Il caposcalo Alitalia a Tripoli arrestato: l'accusa è spionaggio

Il caposcalo Alitalia a Tripoli arrestato: l'accusa è spionaggio Ieri si è saputo che è in carcere dal 27 aprile Il caposcalo Alitalia a Tripoli arrestato: l'accusa è spionaggio È Mario Corsi, 42 anni, funzionario della nostra compagnia di bandiera - L'accusa non convince - Si pensa ad una ritorsione per l'arresto, a Roma, di un libico sospettato di favoreggiamento in un omicidio - Passo della Farnesina ROMA — Il nodo dei rapporti fra Libia e Italia, e più in generale, fra Libia e i Paesi europei ed occidentali sta divenendo sempre più intricato, nonostante gli sforzi della diplomazia italiana tesi a scaricare la tensione. E' di ieri la notizia che il caposcalo Alitalia a Tripoli, Franco Corsi, di 42 anni, si trova in carcere dal 27 aprile, con l'accusa di spionaggio. Fino a questo momento non è stato possibile per i rappresentanti del nostro Paese in Libia avere un colloquio con lui. Indipendentemente dalle scarne notizie che si è riusciti ad ottenere su quelle che sarebbero state le attività «spionistiche» del Corsi, l'ipotesi più probabile è che la sua detenzione cqstituisca una forma di ritorsione per l'arresto, avvenuto a Roma il 22 aprile, di un cittadino libico sospettato di favoreggiamento nei confronti degli assassini di un ricco emigrante libico Abdul Jalil Aref. La vicenda di Franco Corsi troverebbe una spiegazione nel quadro, più generale, dell'operazione di «rimpatrio forzato» che secondo alcuni i servizi segreti libici starebbero conducendo, spietatamente, per costringere i fuorusciti a rientrare in patria. Ma ecco la storia di Franco Corsi, dipendente dell'Alitalia dal '73 e caposcalo a Tripoli dal maggio 1979. Il 23 aprile si è avvicinato, sulla pista dell'aeroporto, ad un aereo militare francese, scambiandolo per uno italiano. Nella deposizione che egli stesso ha reso alla polizia, sarebbe stato ingannato dal cerchiò tricolore dipinto sulle fiancate del velivolo, molto simile, a parte il blu al posto del verde a quello dell'aeronautica militare italiana. Immediatamente è stato fermato, interrogato e accusato di attività spionistica. Rilasciato, è tornato a casa. Quattro giorni più tardi, l'arresto. Il 22 aprile, a Roma, il direttore delle linee aeree libiche Margani Moahmed Megrani, era stato arrestato dalla polizia, e inviato a Regina Coeli, con l'accusa di favoreggiamento nell'assassinio di Jalil Aref, un ricco commerciante ucciso da tre killer, il 18 aprile, in via Veneto mentre con alcuni familiari prendeva un caffè in un locale pubblico. Prima di lui, e dopo di lui, altri due cittadini libici, Sale Rtemi e Abdullah El Khazmi, anch'essi emigrati dalla Libia, erano stati assassinati. Altri episodi, del genere, drammaticamente analoghi nella meccanica e nell'impossibilità di trovare un movente plausibile, hanno avuto di recente come vittime gli emi-, grati libici in varie città del mondo occidentale. A questo proposito la lega nazionale dei libici residenti in Egitto ha indirizzato a Pertini una lettera aperta, accusando il governo libico di voler spargere il terrore tra i fuorusciti per costringerli a tornare a lavorare in Libia, pena l'esecuzione capitale. Pertini ha risposto chiedendo ragguagli al ministero degli Interni, e sollecitandolo, implicitamente a rispondere alle accuse di «cooperazione» rivolte dalla Lega alla nostra polizia. Le tre inchieste sono state unificate, ma per il momento, non ci sono sviluppi. Neanche l'interrogatorio di Fadir El Kazmi, cugino della terza vittima, ha portato elementi utili. Fadir, un ricco commerciante di tubi che risiede a Tripoli, ha confermato di essere giunto a Roma il giorno precedente il delitto e di aver parlato con il parente, sollecitandolo a rientrare in Libia per evitare rappresaglie. La postatone del governo è per ora quella di considerare quanto è accaduto di competenza del ministero degli Interni, proprio in carenza di elementi che avvalorino la denuncia della Lega libica del Cairo, e rendano possibili passi diplomatici. Non è escluso però che siano imminenti contatti fra le diplomazie dei due paesi. Marco Tosatti renti della polizia tedesca, di Mohamed Duek 37 anni. «L'attuale recapito di questo esule libico non è noto — dice un comunicato della polizia —. Se si trova in Germania Federale, Duek è consigliato di mettersi urgentemente in contatto con la polizia di Bonn o con la più vicina stazione di polizia». Gli inquirenti sono arrivati al nome di Duek nel corso delle indagini sull'uccisione dell'ex diplomatico Omran El Mehdawi 43 anni assassinato nella capitale tedesca sabato scorso: Mehdawi aveva lasciato due anni fa l'ambasciata di Libia a Bonn per chiedere asilo in Germania Federale, e di recente aveva confidato ad amici di temere tentativi di assassinio per mano di sicari libici. La polizia che ha già arrestato un libico di 26 anni per questo delitto ha motivo di ritenere che l'uccisione di Mehdawi sia da ricollegare alle uccisioni di esuli libici già perpetrate a Londra e a Roma.