Sul trimarano dei nomadi del mare

Sul trimarano dei nomadi del mare VIAGGIO NELLE FILIPPINE, ULTIMO PARADISO DEI NATURALISTI Sul trimarano dei nomadi del mare Usato per il trasporto e la pesca, è segno di ricchezza come la capanna più grande, il bufalo, la radio - Su 7 mila isole semideserte, minuscole comunità vivono spostandosi, distaccate dal potere, dall'economia, dalla cultura del Paese - «Non c'è un capo tra noi, non usiamo denaro, non vediamo mai un poliziotto» -1 ragazzi vanno a scuola navigando per ore a vela o a remi DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE ISOLE FILIPPINE — «Non c'è un capo tra noi, non usiamo il denaro, non vediamo mai; un poliziotto. Se qualcuno si comporta male gli uomini si riuniscono (le donne non contano) e lo sgridano. A volte lo picchiano. Nei casi gravissimi portiamo il colpevole, in barca, fino a una delle poche stazioni di polizia sulle isole più grandi, come Mindoro». Parla un pescatore di Ilin, una delle isole minori dell'arcipelago filippino. Questa gente fa sentire nel modo pili elementare, e efficace, il distacco fisico dal potere come dall'economia e dalla cultura del Paese. La «Republika ng Pilipinas», 47 milioni di abitanti, estesa su una superficie quasi pari a quella dell'Italia, ha i suoi confini reali nelle isole maggiori: Luzon (con la sterminata Maynila o Manila e la capitale ufficiale Quezon City), Mindoro, Panay, Samar, Cebu, Negros, Mindanao. Il pulviscolo di settemila isole semideserte, alcune grandi come l'Elba e moltissime più piccole dì Caprera, disseminate tra il Mar della Cina e il Mar di Celebes, è il regno naturale di esigue comunità, anche di poche famiglie, che spesso si trasferiscono secondo le stagioni. Non villaggi ma micro-insediamenti umani che potrebbero far scattare nel visitatore l'illusione di aver scoperto un campionario di primitivi, inducendolo a rispolverare la mìtografia sei-settecentesca del «bon sauvage». La crociera della Seaquest, vecchia barca attrezzata per l'esplorazione del mondo sommerso, si è snodata tra Mindoro e Palawan toccando isolette (a volte non più grandi della Gallinara ma immancabilmente dotate di spiaggia corallina con relative palme da cocco) abitate da pescatori appartenenti ai gruppi indonesiani più antichi, rimasti a cavallo tra lo sfrenato americanismo delle città e l'assoluta ripulsa di ogni trasformazione socioculturale che caratterizza i nomadi del mare, più numerosi nelle Isole Sulu vicine al Borneo. Qui si potrebbe parlare di «gruppi freddi», adottando la definizione di LéviStrauss: non «primitivi», né «selvaggi» (una terminologia che fa inorridire etnologi e antropologi) ma popolazioni poco o nulla preoccupate di modificare le proprie condizioni socio-culturali su modelli importati, di apprendere nuove tecniche La distanza dalle città, valutabile mediamente in poche decine di miglia nauticìie ma resa abissale dal mare e dalla mancanza di collegamenti, annulla o riduce la tentazione di percorrere le tappe obbligate della cosiddetta «civiltà». L'economia locale, alle Isole Ilin o Dimipac, Colocoto o Dumumpalit, si fonda sull'autoconsumo e sul baratto. Il ragazzino che mi chiede 5pesos, 600 lire, per una collana di conchiglie, ride imbarazzato e non sa dove nascondere la banconota, per lui praticamente inutile. Soli segni di ricchezza individuale: la capanna più grande e solida, il bufalo dove tra il palmeto e la giungla si può ricavare un pascolo, il trimarano a motore, la radio. A Colocoto una sola famiglia possiede la radiolina a pile, e la tiene accesa al massimo volume in onore degli stranieri approdati sulla spiaggia. Ritornano le domande che furono tipiche della nuova antropologia negli Anni Venti, di Malinowski: «Quali sono le distanze tra primitivi e civili? Cos'è la cultura?». In queste minuscole collettività di aspetto dimesso (quasi tutti indossano pantaloncini e vesti di tela stinta) non si osservano gli ardimenti estetici della Polinesia e di altre isole filippine, ma esiste una lingua scrìtta, i ragazzi vanno a scuola quando possono. I sette ragazzi di Sitio Pitugo, minivillaggio a Sud di Oondoro, vanno a scuola al Barrìo Pawikan, distante 25 chilometri facendo 5 ore di navigazione a vela e a remi, quando il mare lo consente. Alfabeti e analfabeti hanno in comune la gentilezza: ricevo in regalo conchiglie bellissime, un piccolo squalo. A prima vista si direbbe che nelle ìsole più piccole e privilegiate la gente riesca a operare una felice mediazione tra cultura e natura, restando semplicemente staccata dalla società esterna a causa delle difficoltà di comunicare. Soli mezzi disponibili sono la radio e il trimarano. Questo è anzitutto mezzo di lavoro per i pescatori, e unico mezzo di trasporto. Sul trimarano vengoìio trasferite in città le ragazze che intendono lasciare il gruppo o devono lasciarlo (quelle incinte e non sposate) per finire inevitabilmente nell'esercito delle giovanissime prostitute. Smisurato esercito se nei «saloni per massaggi» di Manila sono occupate 40 mila ragazze. 