La Cassazione decide oggi la sorte degli assassini di Cristina Mazzotti di Remo Lugli

La Cassazione decide oggi la sorte degli assassini di Cristina Mazzotti La giovane di Como lasciata morire di stenti La Cassazione decide oggi la sorte degli assassini di Cristina Mazzotti Alla suprema corte si discutono i ricorsi dei numerosi implicati in uno dei più nefandi sequestri - Alcuni sperano in un nuovo appello ROMA — Entro questa sera la Corte di Cassazione si pronuncerà sulla sentenza della Corte d'assise d'appello di Torino per il rapimento e la morte di Cristina Mazzotti. La discussione s'è iniziata ieri mattina su ricorso del Procuratore generale Buscaglino Strambio e dei difensori di quasi tutti gli imputati. Le tappe giudiziarie di questa tragica vicenda sono disseminate lungo un arco di cinque anni. Cristina, studentessa comasca diciottenne, era stata rapita la sera del 1 luglio '75 sulla strada Erba-Eupilio, mentre stava rientrando nella casa di campagna dei suoi. I carcerieri la tennero segregata in una fossa scavata nel pavimento di una cantina, in condizioni disumane, la imbottirono di sonniferi, debilitarono il suo organismo fino a provocarne la morte, che avvenne il 31 luglio. E in quella stessa notte seppellirono il suo corpo in una discarica di Galliate. L'indomani gli sciagurati assassini ritirarono il riscatto, un miliardo e cinquanta milioni. Il processo di primo grado s'iniziò il 23 novembre '76 davanti all'Assise di Novara, presidente Francesco Caroselli, Pubblico ministero Corrado Canfora. Gli imputati erano 22, di cui 13 in stato di arresto, uno latitante, uno Libero Ballinari, incarcerato in Svizzera dove aveva confessato facilitando l'identificazione degli altri responsabili. La prima sentenza, emessa il 7 maggio '77 dopo 71 udienze, aveva comminato otto condanne all'ergastolo, due a 30 anni e altre pene da 28 anni a sei mesi; cinque le assoluzioni. L'appello s'era iniziato a Torino il 15 maggio '79 e si era concluso il 13 luglio con una sentenza, firmata dal presidente Luigi Conti, che aveva sostanzialmente cambiato la precedente. Degli otto ergastoli, quattro erano stati cancellati e sostituiti con pene minori. Nino Giacobbe, presunto boss mafioso di Lamezia e il suo braccio destro Francesco Gattini, erano passati a 30 anni, Loredana Petroncini, amante del carceriere Giuliano Angelini, era scesa a 25 anni e sei mesi, Rosa Cristiano, pure carceriera, a 18 anni. Alberto Menzaghi, finanziatore del sequestro e Bruno Abramo, dai 30 anni dei primo grado erano scesi a 28, Giuseppe Milan, autista della banda, era passato da 26 a 25, Vittorio Carpino, collaboratore dell'Angelini, da 23 e mezzo a 20, Luigi Gnemmi, convivente della Cristiano, da 5 anni e 4 mesi a 3 anni e 8 mesi. La Corte d'assise d'appello aveva confermato gli altri quattro ergastoli a: Giuliano Angelini, organizzatore del sequestro, Libero Ballinari, svizzero, aiutante di Angelini, Gianni Geroldi, carceriere, e Achille Gaetano, che faceva da tramite tra la parte calabrese e la parte lombarda della banda. Tra il primo e il secondo processo uno degli imputati, Sebastiano Spadaro, il telefonista che teneva i contatti con la famiglia, condannato a 28 anni, era morto in latitanza, sotto falso nome. E tra il secondo processo e l'attuale è morto Francesco Russello, uno dei riciclatori del denaro sporco, condannato a sei anni e sei mesi: assassinato a pugnalate nella sua casa di Sanremo. Libero Ballinari, detenuto in Svizzera, è stato condannato anche dalla corte di Lu gano nel giugno 77, alla «pena perpetua», che non è però su¬ periore a venti anni. L'udienza di ieri in Cassazione è stata occupata per buona parte dalle arringhe degli avvocati della Parte Civile, i professori Lozzi di Torino, Pecorella e Smuraglia di Milano, che hanno trattato questioni di procedura e posizioni di merito, chiedendo il rigetto di tutti i ricorsi degli imputati. Verso sera sono iniziate le arringhe dei difensori che continueranno anche nalla mattinata di oggi. Remo Lugli