A TEMPO DEBITO di Primo Levi

A TEMPO DEBITO A TEMPO DEBITO UN RA CCONTO DI PRIMO LEVI Si erano già accesi i fanali, il traffico serale,si faceva sempre più intenso, ma quella signora non accennava ad andarsene. Aveva già fatto tirare giù mezzo negozio, voleva un taglio di una stoffa che non esisteva in un colore che non esisteva. Giuseppe era stanco, su tutte le scale di tutti gli strumenti di bordo. Stanco di stare in piedi, stanco nei piedi, stanco di dire sissignora, stanco di vendere stoffe, stanco di essere Giuseppe, stanco di essere stanco. Su tutti i quadranti sentiva la lancetta pendere verso il fondoscala, stanca anche lei. Giuseppe aveva cinquantanni, vendeva stoffa da trenta, e aveva fatto il conto che con la stoffa che aveva venduta si sarebbe potuto fare un tailleur per la Statua della Libertà e un completo per il San Cartone di Arona. La signora voleva ancora dare un'occhiata alla pezza più bassa di una pila di pezze, e Giuseppe si stava arrabattando per tirarla fuori, quando lo chiamarono al telefono. Non capitava quasi mai, e Giuseppe, più che preoccupato, si senti incuriosito: era una voce maschile che gli chiedeva un appuntamento. Per cosa? Per un affare che lo riguardava: si, riguardava lui, Giuseppe N., nato a Pavia il nove ottobre del 1930. Sembrava che lo sconosciuto sapesse non solo i suoi dati anagrafici, ma anche diverse cose sul suo conto. C'era fretta? Non c'era fretta; si, anche lunedi mattina poteva andare bene. Giuseppe liquidò con pazienza la cliente ed aiutò a chiudere bottega. Il lunedì mattina il negozio era chiuso, e Giuseppe si alzò tardi. Lo sconosciuto venne alle dieci e mezzo: era di media statura, sulla cinquantina, coi capelli neri sul capo ma bianchi sulla nuca e sulle tempie, e non era né molto istruito né molto educato, infatti si sedette prima che Giuseppe lo invitasse a farlo. Aveva addosso un abito blu scuro di taglio vagamente militaresco, stretto alla vita, con le spalline, e con grosse tasche un po' dappertutto: due, lunghe e strette, erano sui pantaloni sotto i ginocchi, altre due stavano sotto i risvolti della giacca, e su una di queste era cucita un'altra tasca più piccola, forse per metterci i biglietti del tram o del treno. A Giuseppe, che se ne intendeva, parve che la stoffa fosse di buona qualità, ma non riuscì ad identificarne la natura: forse era roba sintetica, al giorno d'oggi non si sa mai, la lana è fatta di acrilico e le bistecche sono fatte di petrolio. Il visitatore stava seduto, non parlava, non mostrava impazienza, e neppure sembrava attendere che Giuseppe dicesse o facesse qualche cosa. Per qualche minuto Giuseppe non osò fargli domande, e si soffermò ad osservarlo con più attenzione. Non era molto bello: aveva la fronte bassa e mal modellata, gli occhi piccoli, spenti e con poche ciglia, il naso breve e largo. Larghe e robuste erano anche le mascelle e la dentatura, ma questa era bassa e sembrava logora, tanto che le guance erano rugose ed infossate più di quanto non comportasse l'età che traspariva dal resto della persona. Giuseppe si sentiva sempre più imbarazzato ed anche irritato: gli aveva chiesto un appuntamento, aveva detto che gli doveva parlare: perché non parlava? Dopo qualche minuto il visitatore sospirò, poi disse: «Mah, che tempi. Perfino le stagioni sono impazzite, fa inverno fino a maggio e poi è subito estate». Tacque di nuovo, guardò fuori della finestra, poi riprese: «E i giovani, poi... pensano solo a divertirsi, a studiare non ci pensano mica, e a lavorare ancora meno. Se si continua cosi staremo freschi: eh no, non si può mica andare avanti cosi. Una volta era diverso, tutti facevano il loro dovere, magari si mangiava un po' di meno ma c'era più sicurezza di adesso, anche se si andava in bicicletta invece che in auto». «Ma lei — interruppe Giuseppe — aveva detto al telefono che mi doveva parlare...». «Non ho detto proprio cosi, se lei si ricorda: ho solo detto che sono al corrente di un affare che la riguarda, o qualcosa del genere. Sì, in effetti non ri¬ cordo bene che cosa le ho potuto dire, ma insomma... sì, ecco, io di lei so parecchie cose. Non ricordo che cosa le ho detto venerdì sera, e invece ricordo che cosa le è successo quando aveva cinque anni, è strano, no? Ma quando s'invecchia capita un po' a tutti. Quella volta che lei faceva le scivolate su una pozzanghera gelata, e il ghiaccio si è rotto, e lei si è ferito