Molte le «vie» inesplorate sulle Alpi di casa nostra di Gigi Mattana

Molte le «vie» inesplorate sulle Alpi di casa nostra Dopo l'impresa di due scalatori piemontesi al Brcithorn Molte le «vie» inesplorate sulle Alpi di casa nostra TORINO — La parola d'ordine in alcuni ambienti alpinìstici italiani da qualche tempo è «spedizione»: sulle Ande, in Himalaya, in Groenlandia, in Patagonia. Per molti è voglia di viaggio, di avventura, di conoscenza di altri pòpoli e altre mentalità; per altri è fame di imprese al limite dell'umano; per altri ancora è lungo e dispendioso lavoro per aprire una via (quasi sempre sulle Ande boliviane e peruviane, e di media difficoltà) con l'alibi «tantosulleAlpi non c'è più nulla da fare». In realtà, specie sulle Alpi Occidentali, ogni anno si continuano ad aprire vie nuove la cui verginità aveva un unico motivo: erano tropi» difficili o troppo pericolose e attendevano alpinisti eccezionali per lasciarsi cogliere. Soprattutto su terreno glaciale francesi come Gabarrou, Boivin, Berhault mietono nuove ascensioni e nei giorni scorsi due piemontesi hanno tracciato un itinerario impensabile solo pochi anni fa. «La parete Nord delle Rocce Nere al Breithorn è ancora tutta da scoprire — dice Gian Carlo* Grassi, guida alpina valsusina, 34 anni, che nell'ascensione è stato accompagnato dal ventiduenne Tivolese Marco Bernardi — eia nostra via diretta è l'esempio più classico dei limiti cui si può arrivare con la tecnica piolettraction. Cinquecento metri di parete, ghiaccio di 80-85 gradi di pendenza (quindi sul limile del verticale) e tratti di roccia con passaggi di sesto grado percorsi con i ramponi ai piedi; abbiamo impiegato dieci ore e mezzo, "tirando" senza fare bivacchi perché non avevamo né tendine né sacchi a pelo per trascorrere la notte su una montagna alta 4075 metri». Per il grande pubblico che ammirò le imprese di Bonatti fatte di cinque o sei bivacchi in parete, una salita compiuta in giornata può sembrare alla portata di molti: invece è fon-damentale ricordare che la tecnica piolet-traction (salita frontale su ghiaccio con due picozze e ramponi con molte punte) ha rivoluzionato il modo di andare in montagna e soprattutto ridotto drasticamente i tempi. Quando si percorrono la Bonatti-Zappelli al Pilier d'Angle o il Supercouloir al Tacul in meno di quattro ore è facile capire quale rivoluzione sia avvenuta e come le dieci ore di Grassi e Bernardi siano trascorse su difficoltà veramente estreme. Soltanto poche settimane la Reinhold Messner mi disse che la sua via solitaria alla Nord delle Droitcs che nel '69 fece sensazione per la velocità eccezionale in cui fu compiuta, ora si sentirebbe di ripeterla ancora più in fretta, pur sentendosi meno forte e specificamente preparato, tale è stato il miglioramento della tecnica e dei materiali. E' ovvio che la cordata piemontese sul Braithorn ha corso un rischio ben calcolato: zaino leggero, soltanto cinque chiodi da roccia e cinque da ghiaccio, lunghi tratti in cui si sale senza assicurazione, ma è assurdo parlare di ricerca del pericolo, di voglia del «sempre più difficile» a ogni costo. E' la semplice logica dell'alpinismo, da quando esso esiste: ogni montagna, ogni via «matura» in un'epoca e soltanto in quel momento trova uomini cosi forti e determina-, ti a tentarla. Il futuro dell'alpinismo, in cui molto è dovuto alle nuove concezioni anglosassoni, è già presente: salite in ghiaccio sempre più ripide, sempre più in fretta, possibilmente in solitaria; pareti rocciose che furono trascurate perché non portavano a una vetta, dove i gradi di difficoltà possono oalire all'infinito, ben oltre 11 mitico sesto; cascate di ghiaccio, cattedrali di difficoltà estreme che con il disgelo spariranno; «8000» himalayani in solitaria e senza ossigeno. Ognuno è libero di inventarsi un'avventura e di viverla: non esistono più miti nella splendida certezza che l'uomo di domani sorriderà sull'impossibile di oggi. Gigi Mattana

Luoghi citati: Groenlandia, Torino