Roma, il voto e le armi

Roma, il voto e le armi I DIRITTI DEL CITTADINO NELL'ANTICHITÀ' Roma, il voto e le armi Nel dialogo La Repubblica. Cicerone fa dire a Scipione: «La repubblica appartiene al popolo; e il popolo non è un'accolito di esseri umani aggregati in un modo qualsiasi, ma una collettività associata nel comune rispetto della giustizia e nella partecipazione comune dei beni». E' un modello ideale di diritti e doveri, come è un modello etico il comportamento degli eroi antichi in Tito Livio; non è detto che la realtà vi si adeguasse; comunque, è il concetto racchiuso nella sigla S.P.Q.R., Senatus Populusque Romanus: il governo esercita il potere a vantaggio della comunità e con il suo consenso: è la sua giustificazione morale, il suo alibi. Principf fondamentali, radicati nella coscienza politica occidentale: i termini del lessico politico che si usano ogni giorno ci vengono dalla Grecia e da Roma. Nel regime aristocratico repubblicano, la classe dirigente era composta d'una cinquantina di alti magistrati, poche centinaia di senatori (proprietari terrieri ai quali, nominalmente, erano vietate le attività commerciali) e poche centinaia di equestri (ceto imprenditoriale, al quale erano affidate le funzioni fiscali e giudiziarie). Due ordini, si badi, non due classi, dato che le condizioni economiche, le alleanze — strette e dissolte spesso attraverso matrimoni e divorzi — erano identiche nei due gruppi e assiduo l'afflusso dei membri del primo nel secondo. Nei secoli della Repubblica, a queste due classi spettavano in maggiore misura gli oneri della guerra e del fisco, dato che possedevano di più: i più ricchi sembrano — dico sembrano — meno esposti a rubare: e ciononostante, i titolari, diciamo così, di dicasteri finanziari dovevano depositare una cauzione al Tesoro e i governatori delle province nulla temevano quanto le denunce di peculato da parte dei provinciali. Le cariche dunque venivano deferite in base a quello che era il cardine della vita politica romana, il censo: lo studioso C. Nicolet, che ha sviscerato il funzionamento della prassi civica romana in varie opere, una delle quali è uscita recentemente in italiano (Il mestiere di cittadino nell'antica Roma, Editori Riuniti) nota che «censo», nell'etimologia del termine, non significa soltanto conto delle persone, registrazione, verifica dei redditi, ma anche valutazione, opinione di ciascuno da parte della collettività e, di conseguenza, collocazione in un ruolo definito. Chi erano tutti coloro che non facevano parte della classe dirigente, la massa civica che partecipava alle decisioni politiche solo attraverso un voto che era espresso per gruppi e non singolarmente.3 Qual era il loro ruolo nella società, i diritti, i doveri, il peso nella storia? In che modo i mass media sentivano d'essere cittadini di Roma e ritenevano giusti gli obblighi in cambio dei vantaggi? 1 tre connotati del «ciuis Romanus» erano fisco, milizia e voto; sono i tre aspetti del «quotidiano», del «vissuto» che il Nicolet ha ricostruito, una realtà che manca di norme scritte e di testimonianze dirette; lo studioso ha individuato, con l'ausilio della topografia antica, i luoghi delle riunioni e delle votazioni, le date, gli orari: ha ricostruito in quale misura venivano tassati, in che modo erano reclutati e chiamati alle urne, le prospettive, le carriere dei contribuenti, militari, elettori. L'epigrafia ne rivela i mestieri: Cicerone enumera ironicamente il personale addetto alla Commissione incaricata di redigere la Legge Agraria; quanto costeranno allo Stato gli agrimensori, scribi, segretari, araldi, commessi, geometri, contabili che sono stati assunti! In ogni categoria, esercito e amministrazione, vi sono subalterni, dipendenti, inservienti, che forse erano i più esperti nel ramo, ma non hanno scritto la storia; e poi, i lavoratori liberi in proprio, professionisti, artigiani, mercanti. Una macchina immensa, che non era stata ideata come una costruzione giuridica perfetta ma s'era formata empiricamente ed era regolata da una rigorosa logica interna; ciascuno, conforme al proprio censo, occupava un posto, fruiva d'un diverso grado di partecipazione al potere decisionale; le gerarchie erano accettate, gli obblighi e i sacrifici riconosciuti per uno straordinario senso di coesione tra individuo e Stato, come il caso estremo di subordinazione del privato alla società descritto da T. Livio, la rinuncia di pagare il riscatto dei prigionieri ad Annibale, dopo la sconfitta di Canne, per non impoverire il Tesoro e non fornire oro al nemico. Quando incominciò ad allentarsi uno dei vincoli che legavano il cittadino alla Repubblica (con il 167 a.C, i romani non pagarono più tasse) e la plebe ottenne assegnazioni di terre e distribuzioni frumentarie. vale a dire i benefici d'una politica assistenziale, e l'esercito, aperto con Caio Mario al volontariato proletario, non fu più composto di combattenti richiamati volta per volta per difendere «altari e focolari», ma diventò un'armata professionale avida soltanto di far bottino, finiti gli obblighi, decaddero i diritti. E lentamente spari anche il terzo puntello politico repubblicano, il voto, che comprendeva non solo l'elezione dei magistrati ma anche le leggi, e, attraverso il Veto posto dai Tribuni e l'appello dopo le sentenze, esercitava il suo peso. I Cornuta, per lo svolgimento dei quali Augusto aveva costruito un edificio marmoreo, nominalmente durarono per tutto il 1 secolo dell'Impero, ma in realtà scelta e designazione di consoli e magistrati spettarono all'imperatore e a commissioni scelte; via via che le coscienze smarrirono il senso d'aver sottoscritto un contratto con lo Stato e la convinzione di dover pagare di persona e di denaro, in cambio dell'appartenenza a una società civile, si attenuò la responsabilità morale e la coscienza delle proprie funzioni civiche. Cessati i doveri, venne meno il diritto supremo, quello di esercitare la LibertaLidia Storoni

Persone citate: Caio Mario, Cicerone, Nicolet, Storoni, Tito Livio

Luoghi citati: Grecia, Roma