alla caviglia con una scheggia di ghiaccio. Non si ricorda? strano: eppure ha ancora la cicatrice, 11 a destra». Giuseppe si guardò la caviglia: si, la cicatrice c'era proprio, ma lui aveva dimenticato da anni come e quando se l'era fatta. «Tanto per farle vedére che sono bene informato. E quella volta che lei è entrato in camera di sua madre senza chiedere permesso, e l'ha vista mentre si infilava le calze? E poi, molti anni dopo, quando lei ha soffiato la ragazza al suo collega, li in negozio? ma poi lei si è subito stancato, e l'ha piantata, e lei ha fatto una brutta fine». Tutte queste cose erano vere, ma il visitatore le raccontava con un'aria distratta e vaga, come se facesse quanto di meglio poteva per perdere tempo. Giuseppe si era impazientito, e chiese bruscamente: «Insomma, lei che cosa vuole da me?». «Sono venuto per ucciderla», rispose il visitatore. Giuseppe, benché stanco di molte cose, a morire non era preparato. Non è detto che chi è stanco della vita, o dice di esserlo, desideri sempre di morire: in generale, desidera solo di vivere meglio. Lo disse allo sconosciuto, ma quello gli rispose con durezza: «Sa, quello che lei desidera o non desidera conta fino a un cerio punto. Non vorrà mica credere che sia un'iniziativa mia: queste sono cose che si decidono altrove. Io non c'en- tro, e non posso neppure dire che il mio mestiere mi piaccia tanto: mi piace press'a poco come a lei il suo, non so se mi spiego. Ma è il mio mestiere, non he ho un altro; alla mia età, che è poi la sua, non si cambia più tanto facilmente». «E... perché proprio io? E quando? adesso? insomma, dal momento che sono io l'interessato, mi piacerebbe saperne qualche cosa di più». «Ma lo sa che lei è un bel tipo? Perché, quando, come, dove! Ha una raccomandazione, lei? E' parente di qualcuno importante? Ha un conto corrente a Zurigo? No? E allora! Si capisce che piacerebbe a tutti sapere certe cose, ma invece no: la gente come lei (o come me, del resto: quando siamo fuori servizio siamo anche noi delle pezze da piedi qualunque) deve accontentarsi, mettersi tranquilla ad aspettare, e vivere alla giornata, sperando che non sia l'ultima giornata. Ma guardi, una cosa gliela posso dire, per oggi non se ne fa niente. Vede, non sono neppure armato: questo è solo un preavviso, nel caso che lei voglia prendere qualche provvedimento. Anche questo non dipende da noi: anche noi aspettiamo, e quando viene il segnale andiamo e sistemiamo la faccenda». Quell'accenno all'arma aveva messo Giuseppe un po' a disagio, ma il visitatore lo rassicurò: «Ho detto "armato" cosi per dire, no no, guardi pure, non ho addosso né pistole né coltelli, sono cose d'altri tempi; queste tasche? Ci tengo le biro, le matite, il blocchetto dei rimessi le delle ricevute, sa bene, nel ! nostro lavoro bisogna essere precisi. Se si sbaglia data o indirizzo sono guai. Non dovrebbe capitare mai, con tutti i controlli che dobbiamo fare a fine giornata, ma pure qualche volta capita, e allora la gente fa i suoi commenti, "così giovane, un fiore, piena di salute" e così via, e per noi c'è la penalità. No no, niente armi, adesso abbiamo altri sistemi». «Sistemi indolori?» osò chiedere Giuseppe. Lo sconosciuto fece un risolino strano, disincrociò le gambe e protese il busto verso di lui. «Ecco, è ben questo il punto: la aspettavo qui. Vede, ci sono diversi sistemi, non passa anno che non ne venga fuori uno nuovo, e i più recenti sono praticamente indolori. Però... ecco, sono piuttosto costosi». Detto questo, lo sconosciuto serrò strette le sue poderose mascelle, per il che le guance flosce si ripiegarono su se stesse in un reticolo complicato, e rimase zitto a fissare Giuseppe in viso. Ci voleva poco a capire che cosa intendeva dire, ma Giuseppe era incerto sulla somma da offrirgli; non riusciva ad immaginare neppure l'ordine di grandezza. L'altro intervenne con disinvoltura: si vedeva che non si trovava in quella situazione per la prima volta, e si vedeva anche che aveva idee precise sul capitale di cui Giuseppe disponeva. Mormorò sorridendo che «i lenzuoli funebri non hanno tasche» e che quelli erano soldi ben spesi, intascò con dignità l'assegno, disse a Giuseppe che sarebbe ripassato a tempo debito, gli chiese quanto era lontana via Flavio De Rege. si fece chiamare un taxi e se ne andò. Primo Levi

Persone citate: Flavio De Rege, Giuseppe N.

Luoghi citati: Arona, Pavia, Zurigo