Era atteso da un killer di Clemente Granata

Era atteso da un killer Era atteso da un killer (Segue dalla 1 ' pagina) di via Salaino, una traversa di via Solari, si separano. Maristella Oliviero entra in un negozio con Benedetta. Tobagi prosegue per via Salaino, percorrendo il marciapiede di sinistra. Dopo una cinquantina di metri c'è il «dehors» della trattoria «Dai gemelli»; una fila di vasi con sempreverdi delimita lo spazio riservato durante la bella stagione ai clienti. Uno dei killer è già appostato dietro la siepe, poco distante dal punto in cui essa si apre per permettere l'ingresso nel ristorante. Altri complici seguono il giornalista a bordo di una «Peugeot», color argento metallizzato; un quarto complice si trova più avanti, oltre il ristorante, probabilmente per evitare un possibile tentativo di fuga della vittima. Tobagi costeggia la siepe verso la parte esterna del marciapiede. Quando giunge all'altezza dell'ingresso del ristorante l'assassino apre il fuoco con una pistola (probabilmente è un'arma calibro 9 corto). Tobagi è raggiunto da 5 colpi, sotto l'oreccho sinistro, alla schiena, alle spalle e alle gambe. Cade senza un grido, tra il gradino del marciapiede e una fila di auto. Lo sparatore, alto poco più di un metro e settanta, molto giovane (non più di diciott'anni, secondo un testimone), berretta blu da sciatore calata sulla fronte, fugge verso la «Peugeot», che raccoglie anche l'altro terrorista, piazzato qualche passo più avanti. Poi l'auto parte con una brusca manovra, gira in via Valparaiso e qui va a urtare contro la «127» arancione di un commerciante che procede in senso opposto. Il commerciante scende dalla sua vettura, la Peugeot» riprende subito la marcia verso piazza Bassi e Lorenteggio. Oltre Lorenteggio c'è la strada per la Lomellina. L'auto non è stata ancora trovata. Attorno al corpo esanime di Tobagi si raccolgono alcuni passanti, escono gli avventori di un bar situato nei pressi. Una chiazza rossa si allarga sull'asfalto. Si odono sirene delle ambulanze e delle auto della polizia e del carabinieri. Le sente anche la moglie del giornalista, forse intuisce, accorre. Un sacerdote la sorregge, cerca di confortarla, qualcuno l'accompagna a casa, al tri vanno a prendere a scuola Luca, il figlio di 7 anni. La notizia si diffonde, suscita sdegno, commozione rabbia. Giungono sul luogo del delitto il direttore del Corriera della Sera, Franco Di Bella e il vicedirettore Gaspare Barbiellini Amidei, il procuratore della Repubblica Gresti, il sindaco di Milano Tognoli, altri uomini politici. Giungono anche i genitori di Walter Tobagi. Hanno un pianto soffocato: «Walter perchè?, Walter come hanno potuto farlo, eri buono tu». Alle 12,40 su un carro funebre il corpo senza vita del giornalista è portato all'obitorio, pochi minuti dopo giungerà la telefonata con cui le Brigate rosse rivendicano l'assassinio. Nel frattempo in un'aula della corte d'assise dove si svolge il processo contro Corrado Alunni e altri terroristi di Prima linea l'udienza è sospesa dal presidente Cusumano. Svolgeva la requisitoria il pubblico ministero Spataro e proprio in quel momento parlava del ritrovamento nel gennaio del 1979 in piazza Durante a Milano di una valigetta sottratta da un ladro ai terroristi e poi abbandonata. In quella valigetta c'era un'ampia documentazione del gruppo terroristico «Reparti comunisti d'attacco», che portò poi alla scoperta dei covi di Magreglio e Ungiasca. E c'era anche un elenco di 46 nomi dì magistrati avvocati e giornalisti, possibili vittime degli eversori. Uno dei nomi era quello di Walter Tobagi. Ultimamente, ha ricordato il direttore del Corriere Di Bella, aveva chiesto di non occuparsi più di terrorismo. Era stato accontentato e gli erano stati affidati alcuni servizi elettorali. Chi era Tobagi, perché lo hanno ucciso? Era nato a Spoleto, 33 anni or sono. Laureato in filosofia con una tesi sui sindacati nel dopoguerra, aveva fatto il suo ingresso giovanissimo nel mondo del giornalismo, prima all'Avanti!, poi all'Avvenire, quindi al Corriere d'Informazione e infine al Corriere della Sere. Nel 1977 era stato nominato presidente dell'Associazione lombarda del giornalisti e confermato nell'incarico lo scorso anno. Si occupava di attualità politica, di problemi sociali e sindacali e dal 1977 anche di terrorismo. E lo faceva con scrupolo, coscienza, serietà e con grande capacità professionale: erano le stesse qualità che Tobagi aveva dimostrato nel cinque saggi scritti di recente a breve distanza l'uno dall'altro. Giustamente era considerato una delle promesse del giornalismo italiano. E con analogo impegno, si dedicava all'insegnamento universitario (alla «Statale» aveva un incarico di storia contemporanea). Studio, ricerca attenta, puntigliosa, giudizi meditati, mai superficiali, un giornalismo il suo che anche nell'onda dell'emozione, rifuggiva dal sensazionalismo, in un continuo appello alla ragione. Anche per questo lo hanno assassinato. Clemente Granata

Luoghi citati: Magreglio, Milano, Spoleto, Ungiasca