1 Sul trimarano arriva il medico nei casi di emergenza, arrivano ì fustini di carburante per chi ha un motore. Bancas è il nome di queste imbarcazioni rudimentali, non originarie delle Filippine ma costruite su modelli polinesiani e concepite per la pesca nelle acque di casa, per brevi spostamenti da un'isola all'altra. A Dimipac i pescatori mi fanno provare con vento di 15 nodi un loro trimarano a vela: lo trovo veloce con vento al lasco (laterale), lentissimo di bolina (l'andatura che consente di risalire a zig zag contro la direzione del vento). L'annotazione fa capire che gli abitanti di queste isole sono rimasti a una tecnologia rudimentale non avendo ambizioni di grandi navigatori come i nomadi di Zamboanga, i Tausogs che adoperano imbarcazioni molto più veloci e manovriere, le vintas dalle vele grandi e variopinte. Qui l'arte della costruzione degli scafi è ancora a livelli elementari. A Ilin osservo un pescatore che scava un grosso tronco d'albero volendo ottenere una canoa. Con pazienza illimitata e grande precisione fa cadere un pezzo di ferro acuminato sul tronco, staccandone pochi centimetri la volta, fino a disegnare l'interno di una canoa stretta come il corpo di un uomo. Ai lati verranno assicurati due bracci per reggere i bilancieri, fatti con canne di bambù tenute insieme da fibre o fili di nylon (barattati contro pesce secco). Altrettanto semplice la costruzione delle capanne, tutte sul modello del nayong pilipino a vano unico, con strutture di bambù, tetto pareti e pavimenti intrecciati con foglie e fibre. Alte un metro sulla sabbia, su pali, le capanne sorgono sempre in riva al mare all'ombra delle palme da cocco. Di fronte alle capanne gli essiccatoi per il pesce: sotto il pavimento trovano riparo dal sole due o tre porcellini, cani di piccola taglia, galline. Maiale e pollo offrono le principali variazioni al pasto quotidiano basato sul pesce, provvisto con modesta fatica. A Dimipac osservo un anziano che si stacca dalla spiaggia su un galleggiante fatto con tre grossi tronchi di bambù, raggiunge un angolo della piccola baia, fruga all'interno di una rete fissata sul fondo e ritorna con due grossi pesci da arrostire sulla spiaggia. La cena è sicura. La dieta è integrata con un po' di manioca, dove è coltivabile, con qualche frutto. Rare le piante di mango, di ananas, di banano, che si coltivano largamente nelle isole maggiori, ricche anche di riso. Immancabile la palma da cocco, dai mille usi. Vedo un ragazzo di undici anni, ustionato dal «corallo di fuoco», mentre si cura con l'aceto di cocco. In Tristi tropici LéviStrauss afferma che la vita delle popolazioni appartanenti alle «società fredde» è più autentica di quella delle popolazioni evolute. Qui si corre il rischio dei giudizi generici, mancando per la gente di queste isole ricerche e analisi sistematiche. Nel corso della crociera sulla Seaquest abbiamo visitato alcune decine di isole su 7107. Gli insediamenti umani, inferiori alla scala del villaggio, non avevano nulla in comune con quelli delle regioni agricole di Luzon e di Negros, tanto meno con le tribù seminascoste all'interno di Palawan e rimaste all'età della pietra come gli aborigeni australiani. Gli abitanti dei piccoli regni sperduti, quasi regni autonomi senza monarca, hanno trovato la «via di mezzo tra l'indolenza dello stato primitivo e il petulante attivismo del nostro amor proprio» di cui parlava Rousseau? Quando vedo bambini denutriti, dal ventre gonfio, donne incinte col volto di bambine vecchie che masticano il betel per colmare interminabili ore di ozio, non mi sento di partecipare alla glorificazione dello stato di natura. Mario Fazio

Persone citate: Ilin, Malinowski, Mario Fazio, Rousseau, Samar

Luoghi citati: Cina, Colocoto, Filippine, Italia, Manila, Ultimo