamata in causa ad affrontare questioni delicate, anzi ha cercato di studiarle con maggiore profondità di tanti Parlamenti nazionali; adesso tenta di trovare un proprio spazio di manovra nei nuovi dialoghi istituzionali. Abbiamo la Commissione di Bruxelles, organo centrale del dispositivo comunitario, vicina alla fine del mandato. Fra poco bisognerà scegliere i suoi nuovi 13 «euroministrì» e il presidente che dureranno in carica per quattro anni. Abbiamo infine una messe, di decisioni importanti e ur¬ genti che rendono sempre più vivaci le riunioni del Consiglio europeo. Citiamo alcune delle questioni più delicate: la ricerca del metodo miglio-^ re per appianare lo scontento inglese sul bilancio Cee. le vie per superare gli scogli del Mercato comune agricolo, il tentativo di armonizzare le differenti posizioni nazionali sul contenzioso mediorientale. In sostanza, dopo aver declamato per anni la necessità «impellente» di varare una concreta coopcrazione politica, senza farne nulla, ora la si applica in molte occasioni senza più battere la grancassa dell'autosoddisfazione. Ed è così che molte decisioni di interesse comune, e non delle mùiori. vengono adottate in pieno accordo, spesso in modo informale, ma al di fuori delle istituzioni comunitarie ufficiali. Si tratta delle banche centrali, dei ministeri degli Esteri che ricorrono con sempre maggiore frequenza all'uso della telefonata diretta o del telex. Poco tempo fa abbiamo visto i nove ambasciatori della Cee a Teheran consultarsi per stabilire il rapporto che ognuno di essi ainebbe inviato ai propri go- verni, rapporto nel quale lutti si sono dimostrati abbastanza scettici sull'efficacia di sanzioni economiche contro l'Iran. La Comunità dà insomma l'impressione di aver mutato l'indirizzo della propria strategia c si appresta, senza dubbio, a continuare su questa strada. Pertanto ritorna d'attualità il cruciale quesito sul ruolo centrale assegnato alla Commissione dal dispositivo comunitario. In principio era l'organo delle «proposte indipendenti» destinalo a imprimere orientamenti nuovi all'insieme dei Paesi membri, un ruolo che progressivamente si è però snaturato. Ispirata dal Consiglio d'Europa, la Commissione ha finito per trasformarsi in semplice segreteria esecuthitt, un fatto evidenziato anche dalla crescente attenzione che i giornalisti specializzati nutrono ora per le riunioni consiliari che si alternano fra Bruxelles e Strasburgo, trascurando virtualmente quelle della Commissione. Molti nel cenacolo europeo sostengono che ci si trova dinanzi a un caso privo dì sbocchi, bisognerebbe quindi ammettere che ta Commissione diventerà un esecutivo tecnocratico, ma che comunque dovrà essere composto da personalità di sicura competenza, cosa die non è stata sempre così fino a oggi. Sarà pertanto rivelatore il modo con cui si procederà in giugno alla designazione del successore di Roy Jenkins. se si punterà cioè su un leader politico o su un alto funzionario. Attualmente si conosce un solo candidalo sostenuto dal proprio governo, ed è il danese Finn Olav Gundelach. Si fa anche il nome di Joseph Thorne, lussemburghese, erede dell'antica Comunità a Sei che si appresta a diventare a Dieci. Il suo Paese non ha finora esercitato la presidenza dell'organo esecutivo, e lo stesso Thorne ha perso lo scorso anno la corsa alla presidenza del Parlamento dei Nove, battuto per una divergenza con i francesi dalla signora Simone Veil. Si menziona anche l'olandese Bisheuvel, uno dei tre «saggi» chiamato a suggerire cosa fare per ristabilire l'equilibrio fra le istituzioni europee. Ci si chiede poi se il futuro presidente sarà costretto a fare il giro delle nove capitali, come dovette fare Jenkins, per sentire i rispettivi punti di vista e le preferenze di ciascuno Stato sulla composizione della Commissione. Ricordiamo in proposito i «si dice» di quattro anni fa, e che cioè Jenkins si sarebbe battuto contro la nomina del tedesco Haferkampf e poi sarebbe slato costretto ad accettarlo come responsabile delle rela. zioni esterne alla Comunità. ■ La Commissione uscente è composta da rappresentanti più o meno politici ai quali, non è un segreto, viene rimproverato, forse con la dopino eccezione di Claude Cheysson e di Etienne Davignon, di non essere né politici illuminati né tecnici di valore. Per adesso non si sa nemmeno se nel vagliare l'esperienza dei prossimi commissari si rispetteranno le uttuali ripartizioni geografiche. Il suggerimento ai «grandi» di ridurre ì propri rappresentanti da due a uno. in Visio dell'allargamento della Cee. non è piaciuto a nessuno, specie a Parigi. D'altro canto il Parlamento di Strasburgo ha votato in aprile una risoluzione, suggerita da Jean Rey, per pretendere il diritto dì essere consultato sulla scelta del presidente e di essere chiamato a emettere un voto di investitura e di fiducia all'insieme della Commissione. Il Parlamento ha chiesto inoltre di potersi pronunciare su tutti i progetti di decisione avanzati dalla Commissione prima del loro inoltro al Consiglio, un modo come un altro per puntualizzare il suo diritto di censura. E' evidente pertanto che il ■ruolo del Consiglio europeo \supera attualmente le proprie prerogative con la conseguenza che buona parte degli ^argomenti che dovrebbero risultare di competenza del Parlamento finiscono per sfuggire al controllo dell'assemblea. Si vedrà ullora il Consiglio affiancato, come vorrebbero alcuni «saggi», da un ministro aggiunto, incaricato di assistere il presidente e riferire al Parlamento, secondo i desideri più volte espressi da quest'ultimo?Avremo in ogni governo nazionale un ministro «per gli affari europei»? E' la vecchia storia, anche, se sono in vista tante novità, dello scontro inevitabile fra interessi nazionali e i supremi ideali di un'Europa veramente unita. Jacquelinc Grapin

Luoghi citati: Bruxelles, Europa, Iran, Parigi, Roma, Strasburgo, Teheran