Quebec: referendum sull'indipendenza di Fabio Galvano

Quebec: referendum sull'indipendenza Oggi si vota nella provincia francofona (i sondaggi dicono no) Quebec: referendum sull'indipendenza L'odierno referendum nel Quebec francofono concederà o negherà a René Lévesque, premier della «bella provincia», il mandalo «per negoziare col governo federale canadese una nuova intesa fondata sull'eguaglianza dei popoli», intesa die permetterebbe al Quebec «di acquisire il potere esclusivo di legiferare, riscuotere le imposte e stabilire le sue relazioni esterne: e cioè la sovranità». Ma, precisa ancora il quesito a cui i sei milioni di québecois dovranno oggi rispondere sì o no, «mantenendo col Canada un'associazione economica che comporterebbe l'uso della stessa moneta... E ancora: «Nessun cambiamento di statuto politico sarà attuato senza l'accordo della popolazione»; in altre parole il risultato dell'eventuale trattativa sarà sottoposto a un altro referendum. L'ultimo sondaggio indica una vittoria dei «no» per 45 a 39, con 16 indecisi; eppure il voto di oggi, che ha arroventato gli animi e spaccato famiglie, rappresenta di per sé una vittoria dei québecois. Andie se sconfitti, saranno infatti riusciti a sensibilizzare il resto del Canada a un problema die realmente esiste, e die per troppi anni è stato nascosto sotto il tappeto. Il Quebec sostiene da sempre di non fruire di una giusta parte della ricdiezza canadese, di dare più di quanto rice¬ va, di essere insomma la «cenerentola», fra le dieci province della federazione.: Su questo tema, oltre all'aspetto più viri scerale del confronto fra la popolazione francofona e la maggioranza anglosas-, sone del Paese, si è dipanata una cani-, pagna elettorale dura e senza esclusione di colpi. Vi è intervenuto lo slesso primo ministro Pierre Trudeau. Originario del jQtcébec e francofono, egli è un determi\nato fautore del federalismo. | Ha rivolto ripetuti appelli ai votanti, affinché oggi «non spacchino il Cana-ì >da»; ma ha riconosciuto la fondatezza, di alcune rivendicazioni della provincia francofona, promettendo iniziative im-\ mediate per modificare il sistema fede-, rale a suo maggior beneficio. L'intervento di Trudeau in favore del «no» al referendum è stato forse determinante: se da una parte lia riconosciuto giuste certe rivendicazioni dei québecois, dall'altra ha appoggiato con tutto, il peso della sua carica lo schieramento del «no», capeggiato nel Quebec dal lo-' cale leader liberale Claude Ryan. Il premier ha addirittura investito due milioni di dollari (dai fondi federali) per una campagna pubblicitaria nella quale erano compresi centinaia di giganteschi manifesti murali con la scritta «No, gra¬ zie - è presto detto»: un chiaro riferimento a un «no» nel referendum, andie se, in lettere piccole e quasi illeggibili, si precisava die i manifesti erano del ministero della Sanità per la campagna contro l'alcolismo. In ogni caso Trudeau ha precisato die non tratterà mai la sovranità del Quebec, e quindi un «sì» nel referendum sarebbe inutile. Tanto inutile non si direbbe, se già prima del voto il governo federale si piega al compromesso e offre riforme. René Lévesque accusa i centri del potere industriale e finanziario e la minoranza anglofona di «complottare» per impedire die si crei un rapporto egualitario fra il Canada e il Quebec; Ryan replica accusando Lévesque di adottare «tatticlie fasciste», ammonendo die un «si» al referendum sarebbe l'inizio di una totale rottura dal Canada. E questo, ha aggiunto, costerebbe molto alla provincia in termini economici: verrebbe a mancare, per esempio, la fornitura di petrolio e gas a basso prezzo dalle province occidentali (proprio giovedì è stata annunciata la costruzione di un gasdotto da Montreal a Quebec). In tutto, dicono i fautori del «no», un «si» costerebbe, a lungo termine, 1200 dollari l'anno, un milione di lire, a ogni famiglia del Quebec. Fabio Galvano

Persone citate: Claude Ryan, Pierre Trudeau, René Lévesque, Trudeau

Luoghi citati: Canada, Montreal, Quebec