Calvino nel labirinto

Calvino nel labirinto In volume i saggi su letteratura e società Calvino nel labirinto Italo Calvino: «Una pietra sopra», ed. Einaudi, pag. 325, lire 6500. Sulla copertina del volume che raccoglie i suoi scritti 1955-1978 su letteratura e società, Calvino ha voluto un disegno del prediletto Steinberg: su una china scoscesa un cavaliere insegue lancia in resta un drago-coccodrillo, ma alle sue spalle, enorme, incombe una sfera-valanga che sta per schiacciarlo C'è da giurare che, una volta prigioniero della molle pasta della valanga, il cavaliere studierà minuziosamente i modi di uscirne, come Edmond Dantès nel più emblematico racconto di Ti con zero. Refrattario al ruolo del profeta da campo, del maitre à penser e del grillo parlante, Calvino si è sempre concesso con riluttanza a interventi estemporanei di discussione o polemica. Quando l'ha fatto, in saggi, conferenze, interviste, elzeviri, vi ha messo la passione sistematica, la cautela critica, il dubbio autoironico, l'esattezza di scrittura delle pagine narrative. Per questo gli scritti raccolti a comporre il volume non hanno nulla di quella occasionalità superficiale e saccente che rende tristemente obsoleti libri del genere. Vi si racconta una storia precisa. C'è un trentenne che si arrovella sul problema centrale degli Anni 50: come saldare politica e letteratura, per quali vie portare la letteratura a costruire una società nuova, in mezzo agli scogli del decadentismo da una parte e del didascalismo dall'altro. Dal padre agronomo Calvino ha derivato il gusto della classificazione paziente: ama disegnare sistemi sempre più vasti e complessi, ma bilanciati, come i mobiles di Calder, in modo da assorbire le spinte degli opposti. Come i calcolatori, lavora su coppie di concetti: soggetto-oggetto, interno-esterno, presenza-as¬ senza, ordine-disordine, razionale-irrazionale. E intanto riconosce i suoi modelli: lo stoicismo di Montale, il sorriso tranquillo di Cecov, il gusto della competenza di Conrad, l'ironia dell'Ariosto, la fantasia di Carroll e di Queneau, che svetta da un trampolino filosofico e matematico (più tardi il suo eroe sarà Fourier, in cui l'accensione utopistica nasce da un massimo di calcolo di previsione). Ma già nel 1959 (/( mare dell'oggettività) salta la speranza di una letteratura capace di portare una forte carica fantastica e morale nella civiltà produttiva. La realtà appare non solo ingovernabile, ma anche inclassificabile: inghiotte le opposizioni, scon-. volge gli schieramenti, confonde le carte. Con gli Anni 60 il clima culturale si rinnova, investe febbrilmente il rapporto fra tradizione e avanguardia. Calvino trova nel cantiere delle scienze umane e di quelle esatte i materiali per precisare le immagini del proprio discorso. La letteratura gli si chiarisce come un'attività eminentemente combinatoria che, al pari della scienza e della filosofia, è chiamata a creare esempi di procedimenti simbolici, a costruire modelli logici. Nemico programmatico dell'artista medium e sciamano, viscerale e «selvaggio», nel suo viaggio verso la cibernetica Calvino giunge ad auspicare tranquillamente l'avvento di uno scrittore-tecnico in camice bianco, o di una macchina pensante in grado di produrre conoscenza attraverso un enorme numero di operazioni. Scrive in un saggio del 1967, Cibernetica e fantasmi, che è un po' il nocciolo algido del libro: «Scompaia dunque l'autore — questo enfant gate dell'inconsapevolezza — per lasciare il suo posto a un uomo più cosciente, che saprà che l'autore è una macchina e saprà come questa macchina funziona». Bisogna dar atto a Calvino di avere delineato questa posizione e di esserle restato fedele prima e durante lo Sturm und Drang sessantottesco, a testimonianza di una riflessione che per sottigliezza e lucidità e capacità di aggancio metadisciplinare ha pochi riscontri anche in Europa. Più che la funzionalità del progetto, conta per Calvino l'esigenza etica della continua messa a punto di un metodo, del suo ininterrotto approssimarsi a un obiettivo che non potrà mai raggiungere. Al fondo di ogni rigorosa ricerca scientifica e letteraria resta per lui uno stimolo morale: la volontà di rimettere tutto in discussione, di cercare non le convergenze ma gli attriti, la ridefinizione dei confini. Tutto previsto, tutto prevedibile, dunque? Calvino sa bene che in quel delitto perfetto che è la letteratura un elemento imponderabile giunge puntuale a sconvolgere i piani dell assassino: i libri dicono sempre qualcosa di diverso da ciò che si proponevano di dire. Egli stesso ammette che non c'è rapporto immediato tra il saggista che teorizza un certo modo di fare letteratura, e lo scrittore che la fa sul serio. Di chi dunque sarà la voce che parla in queste pagine? E' la voce di un personaggio fittizio, più preoccupato di nascondersi che di svelarsi, cui Calvino ha prestato i propri tratti per meglio depistare il lettore: un altro Cosimo Piovasco di Rondò che un giorno si è arrampicato sui libri e ha deciso di non scenderne più. e di lassù guarda con apprensione la giungla letteraria che prolifera con disordinata vitalità a dispetto di ogni intervento ordinatore. Una pietra sopra può essere anche letto come il romanzo di un Io-Robinsdn positivista, che cerca di cacciare o istituzionalizzare nell'isola letteraria l'imprevedibile Incdnscio-Venerdì, sbadato e pasticcione. Ernesto Ferrerò

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