A Catanzaro quattro imputati e un solo spettatore in aula di Francesco Santini

A Catanzaro quattro imputati e un solo spettatore in aula Due processi cercano di far piena luce sulla strage di piazza Fontana A Catanzaro quattro imputati e un solo spettatore in aula Alla prima udienza d'appello si sono presentati solo Freda, Giannettini, La Bruna e Tanzilli - Già si prevede un rinvio a settembre DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE CATANZARO — Le sequenze agghiaccianti della stagione delle bombe ritornano davanti ai giudici con il processo d'appello per la strage di piazza Fontana ma, nei sessantatré minuti della prima udienza, tutto sembra volersi allontanare dalla verità sul «crimine più crudele» della storia della Repubblica. Il presidente, Gian Giuseppe Gambardella, confonde Antonio La Bruna, l'uomo del Sid, per il suo difensore. Franco Freda, all'ergastolo per strage, saluta con toni salottieri i giornalisti amici: «Mi sono trovato molto bene tra gli indigeni del Costarica», ha la forza di dire all'ingresso in aula mentre nasconde i ferri sotto 11 «trench» sdrucito. E accanto gli sta Giannettini, agente del vecchio Sid, con gli occhi lucidi. Anche lui sottrae i polsi serrati. Si commuove, piange, stringe mani protese. Una quarantina di avvocati in toga, litigiosi, zittiti da un presidente che non parla nel microfono e lascia l'aula nella disattenzione. A chi domanda silenzio, il magistrato ribatte: «Loro non hanno bisogno di capire». Poi alza il tono di voce e conclude: «Tacete, questo lo avete sentito?». C'è il giuramento dei' giudici popolari dopo l'elenco dei 26 imputati. Una ventina di supplenti non togati, dietro la corte, sono allontanati dopo una mezz'ora. Su ventisei imputati le presenze sono quattro. Con Franco Freda e Guido Giannettini, circondati dai militari in divisa, appaiono, confusi tra i difensori, e il capitano La Bruna e un altro elemento del Sid, il maresciallo Gaetano Tanzilli che in primo grado ebbe la condanna a 12 mesi di reclusione per falsa testimonianza. Tutti gli altri, dagli anarchici alle figure più ambigue del processo, hanno preferito disertare l'aula messa a nuovo per l'occasione, fresca di pittura e di vernici, in un clima che ricorda Tangeri, tra dialetti incomprensibili per i forestieri e pareti assolate e bianchissime. Il presidente dimentica le dichiarazioni di contumacia. Si alza un difensore, gliele ricorda con garbo. Presidente: «Mi era uscito di mente, provvediamo subito». Sostituto procuratore generale: «Dichiariamo contumaci quanti non si sono presentati». La difesa di Giovanni Ventura insorge e pone il problema che impegnerà le prossime udienze, con il pericolo di far saltare il processo sul nascere e rinviare, a chissà quando, le speranze già esigue di arrivare ai mandanti della «strategia della tensione» nel nostro Paese. Introduce nel dibattimento un «caso internazionale» senza precedenti, che riguarda appunto Giovanni Ventura, l'editore di Castelfranco Veneto, condannato all'ergastolo, fuggito in Argentina dal soggiorno obbligato di Catanzaro nel gennaio del '79 e arrestato a Ferragosto dell'anno passato a Buenos Aires. Sulla sua estradizione è ancora in corso una trattativa estenuante. Entrato in Argentina con un passaporto ialso, è in carcere nella capitale sudamericana. Le autorità di Buenos Aires intendono concludere il processo contro di lui, fargli scontare l'eventuale condanna prima di deciderne la riconsegna alla giustizia italiana. Secondo il trattato di estradizione italo-argentino, su richiesta della magistratura del nostro Paese, Ventura potrebbe essere estradato provvisoriamente in Italia per poi essere restituito, a processo concluso, all'Argentina. L'estradizione definitiva si avrebbe; in tempi successivi scontata la pena oltre oceano. Ma la corte di Catanzaro non ha richiesto il detenuto alla magistratura di Buenos Aires e continua a considerare Ventura un la-' titante. Sebbene sollecitato dal difensore di parte civile Azzariti Bova, 11 presidente non ha provveduto. Presidente: « Volete discutere oggi le eccezioni o rinviarle a domani?». L'interrogativo è stato accolto in aula con disappunto. Erano trascorsi sessanta minuti dall'inizio dell'udienza e la domanda, dopo un'unica ora di lavoro, è stata accolta con commenti amari. Una coppia di coniugi anziani seduti accanto ai giornalisti è apparsa, stupita. «Se questo è il ritmo si andrà avanti per trent'anni», ha detto l'uomo. La donna ha annuito con un gesto del capo. L'unico spettatore oltre le transenne, con una bimbetta di sei anni per mano, s'è domandato: «Finiu?». Un agente fn borghese gli ha risposto: «SI, è finito, per oggi basta». L'udienza era conclusa. Si continua oggi con le eccezioni. Poi si andrà avanti una settimana per sospendere nei quindici giorni a ridosso delle elezioni. Quindi a settembre. «Domani non vengo», ha detto l'unico spettatore smarrito del processo di Catanzaro; interrogandosi sulla volontà della magistratura di giungere a una verità che spazzi ogni ombra. Francesco Santini